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— Sì, signore. — (Non provai a raccontargli dell’asilo infantile del laboratorio; gli umani pensano che tutti gli asili siano identici a quelli che loro hanno visto. Non gli dissi del cucchiaio di plastica, l’unica cosa che mi lasciarono per portarmi il cibo alla bocca fino a dieci anni d’età, perché non volevo dirgli che la prima volta che tentai di usare una forchetta mi forai il labbro fino a farlo sanguinare, e quelli là si misero a ridere. Non si tratta di una cosa sola; si tratta di un milione di piccole cose che segnano la differenza tra l’essere allevato come un bambino umano e l’essere allevato come un animale.)

— Seguirai un corso d’aggiornamento sul combattimento a mani nude, ma lavorerai solo col tuo istruttore. Il tuo corpo non dovrà aver subito il minimo danno, quando andrai a trovare la tua famiglia a Christchurch. Riceverai un addestramento avanzato in armi portatili, comprese alcune di cui forse non hai mai sentito parlare. Se cambiassi binario, ne avrai bisogno.

— Boss, io non diventerò un assassino!

— Ne hai bisogno lo stesso. A volte un corriere deve essere armato, e al meglio delle possibilità. Friday, non disprezzare indiscriminatamente gli assassini. Sono strumenti, e meriti o colpe stanno nel modo in cui li si usa. Il declino e la caduta degli ex Stati Uniti del Nord America sono derivati in parte da omicidi. Ma solo in piccola parte, dato che gli omicidi non seguivano alcun piano ed erano inutili. Cosa sai dirmi della guerra fra Russia e Prussia?

— Non molto. Grosso modo, che i prussiani sono finiti inchiodati al muro quando i ricconi più furbi hanno capito che avrebbero vinto.

— Se ti dicessi che sono state dodici persone a vincere quella guerra, sette uomini e cinque donne, e che l’arma più pesante che si sia usata era una pistola calibro sei millimetri?

— Non credo che tu mi abbia mai mentito. Com’è andata?

— Friday, la materia grigia è il bene più raro, e l’unico che abbia un vero valore. Qualunque organizzazione umana si può rendere inutile, impotente, pericolosa per se stessa, togliendole con cura le menti migliori e lasciando al loro posto gli stupidi. Sono bastati pochi, accurati incidenti per rovinare la grande macchina militare prussiana e trasformarla in un gregge acefalo. Ma questo si scoprì solo un bel po’ dopo l’inizio delle ostilità, perché gli idioti più dementi sembrano geni militari, a tavolino.

— Solo una dozzina di persone… Boss? Lo abbiamo fatto noi quel lavoro?

— Sai che scoraggio domande di questo tipo. No, non siamo stati noi. L’operazione bellica è stata condotta da un’organizzazione piccola e specializzata come la nostra. Però io non coinvolgo scientemente la nostra agenzia in guerre fra nazioni. È difficile capire subito da che parte stanno gli angeli.

— Comunque, non ho nessuna voglia di essere un assassino.

— Non ti permetterò di essere un assassino, e non discutiamone più. Stai pronta a partire domani alle nove.

5

Nove settimane più tardi partii per la Nuova Zelanda.

Devo dire una cosa di Boss: quel bulletto arrogante sa sempre quello che dice. Quando il dottor Krasny mi dimise, non stavo «meglissimo». Ero semplicemente un paziente guarito che non aveva più bisogno dell’assistenza continua di un’infermiera.

Nove settimane più tardi avrei potuto guadagnare medaglie d’oro nelle vecchie Olimpiadi senza un filo di sudore. Quando salii sull’Sb Abel Tasman al portolibero di Winnipeg, il comandante mi mise addosso gli occhi. Sapevo di avere un bell’aspetto, e nel raggiungere il mio sedile sculettai in un modo che non avrei mai usato in missione: come corriere, di solito cerco di sparire nell’ambiente. Ma adesso ero in ferie, e farsi pubblicità è divertente. A quanto sembrava, non avevo dimenticato l’arte, visto che il comandante tornò da me mentre mi stavo ancora allacciando la cintura. O forse era solo per via della tuta Superpelle che indossavo. Una novità della stagione, e la mia prima in assoluto; l’avevo comperata al portolibero e mi ero cambiata in negozio. Sono sicura che è solo questione di tempo prima che le sette che considerano il sesso legato, chissà come, al peccato, dicano che portare una Superpelle è peccato mortale.

Lui disse: — La signorina Baldwin, giusto? C’è qualcuno che vi aspetta ad Auckland? Con la guerra e tutto il resto, non è una buona idea per una signora trovarsi sola in un porto internazionale.

(Non gli dissi: «Senti, scemo, l’ultima volta ho ucciso il porco.») Il capitano era alto uno e novantacinque, forse, e doveva pesare sui cento chili o più, e senza un briciolo di grasso. Poco più di trent’anni. Il tipico biondo che ci si aspetterebbe nella Sas, più che nell’Anzac. Se voleva fare il protettivo, ero pronta a dargli corda. Gli risposi: — Non mi aspetta nessuno, devo solo prendere lo shuttle per l’Isola del Sud. Come funzionano queste fibbie? Ehi, quelle strisce significano che siete il capitano?

— Vi faccio vedere. Capitano, sì. Capitano Ian Tormey. — Cominciò ad allacciarmi la cintura; lo lasciai fare.

— Capitano. Santo cieeelo! Non avevo mai conosciuto un capitano. — Una frase del genere non è nemmeno una frottola, se viene usata come risposta rituale nel balletto più antico del mondo. Lui mi aveva detto: — Sono in caccia e tu mi piaci. Ti interessa? — E io gli avevo risposto: — Mi sembri accettabile, ma mi duole informarti che oggi non ho tempo.

A quel punto, lui poteva aggiornare la questione senza sentirsi ferito, oppure scegliere di investire il suo zelo nella possibilità di un incontro futuro. Optò per la seconda soluzione.

Mentre finiva di allacciare la cintura (abbastanza stretta, ma non troppo, e senza cogliere l’occasione per una palpatina; da vero professionista) disse: — Oggi avrete poco tempo a disposizione per la coincidenza. Se allo sbarco non avrete troppa fretta e scenderete per ultima, sarò lieto di mettervi a bordo del vostro Kiwi. Farete prima che ad aprirvi la strada tra la folla da sola.

(Tra un volo e l’altro c’è un intervallo di ventisette minuti, capitano; il che ti lascerebbe venti minuti per convincermi a cambiare idea. Ma continua a essere così gentile, e può darsi che mi arrenda.) — Grazie, capitano! Se non vi do troppo disturbo.

— Servizio Anzac standard, signorina Baldwin. Ma sarà un piacere.

Mi piace viaggiare sui semibalistici: il decollo ad alta gravità che dà sempre l’impressione che l’intelaiatura di sostegno debba rompersi e spruzzare fluido in tutta la cabina, i minuti ansanti in caduta libera quando sembra che le viscere debbano rovesciarsi fuori, poi il rientro e quel lungo, lungo scivolare in aria che batte le sensazioni di qualunque altro mezzo di trasporto. Dov’è che ci si può divertire di più in quaranta minuti, coi vestiti addosso?

Poi viene un interrogativo sempre interessante: la pista d’atterraggio è sgombra? Un semibalistico non fa due passaggi: non può.

Qui sull’opuscolo pubblicitario sta scritto che un Sb non decolla mai prima di aver ricevuto l’autorizzazione dal porto d’arrivo. Sicuro, sicuro, e io credo nella Buona Fatina dei Denti Caduti come i genitori di Boss. E il cretino sul Vma privato che sceglie la striscia sbagliata per parcheggiare? E quella volta a Singapore quando ero seduta al bar del Ponte Superiore e ho visto atterrare tre Sb in nove minuti? Non sulla stessa striscia, lo ammetto, ma su strisce che si incrociavano! Una roulette russa.

Continuerò a usare gli Sb. Mi piacciono, e nella mia professione devo servirmene spesso. Però trattengo sempre il fiato da quando tocchiamo terra a quando ci fermiamo.

Quel viaggio fu divertente come al solito, e un volo su un semibalistico non è mai tanto lungo da diventare noioso. Al momento dello sbarco me la presi con calma, e come no, il mio gentilissimo lupo uscì dalla cabina di pilotaggio proprio mentre io scendevo. L’assistente di volo mi passò la mia borsa e il capitano Tormey la prese, nonostante le mie false proteste.