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— Di sparatorie ce ne sono già state abbastanza. O vuoi arruolarti negli Angeli del Signore?

— Sorridi quando dici cose del genere. O hai voglia di un bel labbro gonfio?

— Ricordi com’è andata l’ultima volta che hai cercato di sculacciarmi?

— È per questo che ho parlato di un labbro.

— Tesoro, ti prescrivo tre drink robusti o un Miltown. Mi spiace vederti sconvolto. La situazione non piace nemmeno a me, ma non credo ci sia altro da fare che aspettare che passi.

— Jan, a volte sei di una saggezza quasi irritante. La cosa che mi rovescia veramente lo stomaco è il grande buco nelle notizie, un buco senza alcuna spiegazione.

— Cioè?

— Le multinazionali. Si è parlato solo di stati territoriali, e non una parola sugli stati societari. Eppure, chiunque sia in grado di contare fino a dieci sulle punte delle dita sa dove sta il vero potere al giorno d’oggi. Quei buffoni assetati di sangue non lo sanno?

Georges disse dolcemente: — Vecchio mio, forse è proprio per questo motivo che le multinazionali non sono state indicate come bersagli.

— Sì, però… — lan si interruppe.

Io dissi: — lan, il giorno che ci siamo conosciuti mi hai fatto notare che è impossibile colpire uno stato societario. Mi hai parlato anche dell’Ibm e della Russia.

— Non ho detto questo, Marj. Ho detto che la forza militare è inutile contro una multinazionale. Di solito, quando combattono fra loro, i giganti usano soldi e procure e altre manovre a base di avvocati e banchieri, non di violenza. Oh, a volte, combattono con eserciti prezzolati, però non lo ammettono e non è il loro stile abituale. Ma i buffoni che si sono scatenati adesso usano esattamente le armi adatte per colpire e ferire una multinazionale, l’assassinio e il sabotaggio. È talmente evidente che mi preoccupa non sentirne parlare. Mi viene da chiedermi cosa stia succedendo senza che ce ne informino.

Masticai un grosso crostino di pane che avevo intinto in quella zuppa celestiale, poi dissi: — Ian, esiste la vaga possibilità che sia una o più delle multinazionali a condurre lo show, servendosi di fantocci?

Ian si rizzò di scatto sulla sedia, così in fretta da rovesciare la zuppa e sporcarsi il bavaglino. — Marj, mi sconcerti. All’inizio ti ho scelta in mezzo alla folla per motivi che non avevano nulla a che vedere col tuo cervello…

— Lo so.

— …Ma tu insisti ad avere un cervello. Hai intuito subito l’errore nell’idea della compagnia di assumere piloti artificiali, e userò il tuo argomento a Vancouver. Adesso hai preso questo assurdo puzzle di notizie e ci hai incastrato l’unico pezzo che dà senso a tutto.

— Non sono certa che abbia senso — ribattei. — Però, stando ai notiziari, ci sono stati omicidi e sabotaggi su tutto il pianeta e sulla Luna e addirittura su Cerere. Questo richiede centinaia di uomini, più probabilmente migliaia. Omicidi e sabotaggi sono lavori da specialisti; richiedono addestramento. Dei dilettanti, anche ammesso di poterli reclutare, sbaglierebbero tutto sette volte su dieci. Insomma, questa storia significa soldi. Un mucchio di soldi. Non basta un’organizzazione politica strampalata o una setta di fanatici religiosi. Chi ha i soldi per una dimostrazione del genere a livello mondiale, che coinvolge l’intero sistema? Non lo so. Ho solo buttato lì una possibilità.

— Credo che tu abbia risolto l’enigma. Resta solo da scoprire il chi. Marj, cosa fai quando non te ne stai con la tua famiglia nell’Isola del Sud?

— Non ho più famiglia nell’Isola del Sud, Ian. I miei mariti e le mie sorelle di gruppo hanno chiesto il divorzio.

(Restai scioccata quanto lui.)

Ci fu silenzio in ogni angolo. Poi Ian deglutì e disse piano: — Mi spiace molto, Marj.

— Non è necessario, Ian. È stato corretto un errore. Ormai è storia vecchia. Non tornerò in Nuova Zelanda. Però un giorno o l’altro mi piacerebbe fare un salto a Sydney, a trovare Bettie e Freddie.

— Sono sicuro che ne sarebbero felici.

— Io lo sarei senz’altro. E mi hanno invitata tutti e due. Ian, Freddie cosa insegna? Non me lo avete mai detto.

Rispose Georges. — Federico è un mio collega, cara Marjorie… Una lieta circostanza che mi ha condotto qui.

— Vero — convenne Janet. — Chubbie e Georges tagliavano geni assieme alla McGill, e tramite quell’amicizia Georges ha conosciuto Betty. Betty lo ha lanciato nella mia direzione e io l’ho preso al volo.

— Così Georges e io abbiamo stretto un patto — aggiunse Ian — visto che nessuno dei due riusciva a tenere testa a Jan da solo. Giusto, Georges?

— Hai ragione, fratello mio. Ammesso che assieme riusciamo a tenere testa a Janet.

— Sono io che ho problemi con voi due — commentò Jan. — Dovrei convincere Marj a firmare come mia assistente. Marj?

Non presi sul serio quella quasi-offerta perché ero certa che non fosse seria. Tutti quanti stavano chiacchierando a vuoto per coprire la bomba che io avevo fatto cadere. Lo sapevamo bene. Ma nessuno, a parte me, si era accorto che l’argomento non era più il mio lavoro? Sapevo cosa era successo; ma perché mai la parte profonda della mia mente aveva deciso di cambiar discorso in modo così melodrammatico? Non avrei mai svelato i segreti del Boss!

All’improvviso, avvertii il desiderio urgente di comunicare con Boss. Era coinvolto in quegli strani eventi? Se sì, da che parte stava?

— Ancora un po’ di zuppa, cara signora?

— Non darle altra zuppa finché non avrà risposto.

— Ma Jan, non dicevi sul serio. Georges, se prendo dell’altra zuppa mangerò altro pane all’aglio. E diventerò grassa. No. Non tentarmi.

— Altra zuppa?

— Be’… solo un pochino.

— Sono serissima — insistette Jan. — Non sto cercando di metterti le manette, anche perché probabilmente avrai il dente avvelenato col matrimonio. Però potresti provarci, e fra un anno potremmo discuterne. Se ne avrai voglia. Nel frattempo, ti terrò come mio cagnolino… E permetterò a quei due caproni di restare nella stessa stanza con te solo se sarò soddisfatta di come si comporteranno.

— Aspetta uri minuto! — Protestò Ian. — Chi l’ha portata qui? Io. Marj è il mio dolce amore.

— Il dolce amore di Freddie, stando a Betty. Tu l’hai portata qui per delega di Betty. In ogni caso, questo accadeva ieri, e oggi lei è il mio dolce amore. Se uno di voi due vuole parlarle, dovrete venire da me e farvi punzonare il biglietto. Giusto, Marjorie?

— Se lo dici tu, Jan. Ma la questione è puramente teorica, perché io devo assolutamente andarmene. Avete in casa una carta a scala grande del confine? Il confine a sud, intendo.

— Abbiamo un’ottima carta. Richiamala sul computer. Se vuoi uno stampato, usa il terminale del mio studio, a destra della camera da letto.

— Non voglio interferire coi notiziari.

— Non interferirai. Possiamo scollegare qualunque terminale dagli altri. È necessario in una casa di individualisti indemoniati.

— Specialmente Jan — convenne Ian. — Marj, perché vuoi una carta del confine dell’Impero?

— Preferirei tornare a casa in sotterranea. Ma non posso. Visto che non posso, devo trovare qualche altro modo.

— Come pensavo. Tesoro, dovrò nasconderti le scarpe. Non ti rendi conto che se cerchi di attraversare quel confine possono spararti? Poco ma sicuro, in questo momento le guardie su tutti e due i lati avranno il grilletto facile.

— Ehm… Posso almeno studiarmi la carta?

— Sicuro. Se prometti di non tentare di passare dall’altra parte del confine.

Georges disse dolcemente: — Fratello mio, non si dovrebbe mai indurre una persona cara a mentire.

— Georges ha ragione — decise Jan. — Niente promesse forzate. Fai pure Marj. Sparecchio io. Ian, ti sei offerto volontario per darmi una mano.

Trascorsi le due ore seguenti al terminale del computer, nella stanza presa a prestito. Memorizzai il confine nel suo insieme, poi passai all’ingrandimento massimo e imparai alcune zone nei minimi particolari. Nessun confine può davvero essere chiuso al cento per cento, nemmeno le impervie mura con cui alcuni stati totalitari circondano i loro sudditi. Di solito le rotte migliori sono nei paraggi dei porti d’ingresso custoditi; in quei punti, spesso, le vie di contrabbando filano lisce come l’olio. Ma io non avrei seguito una rotta già nota.