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«Che tono rassicurante per un paziente», ribatté lui, alzandosi e stiracchiandosi.

L’aereo vacillò e si oscurò. Lisa lo tenne per un braccio. Il mondo s’illuminò e si stabilizzò. Non era l’aereo, era solo la sua testa.

«Promettimi che dormirai ancora un po’, prima dell’atterraggio», disse lei, stringendogli il gomito in una morsa.

«Se c’è tempo…»

Lisa aveva una presa d’acciaio.

«Okay, lo prometto.»

Lei allentò la presa e indicò Anna con un cenno del capo. La donna era china su una pigna di fatture. Stava passando in rassegna le polizze di carico delle merci destinate alla tenuta Waalenberg. Cercava qualsiasi indizio utile a confermare che i Waalenberg avessero acquistato il materiale necessario al funzionamento di una Campana.

«Vorrei sapere qualcosa di più di come funziona questo aggeggio», disse Lisa. «Le teorie fondamentali su cui è basata. Se la malattia danneggia i quanti, dobbiamo capire come e perché. Lei e Gunther sono gli unici sopravvissuti del Granitschloß. Dubito che Gunther sia stato istruito sugli aspetti teorici più sofisticati della Campana.»

Painter annuì. «Più cane da guardia che scienziato.»

Come a confermare la sua descrizione, l’uomo si mise a russare sonoramente.

«Tutte le conoscenze rimanenti riguardo alla Campana sono nella testa di Anna. Se dovesse perdere il senno…»

Lo avrebbero perso tutti quanti.

«Dobbiamo ottenere quelle informazioni prima che ciò avvenga», convenne Painter.

Lisa lo guardò negli occhi. Non nascose i suoi pensieri, le si leggevano in viso. Painter ripensò a quando era salita sull’aereo, a Katmandu. Esausta, coi nervi a pezzi, non aveva esitato ad andare con loro. Aveva capito. Come in quel momento.

Non erano a rischio soltanto la mente e la memoria di Anna, anche Painter era in pericolo. Soltanto una persona aveva seguito l’intera faccenda fin dall’inizio, una persona con le conoscenze mediche e scientifiche necessarie, e non minacciata dall’incombere della demenza. Al castello, Lisa e Anna avevano conversato a lungo da sole. Per conto suo, Lisa aveva esplorato a fondo la biblioteca di Anna. Chi poteva sapere quale dettaglio si sarebbe rivelato critico, facendo la differenza tra il successo e il fallimento?

Lisa aveva capito.

Non c’era stato bisogno di dire nulla, a Katmandu. Era semplicemente salita a bordo.

Fece scivolare la mano su quella di Painter. Gli strizzò le dita e indicò Anna con un cenno del capo. «Andiamo a spremerle le meningi.»

«Per capire come funziona la Campana, dovete innanzitutto comprendere la teoria dei quanti», iniziò Anna.

Lisa osservò la donna. Aveva le pupille dilatate per la codeina. Parlava troppo e le tremavano le dita, così stringeva forte gli occhiali da lettura con entrambe le mani, come se fossero un’ancora. Si erano appartati in coda al jet. Gunther continuava a dormire, sotto gli occhi dei militari, nella parte anteriore.

«Non penso che abbiamo tempo per un corso universitario», replicò Painter.

«Certo. L’importante è capire tre principi.» Anna mollò gli occhiali abbastanza a lungo per sollevare un dito. «In primo luogo, dobbiamo capire che, una volta che la materia è scomposta al livello dei quanti, le leggi classiche dell’universo cominciano a erodersi. Max Planck scoprì che elettroni, protoni e neutroni si comportano sia come particelle sia come onde. Il che appare contraddittorio. Le particelle hanno orbite e tracciati distinti, mentre le onde sono più indefinite, mancano di coordinate specifiche.»

«E queste particelle subatomiche si comportano in tutti e due i modi?» chiese Lisa.

«Hanno il potenziale di essere o un’onda o una particella», specificò Anna. «E questo ci conduce al prossimo punto: il Principio di indeterminazione di Heisenberg.»

Lisa ne aveva già sentito parlare e aveva approfondito l’argomento nel laboratorio di Anna. «Heisenberg sostiene che nulla è certo finché non viene osservato. Ma non capisco cosa c’entri con elettroni, protoni e neutroni.»

«L’esempio migliore del principio di Heisenberg è il gatto di Schrödinger», rispose Anna. «Si mette un gatto in una scatola sigillata, collegata a un apparecchio che può avvelenare il gatto in qualsiasi momento oppure no, in modo del tutto casuale. Morto o vivo. Heisenberg ci dice che in quella situazione, con la scatola chiusa, il gatto è potenzialmente sia morto sia vivo. Soltanto quando qualcuno apre la scatola e ci guarda dentro, la realtà sceglie uno stato oppure l’altro. Morto o vivo.»

«Suona più filosofico che scientifico», ribatté Lisa.

«Forse finché si parla di un gatto. Ma è stato dimostrato che è vero, a livello subatomico.»

«Dimostrato? Come?» chiese Painter. Era rimasto seduto in silenzio fino a quel momento, lasciando che fosse Lisa a fare le domande. Lui sapeva già molte di quelle cose, ma voleva consentirle di procurarsi tutte le informazioni che le servivano.

«Col classico test della doppia fessura», rispose Anna. «Ed eccoci al punto numero tre.» Prese due pezzi di carta, disegnò due fessure su uno dei due e li appoggiò in verticale, l’uno dietro l’altro.

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«Ciò che sto per dirvi sembrerà privo di senso… Immaginiamo che questo pezzo di carta sia una parete di cemento e le fessure siano due finestre. Se prendiamo un fucile e cominciamo a sparare alle fessure, sulla seconda parete otterremo un determinato schema. Come questo.»

Prese il secondo pezzo di carta e lo punzonò.

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«Chiamiamo schema di diffrazione A il modo in cui i proiettili o le particelle passerebbero attraverso queste fessure.»

Lisa annuì. «Okay.»

«Poi, invece dei proiettili, puntiamo un grande riflettore sulla parete, facendo passare la luce attraverso le fessure. Poiché la luce viaggia sotto forma di onde, sulla seconda parete otterremo uno schema diverso.» Disegnò uno schema di fasci chiari e scuri su un altro pezzo di carta.

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«Questo schema, che chiameremo B, deriva dal fatto che le onde di luce che attraversano la finestra di destra e quella di sinistra interferiscono l’una con l’altra.»

«Capito», disse Lisa, anche se non era sicura di dove stessero andando a parare.

Anna mostrò i due schemi. «Ora prendiamo una pistola a elettroni e spariamo un unico fascio di elettroni sulle due fessure. Quale schema otterremo?»

«Siccome spariamo elettroni come se fossero pallottole, direi lo schema di diffrazione A», rispose Lisa, indicando il primo disegno.

«In realtà, negli esperimenti di laboratorio si ottiene il secondo: lo schema di interferenza B.»

«Lo schema delle onde… Perciò gli elettroni escono dalla pistola non come pallottole, ma come la luce di una torcia, viaggiando sotto forma di onde e creando lo schema B?»

«Esatto.»

«Quindi gli elettroni si muovono come onde.»

«Sì, ma soltanto quando nessuno assiste effettivamente al passaggio degli elettroni attraverso le fessure.»

«Non capisco.»

«In un altro esperimento, gli scienziati hanno collocato un piccolo contatore presso una delle fessure. Emetteva un bip ogni volta che un elettrone attraversava la fessura, misurando — in altre parole osservando — il passaggio di un elettrone davanti al sensore. Qual era lo schema sull’altra parete quando l’apparecchio era in funzione?»

«Be’, non dovrebbe cambiare, giusto?»

«Non nel mondo subatomico: non appena veniva acceso l’apparecchio, si otteneva subito lo schema di diffrazione A.»