Nessuna risposta da Duefiori. Spinta dal vento, la tunica di Scuotivento lo flagellava, ma lui non si svegliò.

Draghi, pensava Scuotivento preso dal panico. Cercava di concentrarsi, d’immaginarsi un drago veramente realistico. Se lui può farlo, pensava, posso farlo anch’io. Ma non accadde nulla.

Il Disco adesso era più grande, un cerchio solcato da nuvole che si levava sotto di loro.

Scuotivento provò di nuovo, occhi stretti e ogni nervo del corpo teso. Un drago. La sua immaginazione, organo logoro e superusato, si proiettò alla ricerca di un drago… qualsiasi drago.

— Non funzionerà — rise una voce simile al rintocco di una campana funebre. — Tu non ci credi.

Scuotivento guardò la terribile apparizione a cavallo, che lo fissava con un ghigno, e la sua mente vacillò dallo spavento.

Un lampo brillante.

L’oscurità totale.

Scuotivento sentì sotto i piedi una morbida superficie, si vide circondato da una luce rosea e udì le grida improvvise di molte persone.

Si guardò intorno spaventato. Era in piedi in una sorta di tunnel, pieno di sedili ai quali erano state legate delle persone in costumi bizzarri. E tutte urlavano alla sua volta.

— Svegliati! — sibilò. — Aiutami!

Trascinando il turista sempre svenuto, rinculò lontano dalla folla finché con la mano libera non trovò una maniglia dalla forma strana. La girò, oltrepassò la soglia poi richiuse la porta con un tonfo.

Diede un’occhiata rapida alla stanza nella quale si trovava e incontrò lo sguardo terrorizzato di una giovane donna che lasciò cadere con un urlo il vassoio che reggeva in mano.

Era quel genere di urlo capace di richiamare un aiuto immediato. Scuotivento sentì scorrere nelle vene una scarica di adrenalina distillata dalla paura; si girò e filò via. Anche qui c’erano dei sedili e la gente seduta sopra si chinò timorosa mentre lui trascinava Duefiori lungo il passaggio centrale. Al di là dei sedili, c’erano delle finestrelle. Al di là delle finestre, contro uno schermo di nuvole vaganti, c’era l’ala di un drago. Era argentea.

"Sono stato mangiato da un drago" pensò. "È ridicolo" rifletté. "Non potrei vedere all’interno di un drago." Poi urtò con la spada la porta all’estremità del tunnel e si trovò in una stanza a forma di cono, ancora più strana del tunnel stesso.

Era piena di minuscole luci brillanti. Tra queste, assisi in poltrone dallo schienale rotondo, quattro uomini lo guardavano a bocca aperta. Lui li fissò a sua volta e quelli distolsero gli occhi.

Scuotivento si voltò lentamente. Accanto gli stava un quinto uomo, abbastanza giovane, barbuto, dalla carnagione scura come il popolo nomade del Grande Nef.

— Dove sono? — domandò il mago. — Nel ventre di un drago? Il giovane si accovacciò e gli spinse sotto il naso una piccola scatola nera. Gli altri quattro si abbassarono.

— Che cos’è? — disse Scuotivento. — Una scatola a immagini? — Allungò una mano e la prese, con una mossa che sembrò sorprendere l’altro il quale gridò e cercò di strappargliela. Risuonò un altro grido, questa volta da uno degli uomini seduti. Solo che ora non era seduto, ma in piedi e puntava contro il giovane un piccolo oggetto metallico.

L’effetto fu sorprendente. L’uomo arretrò, con le mani alzate.

— Per piacere datemi la bomba, signore — disse l’uomo dall’oggetto metallico. — Con cautela, prego.

— Questo coso? Eccovelo! lo non lo voglio! — L’uomo lo prese con la massima precauzione e lo depose a terra. Gli altri tre si rilassarono e uno di loro cominciò a parlare con il muro in toni concitati. Il mago, sbalordito, lo contemplava.

— Non muovetevi! — scattò l’uomo dall’ogget… Un amuleto, decise Scuotivento, doveva essere un amuleto. L’uomo dalla carnagione scura si spostò in un angolo.

— È stato molto coraggioso da parte vostra — disse a Scuotivento il Detentore dell’Amuleto. — Lo sapete?

— Cosa?

— Che cos’ha il vostro amico?

— Amico?

Duefiori stava ancora dormendo tranquillo. Questa non era una sorpresa. Ciò che era realmente sorprendente era che indossava vestiti nuovi. Vestiti strani. Le brache gli arrivavano sopra le ginocchia e portava una specie di camiciola a righe vivaci; sulla testa un ridicolo cappeliuccio di paglia. Con una piuma.

Una strana sensazione a livello delle ginocchia fece abbassare gli occhi a Scuotivento. Anche i suoi vestiti erano cambiati. Invece della vecchia e comoda tunica, così meravigliosamente adatta all’azione veloce in ogni possibile circostanza, le sue gambe erano paludate in due tubi di stoffa. Indossava una giacchetta dello stesso tessuto grigio…

Fino a quel momento non aveva mai udito il linguaggio usato dall’uomo con l’amuleto. Era rozzo e ricordava vagamente quello della regione centrale, l’hublandico… quindi, come mai adesso ne capiva ogni parola?

Vediamo, erano improvvisamente apparsi in questo drago, si erano materializzati in questo dra… improvv… loro… loro… avevano intrecciato una conversazione nell’aeroporto così naturalmente che avevano deciso di sedere vicino nell’aeroplano, e lui aveva promesso di fare da cicerone a Jack Duefiori quando fossero tornati negli Stati Uniti. Sì, era proprio così. E poi Jack si era sentito male e lui si era messo paura ed era arrivato lì e aveva sorpreso il dirottatore. Naturalmente. Che diavolo mai era "Hublandico"?

Il dottore Rjinswand si stropicciò la fronte. Bere qualcosa gli avrebbe fatto bene.

Nel mare della causalità si allargarono le increspature del paradosso.

Forse il punto più importante che chiunque al di fuori della globalità del multiverso doveva tenere a mente, era il seguente: sebbene il mago e il turista fossero apparsi soltanto di recente in un aereo in volo, nello stesso preciso momento essi avevano viaggiato su quell’apparecchio ne! corso normale delle cose. E cioè: mentre era vero che essi erano appena apparsi in quel particolare insieme di dimensioni, era anche vero che ci erano vissuti da sempre. E a questo punto che il linguaggio normale si arrende, e va a bersi qualcosa.

Il punto è che si erano appena materializzati diversi quintilioni di atomi (tuttavia, così non era. Vedi più sotto) in un universo dove non avrebbero dovuto trovarsi. Normalmente ne risulta una grossa esplosione ma, dato che gli universi sono molto elastici, quel particolare universo si era salvato srotolando istantaneamente la sua sequenza spazio-tempo fin quando gli atomi eccedenti potevano essere sistemati senza pericolo, riavvolgendola poi rapidamente fino a quel cerchio luminoso che, per mancanza di un termine migliore, i suoi abitanti erano soliti chiamare il Presente. Ciò naturalmente aveva cambiato la storia: c’erano stati qualche guerra di meno, qualche dinosauro in più e così via… Ma, nell’insieme, l’episodio era trascorso molto tranquillamente.

Fuori di quel particolare universo, tuttavia, le ripercussioni dell’improvvisa reazione ritardata rimbalzarono avanti e indietro sulla superficie della Somma delle Cose, piegando intere dimensioni e affondando galassie senza lasciare traccia.

Tutto questo, comunque, era totalmente estraneo al Dottor Rjinswand, trentatré anni, scapolo, nato in Svezia, cresciuto nel New Jersey, specialista dei fenomeni di ossidazione da scollamento di certi reattori nucleari. In ogni modo, probabilmente lui non ne avrebbe creduto una parola.

Duefiori era ancora senza conoscenza. La hostess, che aveva accompagnato Rjinswand al suo posto tra gli applausi degli altri passeggeri, era china ansiosamente su di lui.

— Abbiamo comunicato via radio — informò Rjinswand. — Un’ambulanza ri aspetterà all’atterraggio. Sulla lista dei passeggeri figurate come un dottore…

— Non so cosa abbia — si affrettò a rispondere Rjinswand. — Certo, sarebbe diverso se lui fosse un reattore Magnox. Si tratta di uno shock?

— Io non ho mai…

La sua frase terminò in un tremendo fragore proveniente dal fondo dell’aereo. Alcuni passeggeri gridarono. Un improvviso soffio d’aria fece turbinare nella corsia giornali e riviste.