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«Sì, perché?»

«Potete darmi un passaggio?»

«Non penso…»

Ryan lo interruppe. «Prima chiedeva informazioni su mio bisnonno, Hugo. Forse posso dirvi qualcosa di interessante. Vi costerà soltanto un passaggio.»

Gray esitò. Il giovane doveva avere origliato la loro conversazione col padre. Che cosa poteva sapere Ryan che Johann ignorasse? Eppure lo fissava con uno sguardo serio.

Gray aprì la portiera posteriore per farlo salire.

«Danke.» Ryan chiuse l’ombrello e s’infilò nell’auto, accanto a Fiona.

Gray si mise al volante. Dopo un attimo, l’auto procedeva sobbalzando sul viale.

«Ma non dovresti occuparti dell’ostello?» chiese Monk.

«Alicia mi sostituisce alla reception», rispose Ryan. «Col temporale staranno tutti attorno al camino.»

Gray studiò il giovane nello specchietto retrovisore. D’un tratto sembrava a disagio, sotto gli sguardi indagatori di Monk e Fiona. «Che cosa ci volevi dire?»

Ryan incrociò il suo sguardo nello specchietto. «Mio padre pensa che io non sappia nulla del bisnonno. Pensa che sia meglio seppellire il passato. Ma girano ancora voci su di lui e su zia Tola.»

Gray sapeva che i segreti di famiglia avevano la tendenza a riemergere, a prescindere da quanto ci si sforzasse di seppellirli. Era evidente che qualcosa aveva suscitato la curiosità di Ryan riguardo ai suoi antenati e al loro ruolo durante la guerra.

«Ti sei messo a scavare nel passato per conto tuo?»

Ryan annuì. «Da tre anni, ormai. Ma tutto ha origine dalla caduta del muro di Berlino e dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica.»

«Non capisco», disse Gray.

«Ricorda quando la Russia ha desecretato alcuni archivi sovietici?»

«Sì, ma a cosa ti riferisci, in particolare?»

«Be’, quando Wewelsburg fu ricostruito…»

«Aspetta un secondo», intervenne Fiona, agitandosi sul sedile. Fino a quel momento era rimasta seduta con le braccia conserte, come se fosse infastidita dall’intrusione dell’estraneo. Ma Gray l’aveva vista guardare di traverso il giovane, studiandolo. Si chiedeva se avesse ancora il portafogli. «Ricostruito? Hanno ricostruito quel posto orribile?»

Ryan annuì, mentre sulla cresta della collina appariva il castello. Gray mise la freccia e svoltò sulla Burgstrasse, la strada che conduceva alla fortezza. «Himmler l’aveva fatto saltare verso la fine della guerra. Soltanto la torre nord era rimasta intatta. Dopo la guerra è stato ricostruito. In parte museo, in parte ostello per la gioventù. Mio padre non si dà ancora pace.»

Gray capiva perfettamente il perché.

«Fu ultimato nel 1979», proseguì Ryan. «Nel corso degli anni, i direttori del museo hanno chiesto ai governi degli ex Alleati tutti i documenti relativi al castello.»

«Compresa la Russia», osservò Monk.

«Natürlich. Quando i documenti furono resi pubblici, l’attuale direttore inviò alcuni archivisti in Russia. Tre anni fa, ritornarono con camion pieni di documenti relativi alla campagna russa in quest’area. Tra i nomi di particolare interesse che erano saltati fuori, c’era anche quello del mio bisnonno, Hugo Hirszfeld.»

«Perché lui?»

«Era direttamente implicato nei rituali della società di Thule. Da queste parti era nota la sua conoscenza delle rune che decorano il castello. Intratteneva una corrispondenza persino con Karl Wiligut, l’astrologo personale di Himmler.»

Gray ripensò al simbolo a tre punte nella Bibbia, ma restò in silenzio.

«Gli archivisti ritornarono con diverse scatole di documenti su mio bisnonno. Mio padre fu informato, ma rifiutò di lasciarsi coinvolgere in qualsiasi modo.»

«Ma tu ci sei andato di nascosto», intervenne Monk.

«Volevo scoprire qualcosa di più su di lui», replicò Ryan. «Capire perché… che cosa era successo…» Scosse la testa.

Il passato tende a fare presa sulle persone e a non mollarle più.

«E che cosa hai scoperto?» chiese Gray.

«Non molto. Una scatola conteneva documenti del laboratorio di ricerca in cui lavorava mio bisnonno. Gli venne conferito il grado di Oberarbeitsleiter, capo del progetto.» Ryan lo disse con un tono tra l’imbarazzato e l’insolente. «Ma, di qualsiasi progetto si trattasse, non è stato desecretato. La maggior parte di quei documenti erano corrispondenze personali, con amici e familiari.»

«E tu li hai letti tutti?»

«Abbastanza per concludere che mio bisnonno aveva cominciato a dubitare del suo lavoro, ma che non poteva andarsene.»

«O gli avrebbero sparato», aggiunse Fiona.

Ryan scosse la testa e per un istante gli si dipinse in viso un’espressione di sgomento. «Penso che fosse più che altro il progetto in sé… Non riusciva a separarsene. Non del tutto. Era come se provasse repulsione e attrazione contemporaneamente.»

Gray intuiva che analoghi sentimenti tormentavano anche le ricerche personali di Ryan.

Monk piegò la testa da un lato e fece scrocchiare sonoramente il collo. «Che c’entra tutto questo con la Bibbia di Darwin?»

«Ho trovato un appunto indirizzato a Tola», rispose Ryan. «Parla della cassa di libri che mio bisnonno rispedì a casa. Me lo ricordo per le sue strane osservazioni in proposito.»

«Che cosa diceva?»

«La lettera è al museo. Pensavo che vi potesse interessare averne una copia.»

«Non ricordi cosa diceva?»

Ryan corrugò la fronte. «Solo qualche riga: La perfezione si trova nascosta nei miei libri, cara Tola. La verità è troppo bella per lasciarla morire e troppo mostruosa per essere rivelata.»

Ci fu un improvviso silenzio nell’auto.

«Morì due mesi dopo.»

Gray rifletté su quelle parole. Nascosta nei miei libri. I cinque libri che Hugo aveva spedito a casa prima di morire. L’aveva fatto per mettere al sicuro qualche segreto? Per preservare una cosa troppo bella per lasciarla morire e troppo mostruosa per essere rivelata?

Gray fissò Ryan nello specchietto retrovisore. «Hai raccontato a qualcuno quello che hai scoperto?»

«No, ma quel signore anziano e i suoi nipoti, quelli che erano venuti qui all’inizio dell’anno per parlare dei libri con mio padre… Loro erano già stati qui, avevano già cercato tra le carte del mio bisnonno negli archivi. Penso che abbiano letto lo stesso appunto e per questo siano venuti a fare altre indagini da mio padre.»

«Queste persone, com’erano?»

«Capelli bianchi. Alti, atletici. Una buona stirpe, come direbbe mio bisnonno.»

Gray e Monk si scambiarono un’occhiata.

Fiona si schiarì la voce e indicò il dorso della mano. «Avevano un segno, un tatuaggio, qui?»

Ryan annuì lentamente. «Penso di sì. Poco dopo il loro arrivo, mio padre mi mandò via. Come ha fatto quando siete arrivati voi, oggi. Non si parla davanti ai figli.» Il ragazzo cercò di sorridere, ma evidentemente percepiva la tensione attorno a sé. Lanciò rapide occhiate a tutti gli occupanti dell’auto. «Li conoscete?»

«Sono concorrenti», rispose Gray. «Collezionisti come noi.»

Ryan mantenne un’espressione guardinga e incredula, ma non fece altre domande.

Gray pensò nuovamente alla runa disegnata a mano sulla Bibbia. Anche gli altri quattro libri contenevano simboli criptici di quel tipo? Si ricollegava tutto alle ricerche fatte da Hugo coi nazisti? Di che cosa si trattava? Sembrava improbabile che d’un tratto quegli assassini si presentassero lì a frugare tra gli archivi, a meno che non stessero cercando qualcosa di specifico.

Ma cosa?

Monk era ancora voltato indietro. Si girò e si risistemò sul sedile. Parlò a bassa voce. «Hai notato che abbiamo compagnia?»

Gray si limitò ad annuire.

A mezzo chilometro di distanza, risalendo lentamente i tornanti dietro di loro, un’auto li seguiva sotto la pioggia. La stessa che aveva già visto parcheggiata all’ostello. Una Mercedes bianca. Forse erano soltanto altri turisti che facevano un’escursione al castello.

Già, proprio.