Изменить стиль страницы

Non lontano c’erano molti porti d’ingresso: Emerson Junction, Pine Creek, South Junction, Gretna, Maida, eccetera. Studiai anche il Roseau River, ma pareva scorrere nella direzione sbagliata, verso nord fino a immettersi nel Red River (la carta non era chiara).

C’è una bizzarra fetta di terreno che si protende nel Lake of the Woods a est-sudest di Winnipeg. I colori della mappa la rappresentavano come una parte dell’Impero, e non c’era nulla che impedisse di superare il confine in quel punto; purché si fosse disposti ad affrontare diversi chilometri di terreno paludoso. Io non sono una superdonna; potrei fare una brutta fine in una palude; ma quel pezzetto non sorvegliato di confine mi tentava. Alla fine lo lasciai perdere perché, anche se legalmente la fetta di terreno faceva parte dell’Impero, era separata dall’Impero vero e proprio da ventun chilometri d’acqua. Rubare una barca? Ero pronta a scommettere che qualunque barca viaggiasse su quelle acque avrebbe interrotto un raggio-spia. Dopo di che, in mancanza di risorse adeguate, un laser avrebbe scavato un foro grande abbastanza da lasciar passare un cane. Io non discuto coi laser: non puoi comperarli, non puoi corromperli. Lasciai perdere l’idea.

Avevo appena smesso di studiare la carta e stavo dando al mio cervello il tempo di assorbire le immagini, quando dal terminale uscì la voce di Janet: — Marjorie, vieni in soggiorno. Spicciati!

Mi trasferii molto in fretta.

Ian stava parlando a qualcuno sullo schermo. Georges era spostato di lato, fuori campo. Janet fece cenno anche a me di non entrare in campo. — Polizia — mi disse piano. — Ti suggerisco di sparire immediatamente nel buco. Aspetta che ti chiami io quando se ne saranno andati.

Anch’io sottovoce le risposi: — Sanno che sono qui?

— Non lo sappiamo ancora.

— Assicuriamoci. Se sanno che sono qui e non mi trovano, voi sarete nei guai.

— I guai non ci fanno paura.

— Grazie. Sentiamo un po’.

Ian stava dicendo al viso sullo schermo: — Mel piantala. Georges non è uno straniero nemico e lo sai benissimo. In quanto a questa… signorina Baldwin, hai detto?… perché la cerchi qui?

— Ha lasciato il porto con te e tua moglie ieri sera. Se non è più con voi, saprete senz’altro dove è andata. In quanto a Georges, oggi come oggi ogni cittadino del Québec è uno straniero nemico, a prescindere dagli anni che ha vissuto qui o dai club a cui è iscritto. Immagino preferiate farlo arrestare da un vecchio amico che da un agente qualsiasi. Spegni la tua antiarea. Sto per atterrare.

Janet sussurrò: — Sì, un vecchio amico! È dalle superiori che cerca di venire a letto con me. Sono anni che gli ripeto di no. È viscido.

Ian sospirò: — Mel, è un momento piuttosto balordo per parlare d’amicizia. Se Georges fosse qui, sono certo che preferirebbe essere arrestato da un agente qualsiasi, non farsi portare via da un presunto amico. Per cui torna indietro e fai le cose a dovere.

— Ah è così, eh? Molto bene. Vi parla il tenente Dickey. Sono qui per operare un arresto. Disattivate l’antiarea. Sto atterrando.

— Ian Tormey, proprietario della casa. Ho ricevuto la comunicazione. Tenente, avvicinate il mandato d’arresto allo schermo in modo che possa verificarlo e fotografarlo.

— Ian, sei completamente fuori di testa. È stato dichiarato lo stato di emergenza. Non occorre nessun mandato.

— Non ti sento.

— Forse adesso mi sentirai. Attracco alla tua antiaerea e la carbonizzo. Se incidentalmente dovessi dare fuoco a qualcosa, be’, mi dispiace tanto.

Ian aprì le mani a ventaglio, disgustato, poi combinò qualcosa con la tastiera. — Antiaerea disattivata. — Mise il ricevitore in attesa e si girò verso di noi. — Voi due avete tre minuti circa per infilarvi nel buco. Non potrò trattenerlo molto alla porta.

Georges ribatté, tranquillo: — Non mi nasconderò in un buco nel terreno. Insisterò perché mi siano garantiti i miei diritti. Se mi saranno negati, appena possibile farò causa a Melvin Dickey e lo ridurrò in mutande.

Ian scrollò le spalle. — Canadese pazzo. Però ormai sei cresciuto. Marj, mettiti al sicuro, amore. Non ci vorrà molto a sbarazzarmi di lui. Non è sicuro che tu sia qui.

— Se sarà necessario scomparirò nel buco. Ma non potrei semplicemente aspettare nel bagno di Janet? Quello potrebbe andarsene. Sintonizzerò il terminale su quello che succede qui. Va bene?

— Marj, stai facendo la difficile.

— Allora convinci anche Georges a scappare nel buco. Se lui resta, potreste avere bisogno di me. Per aiutare lui e voi.

— Di che diavolo parli?

Nemmeno io sapevo di preciso di cosa stessi parlando. Però non mi sembrava degno del mio addestramento passare la mano e andarmi a nascondere in un buco sottoterra. — Ian, questo Melvin Dickey secondo me ha brutte intenzioni per Georges. Gliel’ho sentito nella voce. Se Georges non vuole venire con me nel buco, dovrei andare con lui per controllare che Dickey non gli faccia niente. Chiunque finisca nelle mani della polizia ha bisogno di un testimone a suo favore.

— Marj, non potresti mai impedire a… — Risuonò una nota profonda di gong. — Porca miseria! È alla porta. Sparisci! E ficcati nel buco!

Sparii. Non mi ficcai nel buco. Corsi nel grande bagno di Janet, accesi il terminale, poi col selettore portai sullo schermo il soggiorno. A volume alzato, era quasi come essere presente di persona.

Entrò un galletto tronfio.

Il corpo di Dickey non era piccolo: era piccola l’anima. Dickey possedeva un ego taglia dodici in un’anima taglia quattro, in un corpo grande quasi quanto quello di Ian. Apparve nella stanza con Ian, vide Georges, esclamò trionfante: — Eccoti qui! Perreault, ti arresto con l’accusa di non esserti presentato di tua spontanea volontà alla più vicina stazione di polizia, in ossequio al Decreto d’Emergenza, paragrafo sei.

— Non ho ricevuto nessun ordine.

— Oh, balle! I notiziari non parlano d’altro.

— Non ho l’abitudine di seguire i notiziari. Non conosco alcuna legge che mi obblighi a farlo. Posso vedere una copia dell’ordine che dovrebbe autorizzarti ad arrestarmi?

— Non cercare di fare il furbo con me, Perreault. Operiamo in condizioni di emergenza nazionale, e io obbedisco. Potrai leggere l’ordine alla stazione. Ian, ti nomino mio vice. Mi occorre aiuto. Prendi qua. — Dickey frugò dietro la schiena con una mano e trovò un paio di manette.

— Mettigliele. Mani dietro la schiena.

Ian non si mosse. — Mel, non fare l’idiota più del necessario. Non hai nessuna giustificazione per mettere le manette a Georges.

— Col cavolo! Siamo a corto di personale e devo eseguire questo arresto senza assistenza. Non posso correre il rischio che mi combini qualche scherzo mentre torniamo indietro. Sbrigati a mettergli le manette!

— Non puntare quella pistola su di me!

Io non stavo più guardando. Uscivo dal bagno, superavo due porte, percorrevo un lungo corridoio e arrivavo in soggiorno; il tutto con la sensazione di un movimento immobile che provo sempre quando entro in overdrive.

Dickey stava cercando di tenere sotto tiro con la pistola tre persone, e una di loro era Janet. Non avrebbe dovuto farlo. Lo raggiunsi, lo disarmai, e gli ruppi il collo. Le ossa emisero quello sgradevole scricchiolio che emettono sempre, così diverso dal crack secco di una tibia o un radio che si spezzano.

Lo depositai sul tappeto e gli misi accanto la pistola, e mi accorsi che era una Raytheon cinque-zero-cinque, tanto potente da fermare un mastodonte. Ma perché gli uomini con l’anima piccola devono avere grosse armi? Dissi: — Janet, sei ferita?

— No.

— Sono arrivata il più in fretta possibile. Ian, era questo che intendevo quando ho detto che poteva servirti aiuto. Ma avrei dovuto restare qui. Un soffio, e sarei stata in ritardo.

— Non ho mai visto nessuno muoversi così in fretta.