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«Bertal!» gridò Fiona.

Il San Bernardo, col lungo pelo fradicio, serrò le mascelle attorno all’avambraccio del cecchino. L’attacco improvviso e inatteso colse impreparato l’uomo, che cadde dietro il bidone della spazzatura. Il suo fucile si abbatté fragorosamente sul lastricato.

Gray si precipitò ad agguantarlo.

A breve distanza, si udì un guaito. Prima che Gray potesse reagire, il sicario saltò fuori. Sospeso a mezz’aria, piantò il tacco dello scarpone nella spalla di Gray, abbattendolo sul lastricato e inchiodandolo a terra.

Gray tentò uno scatto di lato, puntando il fucile che aveva afferrato, ma l’uomo si muoveva come una gazzella. Il suo impermeabile nero svolazzò mentre scavalcava agilmente un muretto di pietra e si metteva al sicuro.

Gray sentì i suoi passi allontanarsi nel vicolo. «Bastardo…»

Fiona corse da lui. Aveva in mano una pistola. «L’altro uomo… penso che sia morto», disse, indicando un punto alle sue spalle.

Gray si mise in spalla il fucile e le tolse di mano la pistola.

Lei non fece resistenza, assorbita da un’altra preoccupazione. «Bertal…»

Il cane venne fuori barcollando, debole, con un fianco gravemente segnato dal fuoco.

Gray diede una rapida occhiata alla bottega in fiamme. Come aveva fatto quell’animale a sopravvivere? Gli ritornò in mente l’ultima volta che aveva visto il cane, incosciente, steso dalle prime bombe incendiarie che avevano distrutto la parete posteriore.

Fiona abbracciò la bestia fradicia. Il cane doveva essere finito sotto uno Sprinkler. Sollevò il muso del San Bernardo e lo guardò, naso contro naso. «Bravo il mio cagnone.»

Gray era d’accordo. Era in debito con Bertal. «Tutti i caffè Starbucks che vuoi, amico», gli promise sottovoce.

Le zampe di Bertal tremavano. Si accovacciò, poi si accasciò sul lastricato. L’adrenalina che aveva sostenuto la povera bestia fino a quel momento cominciava a venir meno.

Da sinistra, in lontananza, giungevano frasi concitate, pronunciate a voce alta, in danese. Un getto d’acqua si levò alto. Alcuni vigili del fuoco si stavano dirigendo verso il retro del negozio.

Gray non poteva più rimanere. «Devo andare.»

Fiona si alzò. Guardò alternativamente Gray e il cane.

«Resta con Bertal», disse lui, facendo un passo indietro. «Portalo da un veterinario.»

Lo sguardo di Fiona si fece severo. «E tu te ne vai così…»

«Mi spiace.» Era una risposta inadeguata, dopo quegli orrori: l’assassinio della nonna, l’incendio della bottega, la fuga all’ultimo respiro. Ma non sapeva cosa dire e non aveva tempo per fornire altre spiegazioni.

Si voltò e si diresse verso il muro di cinta posteriore.

«Già, vai pure. Vaffanculo!» gli gridò dietro Fiona.

Gray scavalcò la recinzione.

«Aspetta!»

L’uomo si precipitò nel vicolo. Non voleva abbandonare la ragazza, ma non aveva scelta. Era meglio per lei. Nella cerchia dei soccorritori sarebbe stata protetta. Il luogo in cui era diretto Gray non era adatto a una quindicenne. Ma si sentiva ancora avvampare. Nel profondo, non poteva negare una motivazione più egoistica: era semplicemente contento di essersi sbarazzato di lei, di quella responsabilità.

Non importava più, ormai era fatta.

Avanzò rapidamente lungo il vicolo. Infilò la pistola nella cinta dei pantaloni ed espulse tutte le cartucce dal fucile, poi lo nascose dietro una catasta di legna. Dava troppo nell’occhio per portarselo dietro.

Mentre camminava, si rimise il maglione. Doveva lasciare l’albergo e cambiare identità. Ci sarebbero state indagini su quei decessi. Era il momento di far morire il personaggio del dottor Sawyer.

Ma prima doveva portare a termine un altro incarico.

Da una tasca posteriore estrasse il cellulare e premette il tasto rapido per collegarsi al comando centrale. Dopo qualche istante era in linea con Logan Gregory, il capo della sua missione operativa.

«Abbiamo un problema», esordì Gray.

«Cosa c’è che non va?»

«Qualunque cosa stia succedendo, è una faccenda più grossa di quanto pensassimo. Abbastanza grossa da commettere qualche omicidio.» Gray fece rapporto sulla mattinata. Seguì un lungo intervallo di silenzio.

Alla fine Logan parlò, la tensione evidente nella voce. «Allora è meglio che annulliamo questa missione, finché lei non avrà più risorse sul posto.»

«Se aspetto i rinforzi sarà troppo tardi. L’asta inizia fra poche ore.»

«La sua copertura è saltata, comandante Pierce.»

«Non ne sono sicuro. Per quanto ne sanno i partecipanti all’asta, io sono un acquirente americano che fa troppe domande. Non azzarderanno nulla in pubblico. Ci sarà un sacco di gente e le misure di sicurezza sono rigorose. Posso ancora passare al vaglio la sede e forse accertare qualche indizio su chi o cosa c’è davvero dietro tutto questo. Poi scomparirò, resterò in disparte finché non avrò rinforzi.» Anche Gray voleva mettere le mani su quella Bibbia, se non altro per esaminarla.

«Non penso che sia un’idea saggia. Il potenziale rischio è superiore al potenziale guadagno. Soprattutto se agirà da solo.»

Gray s’infervorò. «Quei bastardi tentano di friggermi il culo, e adesso lei vuole che io mi metta seduto?»

«Comandante…»

Gray stritolò il telefono. Evidentemente Logan aveva passato troppo tempo tra le scartoffie. Per una missione di ricerca era un capo adeguato, ma ormai quello non era più un semplice incarico di raccolta dati. Si stava trasformando in una operazione da Sigma Force in piena regola. E, in tal caso, Gray voleva avere alle spalle qualcuno capace di vera leadership. «Credo che dovremmo coinvolgere il direttore Crowe.»

Seguì un’altra lunga pausa. Forse aveva sbagliato a dirlo. Non voleva scavalcare Logan, ma a volte bisognava semplicemente sapere quando era il momento di farsi da parte.

«Temo che sia impossibile al momento, comandante Pierce.»

«Perché?»

«Il direttore Crowe attualmente è in Nepal e non abbiamo sue notizie.»

Gray aggrottò le sopracciglia. «In Nepal? E che ci è andato a fare?»

«Comandante, ce l’ha mandato lei.»

«Cosa?»

All’improvviso Gray ricordò.

La chiamata era arrivata una settimana prima. Da un vecchio amico.

La mente di Gray ripiombò nel passato, ai suoi primi giorni alla Sigma. Come tutti gli altri agenti, Gray aveva alle spalle un periodo nelle Forze Speciali. Era entrato nell’esercito a diciotto anni e nei Ranger a ventuno. Ma, dopo essere finito davanti alla corte marziale per aver colpito un superiore, Gray era stato reclutato dalla Sigma, appena uscito da Leavenworth. Tuttavia era rimasto sospettoso. Aveva colpito quel superiore per buoni motivi. L’incompetenza di quell’uomo aveva causato vittime superflue in Bosnia. Dei bambini erano morti. Ma la rabbia di Gray aveva radici più profonde. Un rapporto problematico con l’autorità, che si poteva ricondurre a suo padre. E, anche se la questione non era ancora risolta completamente, c’era voluto un uomo saggio per mostrare la via a Gray.

Quell’uomo era Ang Gelu.

«Sta dicendo che il direttore Crowe è in Nepal per via del mio amico, il monaco buddista?»

«Crowe sa quanto è importante per lei quell’uomo.»

Gray smise di camminare e si fermò nell’ombra. Aveva trascorso quattro mesi a studiare con quel monaco in Nepal, parallelamente all’addestramento per la Sigma. In effetti, era proprio grazie ad Ang Gelu che Gray aveva sviluppato il suo curriculum unico alla Sigma. Gli avevano fatto fare un doppio corso di laurea accelerato in biologia e fisica, ma Ang Gelu aveva potenziato ulteriormente gli studi di Gray, istruendolo su come cercare l’equilibrio tra tutte le cose. L’armonia degli opposti. Lo yin e lo yang del taoismo. L’uno e lo zero.

Quella consapevolezza lo aveva aiutato ad affrontare i demoni del passato. Crescendo, si era sempre trovato fra estremi opposti. Sebbene sua madre avesse insegnato in una scuola cattolica, infondendo una profonda spiritualità alla vita di Gray, era anche una biologa affermata, una fervente seguace della ragione. Riponeva nel metodo scientifico una fede pari a quella religiosa.