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Un giorno o l’altro avrò la meglio in una discussione con Boss.

Ma non trattenete il fiato.

Ci sono stati giorni in cui non ho perso una discussione con lui: i giorni in cui non venne a trovarmi.

Cominciò con una divergenza d’opinione sulla durata della mia terapia. Io mi sentivo pronta a tornare a casa o al lavoro, indifferentemente, dopo quattro giorni. Magari non sarebbe stato il caso di impegnarmi in una scazzottata, ma potevo assumere incarichi leggeri; oppure, come scelta preferita, farmi un viaggio in Nuova Zelanda. Tutte le mie ferite si stavano rimarginando.

Non erano poi un granché: un sacco di ustioni, quattro costole rotte, fratture semplici alla tibia e alla fibula sinistre, fratture multiple alle ossa del piede destro e a tre dita del sinistro, una frattura cranica senza complicazioni all’attaccatura dei capelli; e (un bel disastro, ma niente di paralizzante) qualcuno mi aveva staccato il capezzolo destro.

Quest’ultima cosa, e le ustioni e le fratture alle dita dei piedi, erano tutto ciò che ricordavo; gli altri incidenti dovevano essersi verificati mentre io ero distratta da questioni più urgenti.

Boss disse: — Friday, sai che occorreranno almeno sei settimane per rigenerare quel capezzolo.

— Ma con la chirurgia plastica, per un semplice lavoro di cosmesi basterebbe una settimana. Me lo ha detto il dottor Krasny.

— Mia giovane signora, se un membro della nostra organizzazione resta menomato nell’adempimento del dovere, sarà curato con tutta la perfezione concessa dall’arte terapeutica. A parte questa nostra regola fondamentale, nel tuo caso c’è un altra ragione, impellente e sufficiente. Tutti noi abbiamo l’obbligo morale di conservare e salvaguardare la bellezza che esiste a questo mondo. Non c’è posto per gli sprechi. Tu possiedi un corpo insolitamente aggraziato. Ogni danno che esso subisce è deplorevole, e va riparato.

— La chirurgia estetica va benissimo, te l’ho detto. Non prevedo di avere latte, in queste anfore. E chiunque verrà a letto con me non ci farà caso.

— Friday, forse tu ti sei convinta che non dovrai mai allattare. Ma dal punto di vista estetico, un seno reale è molto diverso da un’imitazione chirurgica. Il tuo ipotetico compagno di letto potrà anche non accorgersene… Ma lo sapresti tu, e lo saprei io. No, mia cara. Ti riporteremo alla tua precedente perfezione.

— Hmm! E quand’è che ti farai rigenerare quell’occhio?

— Non essere impertinente, figliola. Nel mio caso non c’è alcun problema estetico.

Così la mia tetta tornò bella come prima, o forse anche di più. La discussione successiva fu sul riorientamento che ritenevo necessario per correggere questo mio riflesso a uccidere così fulmineo. Quando tirai in ballo l’argomento, Boss fece la faccia di chi avesse appena morso qualcosa di schifoso. — Friday, a quanto ricordo non hai mai commesso un omicidio che si sia poi rivelato un errore. Hai ucciso qualcuno di cui non sono al corrente?

— No, no — replicai subito. — Non ho mai assassinato nessuno prima di cominciare a lavorare per te, e ho fatto rapporto su tutti i miei omicidi.

— In questo caso, si è sempre trattato di autodifesa.

— Sempre, a parte Belsen. Quella non è stata autodifesa. Non mi aveva toccata nemmeno con un dito.

— Beaumont. Per lo meno, era il nome che usava di solito. A volte, l’autodifesa deve assumere la forma di «Fai agli altri quello che gli altri farebbero a te, ma fallo per primo». De Camp, credo. O un altro della scuola dei filosofi pessimisti del ventesimo secolo. Farò portare il dossier di Beaumont, così vedrai da te che meritava ampiamente di morire.

— Non è il caso. Frugando nel suo borsello ho capito che non mi seguiva perché aveva voglia di baciarmi. Ma l’ho capito dopo.

Boss aspettò diversi secondi prima di rispondere, il che era molto insolito. — Friday, vuoi cambiare binario e diventare un killer?

Io restai a bocca aperta e occhi sgranati. La mia risposta fu tutta lì.

— Non volevo spaventarti — disse Boss, secco. — Avrai già dedotto che questa organizzazione comprende degli assassini. Non voglio perderti come corriere. Sei il migliore. Ma assassini in gamba ci servono sempre, dato che il loro tasso d’estinzione è elevato. Comunque, esiste una differenza fondamentale tra un corriere e un assassino. Un corriere uccide solo per autodifesa e spesso per riflesso… e, lo ammetto, sempre con una certa possibilità di errore… e non tutti i corrieri posseggono il tuo supremo talento nell’integrare all’istante tutti i fattori e arrivare a una conclusione necessaria.

— Ehi!

— Hai sentito bene. Friday, una delle tue debolezze è la mancanza del minimo indispensabile di presunzione. Un killer degno del nome non uccide per riflesso; uccide per pianificazione intenzionale. Se il suo piano si dimostra errato al punto di costringerlo a passare all’autodifesa, il killer quasi certamente diventerà una statistica. Nei suoi delitti premeditati, sa sempre il perché e ne accetta la necessità… Se no non lo spedirei in missione.

(Delitto premeditato? Omicidio, per definizione. Alzarsi il mattino, mangiare una bella colazione, poi presentarsi all’appuntamento con la vittima e farla fuori a sangue freddo? Cenare e dormire senza problemi?) — Boss, non credo sia il mio tipo di lavoro.

— Non sono certo che tu abbia il temperamento necessario. Comunque, per il momento, mantieniti aperta. Io non ardo dal desiderio di rallentare i tuoi riflessi di autodifesa. Per di più posso assicurarti che se cercassimo di riorientarti come ci chiedi, non ti userei più come corriere. No. Rischiare la pelle è affare tuo… nel tempo libero. Ma le tue missioni sono sempre critiche. Non userò un corriere che ha deciso di sua spontanea volontà di smussare i suoi lati più taglienti.

Boss non mi convinse, però mi rese insicura di me. Quando gli ripetei che non mi interessava diventare un killer, lui sembrò addirittura non sentirmi; borbottò solo che mi avrebbe fatto avere qualcosa da leggere.

Mi aspettavo di veder apparire il materiale, di qualunque cosa si trattasse, sul terminale della stanza. Invece, una ventina di minuti dopo l’uscita di Boss, un ragazzo molto giovane (be’, più giovane di me) si materializzò con un libro, un libro rilegato con pagine di carta. Sopra c’era stampigliato un numero di serie e CONSULTAZIONE RISERVATA E SOLO IN CASO DI NECESSITÀ E TOP SECRET AUTORIZZAZIONE BLU SPECIALE.

Guardai il libro. Ero ansiosa di riceverlo come di prendere in mano un serpente. — È per me? Deve esserci un errore.

— Il Vecchio non fa errori. Firmatemi la ricevuta.

Lo feci aspettare mentre leggevo i caratteri minuscoli. — Qui, dove dice «Non lo perderò mai di vista»… Ogni tanto dormo.

— Chiamate l’Archivio, chiedete dell’addetto ai documenti classificati, che poi sarei io, e arriverò in un lampo. Però cercate di non addormentarvi finché non sarò qui. Cercate con tutte le vostre forze.

— Okay. — Firmai la ricevuta, alzai la testa, e lo trovai a scrutarmi con occhi lucidi. — Cosa stai guardando?

— Ehm… Signorina Friday, siete bella.

Non so mai cosa rispondere a frasi del genere, perché non sono bella. Ho un corpo decente, d’accordo, ma ero vestita dalla testa ai piedi. — Com’è che sai il mio nome?

— Ma lo sanno tutti chi siete. Insomma… Due settimane fa. Alla fattoria. C’eravate voi.

— Oh. Sì, c’ero. Però non ricordo.

— Ricordo io! — Gli brillavano gli occhi. — È l’unica volta che ho potuto partecipare a un’operazione sul campo. Sono felice di avervi preso parte!

(Cosa si fa in casi simili?)

Gli presi la mano, lo attirai a me, gli presi il viso fra le mani, lo baciai con molta attenzione, a mezza strada fra il-caldo-abbraccio-della-sorellina e il facciamolo! Forse il protocollo richiedeva qualcosa di più forte, ma lui era in servizio e io ero ancora nella lista dei degenti. Non è giusto sottintendere promesse che non si possono mantenere, specialmente coi ragazzi giovani che hanno le stelle negli occhi.