«Dov’è?» domanda la bambina.
Il caporale Kee si sporge nel campo dell’immagine. «Il nostro radar indica che si trova a circa un chilometro e mezzo a sudest rispetto a voi» dice. «Ha una sorta di mimetizzazione da quattro soldi, riuscirete a trovarla. Vi guideremo da qui.»
«Era sua, la voce del comlog!» dice Raul Endymion. «Quella che ci ha spinto verso le rocce.»
«Be’, sì» dice Kee. «Avevamo deviato tutta l’energia della nave nel sistema di controllo tattico del fuoco… potevamo scaricare attraverso l’atmosfera una potenza di circa ottanta gigawatt… ma l’acqua si sarebbe vaporizzata e vi avrebbe uccisi. Ci pareva meglio puntare sulle lastre di roccia.»
«Quella ci ha preceduti» dice Raul, con un sorriso storto.
«L’idea era questa» replica il caporale Kee.
«Grazie» dice Aenea.
Kee annuisce, imbarazzato, ed esce dal campo d’immagine. «Come ha detto il buon caporale» prosegue il Padre Capitano de Soya «vi guideremo alla navetta.»
«Perché?» replica la confusa immagine di Raul. «E perché avete ucciso la vostra stessa creatura?»
De Soya scuote la testa. «Quella non era una mia creatura.»
«Della Chiesa, allora» insiste Raul. «Perché?»
«Mi auguro che non fosse neppure una creatura della Chiesa» risponde piano de Soya. «Se lo era, allora la mia Chiesa è diventata il mostro.»
Segue il silenzio, rotto solo dal sibilo del raggio compatto. «Fareste meglio a muovervi» dice infine de Soya. «Si fa buio.»
Le due facce nell’immagine olografica si guardano intorno, in maniera quasi comica, come se avessero dimenticato dove si trovano. «Già» dice Raul. «E i vostri raggi al plasma o che diavolo erano hanno ridotto a scorie la mia torcia.»
«Potrei illuminarvi la via» dice de Soya, senza sorridere. «Ma dovrei riattivare il sistema d’armamento principale.»
«Lasci perdere» dice Raul. «Ce la faremo. Ora spengo il video, ma terrò aperto l’audio finché non avremo trovato la navetta.»
57
Impiegammo più di due ore per percorrere quel chilometro e mezzo. Le alture di lava erano davvero accidentate. Fra quei rivoli e quei crepacci sarebbe stato facile rompersi una caviglia, anche senza il peso di A. Bettik sulla schiena. La notte era buia… erano giunte le nuvole a oscurare le stelle… e non credo che ce l’avremmo fatta, se Aenea non avesse trovato nell’erba la torcia laser, mentre facevamo i bagagli e ci preparavamo a partire.
— Come diavolo è finita lì? — dissi. Ricordavo d’essere stato sul punto di premere il pulsante del piccolo laser, mirando agli occhi di quella donna infernale. Poi la torcia laser era sparita. "Oh, al diavolo!" pensai. Era stata una giornata di misteri. Ce ne andammo, lasciandoci alle spalle un ultimo mistero: la sagoma muta dello Shrike, sempre impietrito dov’era comparso. Non tentò di seguirci.
Con Aenea a fare strada tenendo al massimo dell’ampiezza il raggio della torcia laser, avanzammo a fatica nel campo di lava e fra gli instabili mucchi di cenere e ci addentrammo fra le alture. Avremmo impiegato metà del tempo, se A. Bettik non avesse richiesto cure costanti.
Il medipac aveva esaurito la scarsa provvista di antibiotici, stimolanti, analgesici, plasma sanguigno e fleboclisi. A. Bettik era vivo grazie al medipac, ma era sempre sul filo del rasoio. Nel fiume aveva perduto troppo sangue, ecco tutto: la mia cintura usata come laccio emostatico era servita a qualcosa, ma non era stata abbastanza stretta da fermare completamente la perdita di sangue. Quando occorreva, praticavamo all’androide il massaggio cardiaco, solo per fare in modo che il sangue continuasse ad arrivare al cervello e quando l’allarme del medipac cominciava a starnazzare, ci fermavamo. Il comlog, con la voce del caporale, ci manteneva nella giusta direzione; anche se era solo un trucco per catturare Aenea, pensai, avevamo nei confronti di quei due militari della Pax un debito davvero grosso. E mentre ci arrabbattavamo nel buio, con il raggio che giocava sulla lava nera e sugli scheletri d’albero, m’aspettavo che la mano cromata di quella donna infernale scattasse fuori della roccia e m’afferrasse la caviglia.
Trovammo la navetta esattamente dove avevano detto che si trovava. Aenea iniziò a salire la scaletta metallica, ma l’afferrai per i calzoni sbrindellati e la tirai giù.
— Non ti voglio nella nave, ragazzina — dissi. — Abbiamo solo la loro parola che non possono farla funzionare mediante il telecomando. Se entri e loro possono intervenire da lassù, sei bell’e catturata.
Lei si accasciò contro la scaletta. Non l’avevo mai vista così esausta. — Mi fido di loro — replicò. — Hanno detto…
— Già, ma se non sei dentro, non possono prenderti. Tu resti qui, mentre porto su A. Bettik e vedo se c’è un robochirurgo.
Nel salire la scaletta ebbi un pensiero che mi torse le viscere. E se il portello metallico era chiuso e la chiave si trovava nella tasca della tuta di quella donna infernale?
C’era un pannello diskey illuminato. «Sei-nove-nove-due» disse dal comlog la voce del caporale Kee.
Composi sulla tastiera la sequenza di numeri e il portello stagno si spalancò. Nella navetta c’era un robochirurgo, che si avviò con un semplice tocco. Calai con cautela il mio azzurro amico nel contenitore imbottito… ben attento a non sfiorare nemmeno il moncherino… mi assicurai che le piastre a pressione e le cinghie si sistemassero nel giusto modo, poi chiusi il coperchio. Ebbi proprio l’impressione di chiudere una bara.
I grafici non erano promettenti, ma il robochirurgo iniziò a lavorare. Per un momento guardai il monitor, poi mi accorsi che la vista mi si confondeva: mi stavo appisolando in piedi. Mi sfregai le guance e tornai al portello spalancato.
— Puoi stare sulla scala, ragazzina — dissi. — Se la navetta inizia il decollo, salta giù.
Aenea salì sulla scaletta e spense la torcia laser. La luce proveniva dal robochirurgo e da alcune spie luminose sul quadro di comando. — E poi? — disse Aenea. — Salto giù e la nave decolla, con te e A. Bettik. E poi cosa faccio?
— Punti al prossimo portale.
Il comlog disse: «Non vi biasimiamo, se siete così sospettosi». Era la voce del Padre Capitano de Soya.
Mi sedetti nel vano del portello, ascoltando la brezza frusciare tra i rami spezzati e gettati come copertura sulla navetta, e dissi: «Perché questo cambiamento d’idea e di programma, Padre Capitano? È venuto per catturare Aenea. Perché questo voltafaccia?». Ricordavo l’inseguimento nel sistema di Parvati, l’ordine di aprire il fuoco contro di noi su Vettore Rinascimento.
Invece di darci una spiegazione, la voce del prete-capitano disse: «Ho il suo tappeto hawking, Raul Endymion».
«Ah, sì?» risposi stancamente. Cercai di ricordare dove l’avevo visto per l’ultima volta… ah, già, su Mare Infinitum: volava verso la stazione piattaforma. «L’universo è piccolo» commentai, come se non me ne importasse niente. Nell’intimo, avrei dato qualsiasi cosa per riavere in quel momento il piccolo tappeto volante. Aenea si reggeva alla scaletta e ascoltava. Di tanto in tanto tutt’e due davamo un’occhiata per accertarci che il robochirurgo continuasse a funzionare.
«Sì» disse la voce del Padre Capitano de Soya. «E ho cominciato a capire un poco del suo modo di pensare, amico mio. Forse un giorno anche lei capirà il mio.»
«Forse» dissi. A quel tempo non lo sapevo, ma un giorno le parole del prete-capitano si sarebbero rivelate vere.
La voce divenne pratica, quasi brusca. «Pensiamo che il caporale Nemes abbia staccato il pilota automatico mediante un programma ausiliario di comandi manuali, ma non cercheremo di convincervi. Ritenetevi liberi di continuare il vostro viaggio e non abbiate timore: non tenteremo di catturare Aenea.»
«Come possiamo fidarci?» replicai. Cominciavo a sentire il dolore delle ustioni. In un minuto avrei trovato l’energia di rovistare nei depositi sopra il robochirurgo per scoprire se la navetta aveva un medipac. Ero sicuro che l’avesse.