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Christchurch è la città più deliziosa di questo mondo.

Facciamo di ogni mondo, considerato che al di fuori della Terra non esiste ancora una città veramente deliziosa. Luna City è nel sottosuolo. Elle-Cinque, vista da fuori, sembra il cortile di un robivecchi, e vista da dentro ha una sola arcata bella. Le città marziane sono semplici alveari, e la maggioranza delle città terrestri soffrono dello sciagurato tentativo di somigliare a Los Angeles.

Christchurch non ha la magnificenza di Parigi o l’ambiente naturale di Los Angeles o il porto di Rio. Però ha cose che rendono una città, più che sorprendente, adorabile: il dolce Avon che serpeggia fra le strade del centro. La bellezza matura di Cathedral Square. La fontana di Ferrier di fronte al municipio. La rigogliosa bellezza dei nostri giardini botanici famosi in tutto il mondo, in pieno centro.

I greci lodano Atene. Però io non sono nata a Christchurch (se «nata» significa qualcosa, nel mio caso). Non sono nemmeno un’ennezeta. Ho conosciuto Douglas in Ecuador (era prima della catastrofe del Ganciaereo di Quito), sono rimasta affascinata da una frenetica relazione composta al cinquanta per cento da cocktail peruviani e all’altro cinquanta da lenzuola inzuppate di sudore, poi sono stata spaventata dalla sua proposta; mi sono calmata quando mi ha fatto capire che non mi chiedeva di impegnarmi ufficialmente ma solo di fare un salto al suo gruppo-S, per vedere se loro mi piacevano, e se io piacevo a loro.

Tutta un’altra storia. Tornai di corsa all’Impero e feci rapporto, e dissi a Boss che mi prendevo gli arretrati di ferie; oppure preferiva le mie dimissioni? Lui mugugnò che facessi pure, che mi raffreddassi le gonadi, e mi rimettessi in contatto appena pronta per lavorare. Così feci un’altra corsa a Quito, e Douglas era ancora a letto.

All’epoca non esistevano vie di comunicazione diretta dall’Ecuador alla Nuova Zelanda; così arrivammo in sotterranea fino a Lima, poi prendemmo un Sb che ci portò diritti sopra il Polo Sud fino al porto dell’Australia occidentale, a Perth (con una bizzarra rotta a S per colpa di Coriolis); sotterranea fino a Sydney, balzo per Auckland, volo fino a Christchurch: quasi ventiquattro ore, e il più folle dei percorsi solo per attraversare il Pacifico. Winnipeg e Quito si trovano quasi alla stessa distanza da Auckland. Non lasciatevi ingannare da una carta geografica a due dimensioni, chiedete al vostro computer: Winnipeg è più lontana solo di un ottavo.

Quaranta minuti in confronto a ventiquattro ore. Ma il viaggio così lungo non mi diede fastidio; ero con Douglas, innamorata marcia.

Nel giro di altre ventiquattro ore mi ero innamorata marcia di tutta la famiglia.

Non me l’aspettavo. Mi ero preparata a una deliziosa vacanza con Douglas, lui mi aveva promesso dello sci, oltre al sesso; non che io avessi insistito per lo sci. Sapevo di essere implicitamente tenuta ad andare a letto coi suoi fratelli di gruppo, se me lo avessero chiesto. Ma la cosa non mi preoccupava perché semplicemente, una persona artificiale non può prendere sul serio la copula come fa la maggioranza degli umani. Molte delle femmine della mia «generazione», dal menarca in poi, erano state educate a diventare etere, dopo di che erano state assunte come accompagnatrici dall’una o dall’altra multinazionale edile. Io stessa avevo ricevuto i rudimenti dell’arte dell’etera prima che Boss spuntasse, acquistasse il mio contratto, e mi facesse cambiare binario. (E io mandai al diavolo il contratto e scomparvi per diversi mesi, ma questa è un’altra storia.)

Comunque, un po’ di sesso cameratesco non mi avrebbe allarmato nemmeno senza l’educazione da etera. Idiozie del genere non sono tollerate nelle Pa; non ce le insegnano mai.

E non ci insegnano nulla sul fatto di vivere in famiglia. Il mio primo giorno lì, costrinsi tutti a prendere il tè in ritardo perché continuai a rotolarmi per terra con sei cuccioli umani che andavano dagli undici anni fino al neonato… per non parlare di due o tre cani e di un giovane gatto che si era meritato il nome di Signor Sottoipiedi grazie alla sua insolita abilità nell’occupare da solo un intero pavimento.

In vita mia non avevo mai provato niente del genere. Non volevo che finisse.

Brian, non Douglas mi portò a sciare. Le baite di Mount Hutt sono splendide ma le camere da letto non vengono riscaldate dopo le ventidue, e per tenersi caldi, bisogna stare stretti. Poi Vickie mi portò a vedere il gregge di famiglia e mi venne presentato un cane super che parlava, un grosso collie chiamato Lord Nelson. Lord aveva un’opinione molto bassa del buonsenso delle pecore, e ritengo fosse pienamente giustificato.

Bertie mi portò a Milford Sound via shuttle per Dunedin (la «Edimburgo del sud») e passammo la notte lì: Dunedin è carina ma non è Christchurch. Poi prendemmo un delizioso vaporetto per fare il giro della terra dei fiordi, e le cabine erano piccole piccole, grandi abbastanza per due persone solo perché al lato sud dell’isola fa un freddo cane, e di nuovo dovetti tenermi molto stretta.

Al mondo non esistono fiordi che possano competere con Milford Sound. Sì, ho fatto il giro dell’arcipelago Lofoten. Molto carino. Ma non cambierò idea.

Se vi sembra che io nutra, per l’Isola del Sud, gli stessi pregiudizi di una madre per il suo primo figlio, be’, è semplicemente perché è vero. L’Isola del Nord è un posto bellissimo, con le sue stazioni termali e il mondo fantastico delle Caverne dei vermi luminosi. E la Baia delle Isole sembra il regno delle fate. Ma l’Isola del Nord non ha le Alpi del Sud, e non ha Christchurch.

Douglas mi portò a visitare il loro caseificio, e vidi grandi vasche piene di uno stupendo burro che poi veniva impacchettato. Anita mi presentò alla Società dell’Altare. Cominciai a rendermi conto che forse, solo forse, mi invitavano a rendere definitiva la situazione. E scoprii di essere passata da Oddio-cosa-faccio-se-me-lo-chiedono a Oddio-cosa-faccio-se-non-me-lo-chiedono al più semplice Oddio-cosa-faccio?

Vedete, non avevo mai detto a Douglas che non sono umana.

Ho sentito umani vantarsi di saper identificare sui due piedi una persona artificiale. Assurdo. Ovviamente, chiunque sa distinguere una creatura sintetica vivente che non abbia aspetto umano; un uomo con quattro braccia, diciamo, o un coboldo. Ma se gli ingegneri genetici si sono volontariamente limitati all’aspetto umano (ed è questa la definizione tecnica di «persona artificiale», in contrapposizione a «creatura sintetica vivente»), nessun umano può scoprire la differenza; no, nemmeno un altro ingegnere genetico.

Io sono immune al cancro e a molte altre malattie. Ma non porto un cartello che lo annuncia al pubblico. Ho riflessi insoliti. Ma non ne do spettacolo afferrando al volo una mosca fra pollice e indice. Non gareggio mai con altra gente in prove di destrezza.

Ho una memoria insolita, una facilità innata e insolita nel comprendere numeri e rapporti spaziali, una propensione insolita per le lingue. Ma se voi pensate che questo significhi un quoziente intellettivo da genio, permettetemi di aggiungere che, nelle scuole che mi hanno educata, l’obiettivo di un test di Qi consiste nell’ottenere esattamente il punteggio prefissato, non nel fare sfoggio di intelligenza. In pubblico, nessuno mi scoprirà mai più intelligente di chi mi sta attorno, a meno che non si tratti di un’emergenza e non ci siano di mezzo la mia missione o il mio collo, o tutte e due le cose.

L’insieme di queste e altre migliorie serve, stando a fonti attendibili, a migliorare le prestazioni sessuali; ma, fortunatamente, molti maschi sono inclini a considerare i miglioramenti in quest’area come semplici riflessi della loro eccellenza. (Considerata nell’ottica giusta, la vanità maschile è una virtù, non un vizio. Trattata nel modo giusto, rende il maschio molto più gradevole. L’aspetto di Boss che mi fa più infuriare è la sua totale mancanza di vanità. Quell’uomo non offre nessun appiglio!)