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La sala dei ricevimenti alta, bianca, vividamente illuminata, del Commensale Slose conteneva venti o trenta ospiti, tre dei quali Commensali, e tutti visibilmente dei notabili, di un tipo o di un altro. Questo era più di un semplice gruppo di Orgota curiosi di vedere «l'alieno». Io non ero una curiosità, come lo ero stato per un anno intero in Karhide; non ero un fenomeno; non ero un enigma. Ero, a quanto sembrava, una chiave.

Quale porta avrei dovuto aprire? Alcuni di loro ne avevano un'idea… alcuni degli uomini di stato e degli alti burocrati che mi accolsero con effusione… ma io non ne avevo nessuna.

Certo non avrei potuto scoprirlo durante la cena. Su tutto Inverno, perfino nel gelido, barbaro Perunter, è considerato esecrabilmente volgare parlare di lavoro mentre si mangia. Poiché la cena venne subito servita, rimandai le mie domande e mi occupai di una zuppa di pesce gommosa, del mio ospite, e dei miei compagni di mensa. Slose era una persona fragile, di aspetto giovanile, con occhi insolitamente luminosi, intelligenti, e una voce sommessa e intensa; aveva l'aspetto di un idealista, di un'anima devota a una missione. Il suo atteggiamento mi piaceva, come pure i suoi modi, ma mi chiesi a quale missione fosse devota la sua anima. Alla mia sinistra sedeva un altro Commensale, un individuo dal viso grasso che si chiamava Obsle. Era rozzo, grossolano, gioviale, e interrogativo. Aveva l'aria dell'inquisitore, in realtà. Quando fummo al terzo cucchiaio della zuppa di pesce, mi stava già chiedendo che cosa diavolo fosse, il fatto che io ero nato davvero su qualche altro mondo… com'era, là… più caldo di Gethen, dicevano tutti… quanto più caldo?

— Bene, sulla Terra, a questa stessa latitudine, non nevica mai.

— Non nevica mai. Non nevica mai? — rise con autentico divertimento, come un bambino ride di una buona bugia, incoraggiando ulteriori voli di fantasia.

— Le nostre regioni sub-artiche somigliano alla vostra zona abitabile; siamo più lontani di voi dalla nostra ultima Era Glaciale, ma non ne siamo usciti completamente, vedete. Fondamentalmente la Terra e Gethen sono molto simili. Tutti i mondi abitati lo sono. Gli uomini possono vivere solo entro una stretta gamma di ambienti, Gethen si trova a un estremo…

— Allora esistono dei mondi più torridi del vostro?

— Sono quasi tutti più caldi. Alcuni sono torridi; Gde, per esempio. È quasi completamente fatto di sabbia, e di deserti rocciosi. Era già caldo all'inizio, e una civiltà tecnologica ha rovinato il suo equilibrio naturale cinquanta o sessantamila anni fa, consumando tutti i boschi, per usarli come legna da ardere, e così via. Esistono ancora degli abitanti, lassù, ma il pianeta somiglia… se ho ben compreso il Testo… all'idea Yomesh del luogo in cui i ladri vanno dopo la morte.

Questo fece sorridere Obsle, un sorriso calmo, di approvazione, che mi fece bruscamente rivedere la valutazione che avevo dato dell'uomo.

— Alcuni culti minori ritengono che quei Passaggi del Dopomorte siano realmente, fisicamente situati su altri mondi, altri pianeti dell'universo reale. Avete già incontrato questa idea, signor Ai?

— No; sono stato descritto in maniere diverse, ma nessuno ha cercato di liquidarmi spiegandomi come un fantasma. — Parlando, arrischiai un'occhiata alla mia destra, e dicendo fantasma ne vidi uno. Scuro, in un abito scuro, immobile e simile a un'ombra, era seduto accanto a me, lo spettro della festa.

L'attenzione di Obsle era stata attirata dall'altro vicino, e quasi tutti stavano ascoltando Slose, che era a capotavola. Io dissi, a bassa voce:

— Non mi aspettavo di vedervi qui, Lord Estraven.

— L'inaspettato è ciò che rende possibile la vita — mi disse.

— Mi è stato affidato un messaggio per voi.

Mi guardò, con aria interrogativa.

— Esso prende la forma di denaro… denaro vostro… Foreth rem ir Osboth lo manda. L'ho con me, nella casa del signor Shusgis. Farò in modo che vi giunga.

— È cortese da parte vostra, signor Ai.

Era calmo, sottomesso, rimpicciolito… un uomo bandito, esiliato, che viveva e si consumava in una terra straniera. Non pareva incline a parlare con me, e io ero lieto di non parlare con lui. Eppure di quando in quando, durante quella cena-ricevimento lunga, pesante, intensa e piena di conversazioni, benché tutta la mia attenzione fosse rivolta su quei complicati e potenti Orgota che intendevano essermi amici oppure usarmi, mi rendevo acutamente conto della sua presenza: del suo silenzio: del suo viso scuro e rivolto altrove. E mi attraversò la mente, anche se subito scartai l'idea ritenendola senza base alcuna, il pensiero di non essere venuto a Mishnory per mangiare del pesce arrostito con i Commensali di mia spontanea, libera volontà; né erano stati loro a portarmi in quel luogo. Era stato lui.

CAPITOLO NONO

Estraven il traditore

Una storia Est Karhidi, come viene narrata a Gorinhering da Tobord Chorhawa e registrata da G. A. La storia è notissima in diverse versioni, e una commedia «habben» basata su di essa è nel repertorio delle compagnie viaggianti dei commedianti, a est del Kargav.

Molti e molti anni fa, prima dei giorni di Re Argaven I, che fece di Karhide un solo regno, ci fu una faida sanguinosa tra il Dominio di Stok e il Dominio di Estre in Kermlandia. La faida era stata combattuta in assalti e imboscate per tre generazioni, e non c'era modo di risolverla, perché si trattava di una disputa per della terra. La terra ricca è rara in Kermlandia, e l'orgoglio di un Dominio è nella lunghezza delle sue frontiere, e i Lords di Kermlandia sono uomini fieri e uomini ombrosi, che gettano ombre nere.

Accadde dunque che l'erede della carne del Lord di Estre, un giovanotto, sciando attraverso il Lago di Ghiaccio nel mese di Irrem a caccia, s'imbatté in ghiaccio molle e finì nel lago. Benché usando uno sci come leva su di un bordo ghiacciato più solido egli riuscisse finalmente a tirarsi fuori dall'acqua, si ritrovò in condizioni disperate fuori dal lago come lo era stato dentro, perché era bagnato, l'aria era kurem*), e la notte stava calando. Egli non vide alcuna speranza di raggiungere Estre, a otto miglia di distanza lungo i monti, e così si incamminò verso il villaggio di Ebos, sulla riva nord del lago. Quando la notte cadde la nebbia discese dal ghiacciaio e si diffuse su tutto il lago, così egli non poté più vedere dove stesse andando, né in qual luogo mettesse i propri sci. Procedette perciò lentamente, per timore d'incontrare dell'altro ghiaccio molle, eppure in fretta, poiché il freddo era nelle sue ossa e tra breve non avrebbe più potuto muoversi. Vide infine una luce davanti a lui, nella notte e nella nebbia. Si tolse gli sci, perché la riva del lago era accidentata e in molti punti senza neve. Le sue gambe non lo sorreggevano più con la sicurezza di prima, ed egli cercò di raggiungere la luce con tutte le sue forze, cercando di usare i suoi passi meglio che poteva. Era lontano e perduto dalla direzione di Ebos. Questa era una piccola casa, solitaria in una foresta di alberi di thore che sono i soli alberi di Kermlandia, e questi crescevano tutt'intorno alla casa, molto vicini, e nessuno era più alto del suo tetto. Egli bussò alla porta con le mani e chiamò a gran voce, e qualcuno gli aprì la porta e lo portò nella luce del fuoco.

Non c'era nessun altro là, solo questa persona. Costui tolse gli abiti di Estraven dal corpo del giovane, abiti che erano come vesti di ferro per il ghiaccio, e lo sistemò nudo tra pelli e pellicce, e con il calore del suo stesso corpo scacciò gelo e brina dai suoi piedi e dalle mani e dal viso di Estraven, e gli diede da bere birra bollente. Finalmente il giovane si riprese, e guardò colui che lo aveva ristorato e curato.

Questi era uno straniero, giovane come lui. Si guardarono l'un l'altro. Ciascuno era avvenente, forte di corpo e delicato di lineamenti, diritto e scuro. Estraven vide che il fuoco del kemmer era sul viso dell'altro.