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«Lasceremo questo sistema» disse il Padre Capitano de Soya.

Arruffai le penne. «Come possiamo esserne sicuri?»

Il comlog ridacchiò. «Una nave che esce dal pozzo gravitazionale di un pianeta lascia un’evidente coda di fusione» disse. «Il telescopio mostra che al momento avete in cielo solo nuvole sparse. Ci vedrete.»

«Vi vedremo lasciare l’orbita bassa» replicai. «Come sapremo che avete effettuato la traslazione fuori del sistema?»

Aenea mi abbassò il braccio e parlò al comlog. «Padre? Dove andrà?»

Un istante di silenzio. «Torno su Pacem» disse alla fine de Soya. «Abbiamo una delle tre navi più veloci dell’universo e con il mio amico caporale abbiamo riflettuto seriamente sulla possibilità di andare… altrove. Ma in fin dei conti tutt’e due siamo soldati. Della flotta della Pax e dell’esercito di Cristo. Torneremo su Pacem e risponderemo alle domande… affronteremo ciò che dovremo affrontare.»

Il Sant’Uffizio dell’Inquisizione aveva gettato la sua ombra perfino su Hyperion. Mi vennero i brividi… e non solo per il vento freddo che soffiava dal mucchio di ceneri dell’Albero Mondo.

«Inoltre» continuò de Soya «abbiamo qui un compagno che non ha superato la risurrezione. Dobbiamo tornare su Pacem per le cure mediche.»

Guardai il ronzante robochirurgo e, per la prima volta in quel giorno che pareva non finire mai, credetti che il prete lassù non fosse un nemico.

«Padre de Soya» disse Aenea, tenendomi ancora la mano per parlare nel comlog. «Cosa le faranno? A lei e agli altri?»

Di nuovo un risolino, sopra la statica. «Se saremo fortunati, ci metteranno a morte e poi ci scomunicheranno. Se saremo sfortunati, invertiranno l’ordine di questi eventi.»

Aenea non ne fu divertita. «Padre Capitano de Soya… caporale Kee… venite giù e unitevi a noi. Rimandate su Pacem la nave col vostro amico e varcate con noi il portale seguente.»

Stavolta il silenzio si protrasse, tanto che pensai all’interruzione del collegamento su raggio compatto. Poi giunse la voce pacata di de Soya: «Sono tentato, mia giovane amica. Siamo tentati tutt’e due. Mi piacerebbe viaggiare, un giorno, per teleporter e mi piacerebbe ancora di più arrivare a conoscerti. Ma siamo fedeli servitori della Chiesa, mia cara, e il nostro dovere è chiaro. Mi auguro che quella… aberrazione… incarnata nel caporale Nemes sia stato un errore. Ma se non torneremo, non lo scopriremo mai.»

All’improvviso ci fu un’esplosione di luce. Mi sporsi dal portello e con Aenea guardai la coda di fusione biancazzurra attraversare il cielo fra le sparse nuvole.

«A parte questo» giunse la voce di de Soya, ora tesa come a causa di un carico gravitazionale «senza la navetta non abbiamo davvero modo di scendere giù da voi. Quella creatura, Nemes, ha danneggiato le tute da combattimento, quindi non possiamo fare neppure quel disperato tentativo.»

Aenea e io eravamo ora seduti sul bordo del vano della camera stagna e guardavamo la coda di fusione allungarsi e diventare più brillante. Un pensiero mi colpì come pugno allo stomaco. Sollevai il comlog. «Padre Capitano, quella… Nemes… è morta? L’abbiamo vista sprofondare nella lava fusa, ma non potrebbe scavarsi un varco, anche in questo momento?»

«Non ne abbiamo idea» rispose il Padre Capitano de Soya, superando il sibilo del raggio compatto. «Ma vi consiglierei di lasciare al più presto il pianeta. La navetta è il nostro dono d’addio. Usatela e buon pro vi faccia.»

Guardai per un minuto il panorama di lava nera. Ogni volta che il vento faceva stormire rami secchi o sfregava cenere su cenere, ero sicuro che il rumore indicasse l’arrivo di quella donna infernale.

«Aenea» disse la voce del prete-capitano.

«Sì, Padre Capitano?»

«Fra un secondo spegneremo il raggio compatto… in ogni caso, saremo fuori vista… ma devo dirti una cosa.»

«Quale, Padre Capitano?»

«Bambina, se mi ordinano di tornare a cercarti… non a ucciderti, a cercarti… be’, sono un ubbidiente servitore della Chiesa e un ufficiale della flotta della Pax…»

«Capisco, Padre» disse Aenea. Fissava ancora il cielo, dove la coda di fusione si affievoliva all’orizzonte orientale. «Addio, Padre. Addio, caporale Kee. Grazie.»

«Addio, figliola» disse il Padre Capitano de Soya. «Dio ti benedica.» Tutt’e due udimmo il fruscio di una benedizione. Poi il raggio compatto s’interruppe di colpo e ci fu solo il silenzio.

— Entriamo — dissi a Aenea. — Ce ne andiamo. Subito.

Chiudere i portelli della camera stagna fu abbastanza facile. Ancora una volta controllammo il robochirurgo… tutte le spie luminose erano color ambra, ma non palpitavano… e poi ci legammo nelle cuccette antiaccelerazione. Gli schermi per coprire il visore esterno erano alzati e potevamo scorgere i neri campi di lava. A est si vedevano alcune stelle.

— Bene — dissi, guardando la miriade d’interruttori, diskey, piastre tattili, pannelli a ologramma, monitor, schermi piatti, pulsanti e aggeggi vari. Fra le cuccette c’era una bassa consolle e due leve di comando munite di pomolo con nicchie per le dita e altri schemi diskey. C’erano almeno sei prese dove inserirsi direttamente. — Bene — ripetei, guardando la pallida bambina che pareva resa ancora più piccola dal sediolo imbottito. — Hai qualche idea?

— Usciamo e andiamo a piedi?

Sospirai. — Potrebbe essere il piano migliore, se non fosse per… — Col pollice indicai il ronzante robochirurgo.

— Lo so — disse Aenea. Si lasciò andare contro le cinture di sicurezza. — Scherzavo.

Le toccai la mano. Come sempre, provai una scarica elettrica… una sorta di déjà vu fisico. Ritrassi la mano. — Maledizione, più avanzata è la tecnologia, più semplice dovrebbe essere il suo uso. Questa pare la cabina di pilotaggio di un caccia del XVIII secolo della Vecchia Terra.

— È fatto per essere guidato da professionisti — disse Aenea. — Ci serve solo un pilota professionista.

«Uno ce l’avete» cinguettò il comlog. Parlava con la sua solita voce.

— Sai pilotare una navetta? — domandai, diffidente.

«In essenza, sono una nave» rispose con orgoglio il comlog. La fibbia del cinturino scattò e si aprì. «Basta inserire lo spinotto rosso in una qualsiasi interfaccia rossa.»

Collegai il comlog al quadro di comando. Immediatamente il pannello si animò, i monitor si accesero, gli strumenti effettuarono l’autoverifica, i ventilatori cominciarono a ronzare e l’onnicomando vibrò. Un monitor a schermo piatto al centro della plancia portastrumenti si accese di luce gialla e la voce del comlog disse: «Dove desiderate andare, signor Endymion, signorina Aenea?».

La bambina mi batté sul tempo. — Il prossimo portale — rispose, calma. — L’ultimo.

58

Dall’altra parte del portale era giorno. Avanzammo lentamente, librati sopra il fiume. Il comlog ci aveva mostrato come usare i comandi, mentre si occupava degli altri sistemi della navetta e ci evitava di commettere stupidi errori. Aenea e io ci scambiammo un’occhiata e spostammo a poco a poco la navetta sopra gli alberi. A meno che quella donna infernale non fosse anche in grado di varcare i teleporter, pensai, eravamo al sicuro.

Ci era parso strano, compiere l’ultimo tratto del viaggio senza usare la zattera, ma tanto lì la zattera non sarebbe andata bene in ogni caso. Il fiume Teti era diventato poco più d’un ruscello fra alte rivedi sicuro era profondo non più di dieci centimetri e largo solo tre o quattro metri. Serpeggiava in un terreno molto boscoso. Gli alberi erano insoliti e familiari allo stesso tempo… per la maggior parte decidui, come i chalma e i weir, ma le foglie erano larghe e fitte come quelle delle mezzequerce, di color giallo vivo e rosso brillante, e ricoprivano come un tappeto le rive del ruscello.

Il cielo era di un piacevole azzurro… non il blu di Hyperion, ma un colore più cupo di quello della maggior parte dei pianeti di tipo terrestre visitati in quel viaggio. Il sole era grande e luminoso, ma non troppo intenso. La luce del sole entrava dallo schermo visore e ci cadeva in grembo.