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Spense la consolle in modo che la caposala non potesse notare la nuova registrazione e tornò a letto, chiedendosi se William avesse intenzione di usare il nome di Mary anche per le autorizzazioni a dimettere lui e Badri. Si augurò che lo facesse, perché certo Mary avrebbe voluto aiutarli.

Non venne nessuno per tutta la sera. Alle otto la caposala entrò con passo un po' zoppicante per controllare il suo bracciale di monitoraggio e per misurargli la temperatura ed inserì i dati nella scheda senza mostrare di notare nulla di strano. Alle dieci arrivò una seconda infermiera, anch'essa graziosa, che praticò un'altra iniezione di streptomicina e ne aggiunse una di gammaglobuline.

La ragazza lasciò lo schermo acceso e Dunworthy si sdraiò in modo da poter vedere il nome di Mary. Non credeva che sarebbe riuscito a dormire ma lo fece e sognò l'Egitto, e la Valle dei Re.

— Signor Dunworthy, si svegli — sussurrò Colin, dirigendogli sulla faccia il raggio di una pila tascabile.

— Cosa c'è? — domandò Dunworthy, sbattendo le palpebre a causa della luce, e cercò a tentoni gli occhiali. — Cosa è successo?

— Sono io, Colin — sussurrò il ragazzo, dirigendo la luce verso se stesso. Per qualche ignota ragione aveva indosso un largo camice da laboratorio e la sua faccia appariva tesa e sinistra illuminata dal basso in alto dalla torcia.

— Cosa c'è che non va? — insistette Dunworthy.

— Nulla — sussurrò Colin. — Sta per essere dimesso.

Dunworthy si agganciò gli occhiali dietro gli orecchi, ma ancora non riuscì a vedere nulla.

— Che ore sono? — chiese, sussurrando a sua volta.

— Le quattro del mattino — rispose Colin, porgendogli le pantofole e puntando la torcia verso l'armadio. — Si spicci — aggiunse, sfilando la vestaglia di Dunworthy dal suo gancio e dandogliela. — Potrebbe tornare da un momento all'altro.

Dunworthy armeggiò con la vestaglia e le pantofole mentre ancora cercava di svegliarsi e si chiedeva perché lo stessero dimettendo a quella strana ora e dove fosse la caposala.

Colin si accostò alla porta e sbirciò fuori, poi spense la torcia, la infilò in una tasca del camice troppo largo e richiuse la porta. Lasciò passare un lungo momento pieno di tensione, quindi riaprì il battente di una fessura e scrutò fuori.

— Via libera — avvertì, segnalando a Dunworthy di seguirlo. — William l'ha portata nel guardaroba.

— Chi, l'infermiera? — domandò Dunworthy, ancora stordito. — Come mai è di turno lei?

— Non l'infermiera, la caposala. William la terrà là finché non ce ne saremo andati.

— E la Signora Gaddson?

— Sta leggendo la Bibbia al Signor Latimer — spiegò Colin, con aria contrita e sulla difensiva. — Dovevo farne qualcosa di lei, e se non altro il Signor Latimer non la può sentire.

Spalancò quindi la porta e afferrò una sedia a rotelle che si trovava nel corridoio.

— Posso camminare — protestò Dunworthy.

— Non c'è tempo — sussurrò Colin, — e se qualcuno dovesse vederci potrò sempre dire che la sto portando su in Radiologia.

Dunworthy si sedette e lasciò che Colin lo spingesse lungo il corridoio e oltre il guardaroba e la stanza di Latimer; la voce della Signora Gaddson che leggeva l'Esodo arrivava tenue da oltre la porta.

Colin continuò a camminare in punta di piedi fino alla fine del corridoio, poi accelerò il passo in maniera tale che non avrebbe mai potuto essere scambiato per un inserviente che portasse un paziente in Radiologia, svoltando in un altro corridoio, superando un angolo e uscendo dalla porta laterale fuori della quale erano stati avvicinati dall'uomo con il cartello che diceva «La Fine dei Tempi è Vicina».

Il vicolo era immerso in un buio totale e stava piovendo a dirotto, quindi Dunworthy riuscì a stento a intravedere l'ambulanza parcheggiata in fondo alla strada. Colin bussò con il pugno sul retro del veicolo e da esso scese un paramedico… la stessa donna che aveva aiutato a ricoverare Badri. E che aveva picchettato Brasenose.

— È in grado di salire da solo? — chiese a Dunworthy, arrossendo.

Lui annuì e si alzò in piedi.

— Pensa tu a richiudere le porte — disse la donna a Colin, e aggirò il veicolo per salire sul davanti.

— Non mi dire che è un'amica di William — commentò Dunworthy, seguendola con lo sguardo.

— Certamente — replicò Colin. — Mi ha domandato che genere di suocera ritenevo sarebbe stata la Signora Gaddson — aggiunse, mentre aiutava Dunworthy a salire il gradino dell'ambulanza.

— Dov'è Badri? — chiese Dunworthy, asciugandosi gli occhiali.

— A Balliol — rispose Colin, richiudendo le porte. — Lo abbiamo prelevato per primo in modo che potesse approntare la rete. Spero che la caposala non dia l'allarme prima che ce ne siamo andati — proseguì sbirciando ansiosamente dal finestrino posteriore.

— Non mi preoccuperei per questo — replicò Dunworthy, rendendosi conto di aver chiaramente sottovalutato il potere di William. Con ogni probabilità in quel momento l'anziana infermiera era seduta sulle sue ginocchia intenta a ricamare le loro iniziali intrecciate sugli asciugamani.

Colin riaccese la torcia e ne diresse il raggio sulla barella dell'ambulanza.

— Le ho portato il suo costume — disse, porgendo a Dunworthy il giustacuore nero.

Dunworthy si tolse la vestaglia per infilarlo e in quel momento l'ambulanza si mise in moto, facendolo quasi cadere per terra. Puntellandosi contro la parete ondeggiante del veicolo si sedette sulla panca laterale e si infilò la calzamaglia nera.

Il paramedico non aveva acceso la sirena ma stava viaggiando ad una tale velocità che avrebbe dovuto farlo. Tenendosi alle cinghie di sicurezza con una mano Dunworthy si infilò la calzamaglia con l'altra e Colin, che si stava protendendo a prendere gli stivali per poco non gli crollò addosso.

— Le abbiamo trovato un mantello — disse il ragazzo. — Il Signor Finch lo ha preso a prestito dall'Associazione del Teatro Classico.

E allargò il capo di vestiario in questione, un mantello vittoriano nero foderato di seta rossa, drappeggiandolo sulle spalle di Dunworthy.

— Che spettacolo hanno allestito loro? Dracula?

L'ambulanza si fermò con un sobbalzo e il paramedico spalancò le porte posteriori. Colin aiutò Dunworthy a scendere, reggendogli la coda del voluminoso mantello come un paggetto, poi entrambi si infilarono nel passaggio delle porte. La pioggia tamburellava sonoramente sulle pietre sopra di loro, e al di sotto del rumore da essa prodotta si avvertiva un altro suono, metallico.

— Cos'è? — chiese Dunworthy, sbirciando in direzione del cortile buio.

— «Quando Infine Viene il Mio Salvatore» — spiegò Colin. — Gli Americani si stanno esercitando per un concerto in chiesa o qualcosa del genere. Necrotico, vero?

— La Signora Gaddson si era lamentata del fatto che si esercitassero ad ogni ora del giorno e della notte, ma non pensavo che intendesse dire alle cinque del mattino,

— Il concerto è fissato per stasera.

— Stasera? — ripeté Dunworthy, e si rese conto che era il quindici. Il sei di gennaio secondo il Calendario Giuliano. L'Epifania. L'arrivo dei Re Magi.

Finch venne loro incontro correndo, munito di ombrello.

— Mi dispiace di essere in ritardo — disse, tenendolo sopra Dunworthy, — ma non riuscivo a trovare un ombrello. Non ha idea di quanti fra gli ospiti vadano in giro e li dimentichino, soprattutto gli Americani…

— È tutto pronto? — volle sapere Dunworthy, avviandosi attraverso il cortile.

— L'assistenza medica non c'è ancora — rispose Finch, cercando di tenere l'ombrello sulla testa di Dunworthy, — ma William Gaddson ha appena telefonato per avvertire che aveva organizzato tutto e che la persona sarà qui a momenti.

Dunworthy non sarebbe rimasto sorpreso neppure se William avesse avvertito che la caposala si era offerta volontaria per quel compito.

— Spero solo che William non decida mai di darsi al crimine — commentò.