— Hai preso l’uomo sbagliato! — gemette. — Non è colpa mia! Non l’ho rapito io!

La cassa avanzò un poco. Adesso tra le calcagna di Scuotivento e il fiume non restava che una stretta striscia di banchina sporca. Un lampo di precognizione gli disse che la cassa sarebbe stata in grado di nuotare più in fretta di lui. Si sforzò di non pensare alla sensazione di affogare nell’Ankh.

— Non si fermerà finché non cederai, sai — disse una vocina in tono discorsivo.

Scuotivento abbassò gli occhi sull’iconografo che gli pendeva ancora dal collo. Lo sportellino era aperto e l’omuncolo, appoggiato allo stipite, fumava la pipa e osservava divertito la scena.

— Almeno ti porterò con me — disse Scuotivento a denti stretti.

Il diavoletto si tolse la pipa di bocca. — Cosa hai detto?

— Ho detto che ti porterò con me, accidenti!

— Accomodati. — L’esserino batté con gesto significativo sulla parete della scatola. — Vedremo chi affonda per primo.

Il Bagaglio sbadigliò e avanzò impercettibilmente.

— Oh, va bene — esclamò irritato Scuotivento. — Ma dovrai lasciarmi il tempo di riflettere.

Il Bagaglio si ritirò lentamente, Scuotivento fece qualche passo indietro fino a trovarsi su terreno sicuro e si sedette con la schiena appoggiata a un muro. Le luci della città di Ankh brillavano al di là del fiume.

— Sei un mago — disse il demonietto. — Escogiterai un modo per trovarlo.

— Non un granché come mago, temo.

— Puoi sempre saltare sulle persone e trasformarle in vermi — aggiunse l’altro in tono incoraggiante, senza tenere conto della sua osservazione.

— No. Trasformare in Animali è un incantesimo dell’Ottavo Livello. Io non ho mai completato la mia formazione. Conosco un solo incantesimo.

— Be’, basterà.

— Ne dubito. — Era sconsolato.

— Allora che cosa fai?

— Non posso dirtelo. Non mi va di parlarne. Ma francamente — aggiunse con un sospiro — nessun incantesimo serve a molto. Ci vogliono tre mesi per mandarne a mente anche uno solo, una volta usato, puff, non c’è più. Sai, è questa la stupidaggine di quest’affare della magia. Passi venti anni a imparare l’incantesimo che ti fa apparire in camera da letto delle vergini nude, e poi sei talmente intossicato dai fumi di mercurio e reso mezzo cieco per avere decifrato i vecchi libroni, che non riesci a ricordare che cosa accade dopo.

— Non avevo mai considerato la cosa in questo modo — disse il diavoletto.

— Ehi, senti.,. non va. Quando Duefiori ha detto che nell’Impero loro hanno un genere di magia migliore, io pensavo… pensavo…

L’omuncolo lo guardò in attesa. Scuotivento in cuor suo si maledisse.

— Be’, se vuoi proprio saperlo, pensavo che lui non intendesse la magia. Non come tale.

— Che altro c’è, allora?

Scuotivento cominciò a sentirsi veramente infelice. — Non lo so — confessò. — Un modo migliore di fare le cose, suppongo. Qualcosa con un po’ di logica. Come imbrigliare… imbrigliare il lampo o altro.

L’occhiata dell’esserino era cortese, ma compassionevole. — I lampi sono le lance scagliate dai giganti del tuono quando combattono — disse gentilmente. — Un fatto meteorologicamente stabilito. È impossibile imbrigliarli.

— Lo so — convenne Scuotivento. — È qui dove l’argomento fa acqua.

Il diavoletto annuì e scomparve nelle profondità dell’iconografo. Poco dopo si sentì il profumo del bacon che soffriggeva. Scuotivento attese finché il suo stomaco non ne poté più, e bussò sulla scatola. L’omuncolo riapparve.

Prima che Scuotivento potesse aprire bocca, l’altro dichiarò: — Ho pensato a quanto hai detto. E anche se potessi bardarlo, come riusciresti a fargli tirare un carro?

— Di che diavolo stai parlando?

— Del lampo. Che va soltanto su e giù, mentre servirebbe che andasse in avanti, non su e giù. E in ogni modo, probabilmente brucerebbe la bardatura.

— Non m’importa del lampo. Come posso pensare a stomaco vuoto?

— Allora mangia qualcosa. È logico.

— Come? Ogni volta che mi muovo quella dannata cassa mi azzanna con il suo coperchio!

Come se avesse ricevuto l’imbeccata, il Bagaglio spalancò il coperchio.

— Vedi?

— Non sta cercando di morderti — disse il diavoletto. — Dentro c’è del cibo. Se muori di fame, non gli sei di nessuna utilità.

Scuotivento scrutò negli scuri recessi del Bagaglio. Tra il caos di scatole e borse piene d’oro, c’erano in effetti diverse bottiglie e dei pacchetti avvolti in carta oleata. Con una risata cinica, il mago vagò per la banchina abbandonata finché trovò un pezzo di legno della lunghezza giusta, lo incastrò il più delicatamente possibile nell’apertura tra il coperchio e il bordo della cassa, e tirò fuori uno dei pacchetti piatti.

Dentro c’erano dei biscotti che si rivelarono duri come legno diamantifero.

— Accidentaccio — borbottò, toccandosi i denti.

— I Digestivi per viaggiatori del Capitano Eightpanther, si chiamano — annunciò il diavoletto dalla soglia della sua scatola. — Hanno salvato parecchie vite in mare, quelli.

— Oh, sicuro. Li usate come zattera oppure li buttate ai pescecani e li guardate affondare? Cosa c’è nelle bottiglie? Veleno?

— Acqua.

— Ma c’è acqua dappertutto! Perché Duefiori avrebbe dovuto portarsi dietro l’acqua?

— Fidati.

— Fidarmi?

— Sì. Lui non si è fidato dell’acqua di qui. Capisci?

Scuotivento aprì una bottiglia. Il liquido dentro poteva anche essere dell’acqua. Non la minima fragranza, né traccia di vita. — Né sapore né odore — brontolò il mago.

La sua attenzione fu attratta da un leggero scricchiolio proveniente dal Bagaglio, il quale con una mossa pigra piena di calcolata minaccia richiuse lentamente il coperchio e triturò come una foglia secca la zeppa di fortuna di Scuotivento.

— Va bene, va bene — disse lui. — Sto riflettendo.

Il quartier generale di Ymor si trovava nella Torre Pendente, all’incrocio di Rime Street e Frost Alley. A mezzanotte l’unica guardia che si teneva nell’ombra alzò gli occhi a guardare la congiunzione dei pianeti e si chiese oziosamente quali cambiamenti preannunziavano nelle sue fortune.

Si udì un suono appena percettibile, come lo sbadiglio di una zanzara.

La guardia lanciò un’occhiata alla strada deserta e vide il riflesso della luce lunare brillare su qualcosa che giaceva nel fango a qualche metro di distanza. La raccolse. Era oro. Tirò il fiato così rumorosamente che echeggiò per la via.

Di nuovo un suono lieve e un’altra moneta rotolò nel rigagnolo dal lato opposto della strada.

Non fece in tempo a raccoglierla che ne arrivò una terza ancora roteante. L’oro, ricordò, si credeva fosse formato dalla luce cristallizzata delle stelle. Fino a quel momento non ci aveva creduto, che una cosa pesante come l’oro potesse cadere naturalmente dal cielo.

Aveva appena raggiunto l’imboccatura della strada, che altre ne vennero giù. Nella borsa c’era ancora un’enorme quantità di pezzi d’oro e Scuotivento glieli rovesciò sulla testa.

Quando la guardia rinvenne si trovò davanti la faccia di un mago dagli occhi spiritati, che lo minacciava alla gola con una spada. Nell’oscurità qualcosa lo afferrava alla gamba. Una presa sconcertante: lasciava intendere che, volendo, chi lo teneva poteva aumentare di parecchio la stretta.

— Dove si trova il ricco straniero? — sibilò il mago. — Presto!

— Che cosa mi stringe la gamba? — Nella voce dell’uomo vibrava una nota di terrore. Tentò di divincolarsi e la pressione aumentò.

— Saperlo non ti piacerebbe — lo minacciò Scuotivento. — Fa attenzione, per piacere. Dov’è il forestiero?

— Non è qui! L’hanno portato dal Grosso. Tutti lo cercano! Tu sei Scuotivento, vero? La cassa… la cassa che azzanna la gente… ononono… ti preego…

Scuotivento non c’era più. La guardia sentì il suo assalitore allentare la presa… o, come cominciava a temere, la cosa allentare la presa. Cercò di rimettersi in piedi e si sentì investire nel buio da un oggetto grosso, pesante, squadrato che si buttò all’inseguimento del mago. Un oggetto con centinaia di piccoli piedi.