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Ma il deserto mi faceva sentire veramente strana. Continuavo a sognare di essere una donna del deserto, con un oosha e un lungo velo nero, che si aggirava per quella desolazione, durante i giorni brucianti e le notti nere, avendo per lampada qualche vulcano. Talvolta avevo con me un bambino, pallido e ansioso.

«Fattore,» continuava a ripetere, «quand’è che troviamo ancora l’acqua?» E io sapevo che sarebbe morto se non avessi trovato presto l’acqua, e io non sapevo dov’era. E poi il sogno slittava e tutti e due eravamo distesi a faccia in giù sulla sabbia, con l’immenso fuoco arancione che accerchiava il cielo intorno a noi e una voce continuava a ripetere:

«Non mordere il sole. Non mordere il sole.»

E poi ci fu l’invasione.

Oh, sarebbe stato da ridere, veramente, se a ognuno di noi fosse rimasto un brandello di allegria, quella mattina.

Facevamo il primo pasto sulla roccia, Assule, le due femmine, che adesso mi evitavano accuratamente, io e il bestiolino. Alzai gli occhi dal piatto di pane di radici fritto e di miele, e che cosa vidi, oh-oh? Un muso peloso, lionato che mi fissava da una roccia. Il bestiolino abbaiò. Sì, era ancora uno di quegli animali decisi, dalle orecchie lunghe e dai piedi a forma di sci. Agitò le lunghe orecchie e le antenne, e poi fece «Fpmf» attraverso il naso.

«Assule, quello cos’è?» feci per chiedere, quando all’improvviso ci furono addosso. Immagino fossero stati attirati dall’odore del cibo cotto. Probabilmente avevano viaggiato per molti unit tra le sabbie, seguendo i loro nasi pelosi. Le femmine urlarono quando i grandi piedi allungati schiacciarono il pane di radici e le zampe si agitarono tra i vini opalescenti.

«Sono pericolosi?» tentai di chiedere ad Assule, mentre cercavo di non venir schiacciata in mezzo al miele.

«Venite!» gridò Assule: corremmo via, verso la nave della sabbia, abbandonando i tappeti, il pasto, le macchine e tutto quanto, alla mercé di quei grandi piedi e di quelle orecchie ridicole.

Entrammo barcollando nella Torre Trasparente, accendemmo gli schermi e guardammo. Avevamo una magnifica vista delle fondamenta della cittadella brulicanti di corpi pelosi. Le bestie divoravano il cibo, allappavano il vino e facevano «Fpmf!» dappertutto. Cominciarono quasi subito a mangiare i tappeti, dopo averli cosparsi di miele, potrei aggiungere.

«Spero solo che non arrivino alle macchine.» Assule sperava, ma quelli ci arrivarono.

Erano davvero molto intelligenti, in un modo zaradann. Se la spassarono un mondo a scoprire come funzionava ogni apparecchio, e poi a smantellarlo. Guidarono la macchina numero otto giù per le terrazze, aggrappandosi ad essa con forza e battendone i fianchi con le zampe: poi si staccarono e rotolarono via quando finalmente la macchina si rovesciò e andò a schiantarsi tra la sabbia.

Assule, nel frattempo, aveva attaccato un commento musicale di lagni incessanti. Io continuavo a chiedere cos’erano quegli animali, e lui sembrava pensare che fosse sconveniente da parte mia chiederlo. Immagino che fosse veramente troppo, per lui.

Verso mezzogiorno, quell’attività frenetica si acquietò. Gli animali si sdraiarono e si addormentarono.

«Spero solo che non scoprano la nave delle sabbie,» ricominciò Assule: e fu come se avesse dato un segnale. Le zampe pelose puntarono, i nasi sbuffarono «fmpf» e ci fu una corsa generale nella nostra direzione.

«Oh! Oh!» urlarono le due femmine.

«State calme, vi prego,» scattò Assule, deciso improvvisamente a restare calmo anche lui, per una volta. «Siamo al sicuro. Attiverò il muro elettrico.»

Manovrò alcune manopole rosse e altre cose che recavano la scritta «Per fini esclusivamente difensivi. L’uso non autorizzato è punibile con un’ammenda»… Era un’ingiunzione antiquata, poiché ormai nessuno viene più multato per niente, anche se la Commissione probabilmente ci terrebbe. Comunque, il sistema funzionò. Ci fu una specie di fremito nell’aria, all’improvviso, intorno alla nave, e non appena i piedi-a-sci stabilirono il contatto, spiccarono balzi di un metro e mezzo e ricaddero, completamente beati.

«Non li ucciderà, vero?» implorai.

Assule, sorprendentemente, non mi strozzò.

«No,» disse. «Un animale più piccolo resterebbe ucciso, sì, ma questi sono solo storditi. Non ci tengo a danneggiare inutilmente degli esemplari così interessanti.»

Provai un senso di sollievo, ed effettivamente, quelli avevano un’aria beata mentre si allontavano barcollando dalla muraglia elettrica. Insistettero per circa tre split; penso che alcuni di loro lo facessero solo per avere un’Esperienza Essenziale. Li vedevi scrutare i musi estatici dei compagni caduti, prima, e poi quasi valutare la situazione, pensando, «Bene, sembra divertente»; e poi si precipitavano contro la muraglia, con le orecchie e il pelo che volavano. Alla fine, però, si allontanarono e discussero la situazione a forza di «fpmf»; tornarono indietro, e trascinarono via cautamente i feriti (?), poi se li caricarono sulle schiene e si avviarono a grandi balzi sulla sabbia.

Le femmine cominciarono ad aver l’aria di svenire, videro che Assule non se ne accorgeva neppure, e vi rinunciarono.

Attendemmo una ventina di split per essere sicuri, disattivammo la muraglia e ritornammo sul sito degli scavi. Secondo Assule, non c’era pericolo che quelli tornassero. A quanto sembra, non tornano mai sulla scena di una delle loro incursioni; anzi, percorrono molte miglia per evitarla, quando il loro olfatto straordinario li avverte che si stanno avvicinando. La cosa sembrava indicare una specie di complesso di colpa, secondo me, ma Assule mi intimò più o meno di non fare la floop, quando glielo feci osservare.

E il sito degli scavi era drumdik. Un caos squallido, inqualificabile. Una volta tanto io e le femmine ci alleammo per evitare che Assule diventasse completamente zaradann. Non servì a molto, comunque. Si aggirò ruggendo fra le torrette di roccia, sfiorando il miele e i tappeti masticati sulle macchine, stringendo i robot sfasciati, e urlando ai robot intatti di aggiustare tutto. In effetti, quando smise di star loro fra i piedi, i robot venuti dalla nave se la cavarono benissimo. La macchina numero otto fu l’unica perdita, e dovettero smantellarla.

«Per impedire altre calamità, ordinerò ai robot di montare una muraglia elettrica tutto intorno al sito degli scavi,» mi disse Assule, tra il baccano e i tonfi. «Intorno agli scavi e alla nave. Un raggio di circa…» E citò un’area molto vasta. Io l’ascoltavo appena.

«Senti, Assule,» dissi, «adesso abbiamo l’occasione di dimostrare che siamo meglio delle macchine.»

«Cosa?»

«No, ascolta,» insistetti, ignorando la sua indignazione inorridita, «mentre loro sono fuori causa, cerchiamo almeno di trovare qualcosa noi.»

«No di certo,» disse Assule. «Te l’ho detto, le macchine se la cavano meglio.»

«Beh,» dissi io, «non sembra che abbiano trovato molto, fino ad ora.»

«Non dimenticare il frammento di ceramica con l’iscrizione. Certo senza dubbio tu pensi che sia poco, secondo la tua ignorante mentalità di Jang.»

«Senti,» dissi io, «sono interessata quanto te, sinceramente, ma quella macchina è piombata per puro caso in quel tuo magazzino, o quello che è. Avrebbe potuto fracassare e seppellire reperti preziosi di ogni genere, se ve ne fossero stati altri come quello che abbiamo trovato.»

«Questo tuo atteggiamento è offensivo,» tuonò Assule. Era come parlare a un muro.

«Parlare con te è come parlare a un muro,» dissi.

Assule diventò pomposo.

«Devi chiedermi scusa,» mi disse.

«Oh, santo cielo!» esclamai. «Non intendo scusarmi per avere detto la verità. E dacché ci siamo, ritiro le scuse dell’altra volta.»

E poi mi arrabbiai sul serio e tornai a fargli quel segno Jang.

Senza aspettare di vederlo andare in combustione automatica, girai su me stessa, piantando persino la mia ape, e me ne andai.