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Confesso che sobbalzai. Non avevo udito nessuno salire o scendere la scaletta, non avevo percepito nessuna presenza estranea nella sala. Girai di scatto la testa.

Non c’era nessuno.

«Da qualche tempo non ho più sentito suonare quel brano» disse di nuovo la voce. Pareva provenire dal centro stesso della sala. «Il mio precedente passeggero preferiva Rachmaninoff.»

Appoggiai la mano sullo sgabello, per riprendermi, e pensai tutte le sciocche domande che potevo evitare di porre.

— Sei la nave? — domandai infine, senza sapere se fosse anche quella una domanda sciocca: desideravo una risposta.

«È ovvio» disse la voce. Era bassa, vagamente maschile. Avevo già udito macchine parlanti (erano in giro da sempre), ma mai una che fosse davvero intelligente. Da più di due secoli, la Chiesa e la Pax avevano messo al bando tutte le vere Intelligenze Artificiali; e la maggior parte dei trilioni di persone sui mille pianeti devastati, dopo aver visto come il TecnoNucleo avesse aiutati gli Ouster a distruggere l’Egemonia, aveva approvato di cuore. Mi resi conto che la mia programmazione personale a quel riguardo era stata efficace: al pensiero di parlare a un meccanismo senziente avevo le palme umide di sudore e un senso di costrizione alla gola.

— Chi era il tuo… ah… precedente passeggero? — domandai.

La voce parve esitare un microsecondo. «Quel signore era generalmente conosciuto come il Console» disse poi. «Per gran parte della vita aveva svolto incarichi diplomatici per conto dell’Egemonia.»

Toccò a me esitare. Mi venne in mente che forse l’"esecuzione" a Port Romance mi aveva strapazzato i neuroni a un punto tale che ora pensavo di vivere in un poema epico di Nonna.

— Che fine ha fatto il Console? — domandai. «È morto» rispose la nave. Forse nella voce c’era una lievissima traccia di rimpianto.

— Come? — Alla fine dei Canti del vecchio poeta si diceva che, dopo la Caduta dei Mondi della Rete, il Console dell’Egemonia aveva lasciato Hyperion e riportato nella Rete la nave. Possibile che fosse la stessa? — Dove morì? — chiesi ancora. Secondo i Canti, nella nave del Console era stata infusa la personalità del secondo cìbrido John Keats.

«Non lo so» rispose la nave. «Non ricordo dove il Console è morto. Ricordo solo che è morto. Allora sono tornata qui. Presumo che una simile direttiva fosse già programmata nei miei banchi comando.»

— Hai un nome? — domandai, con una certa curiosità di sapere se parlavo alla personalità IA di John Keats.

«No. Solo nave.» Ancora una volta ci fu un silenzio che pareva proprio una pausa. «Però mi pare di ricordare che a un certo punto ho avuto un nome.»

— Era John? O Johnny?

«Può darsi. I particolari sono poco chiari.»

— Come mai? La tua memoria funziona male?

«No, affatto. Da quanto posso dedurre, circa duecento anni standard fa si verificò un evento traumatico che cancellò alcuni ricordi, ma da allora la mia memoria e le mie altre facoltà sono state impeccabili.»

— Ma non ricordi l’evento? Il trauma?

«No» rispose la nave, con una certa allegria. «Ritengo che si sia verificato in concomitanza con la morte del Console e col mio ritorno su Hyperion, ma non posso dirlo con sicurezza.»

— E dopo? Dopo il ritorno sei rimasta nascosta qui in questa torre?

«Sì. Per un certo periodo fui nella Città dei Poeti, ma per la maggior parte degli ultimi due secoli locali sono stata qui.»

— Chi ti ci ha portato?

«Martin Sileno. Il poeta. Lei l’ha incontrato oggi.»

— Lo sai?

«Oh, sì. Ho comunicato io al signor Sileno i dati relativi al processo e all’esecuzione. L’ho aiutato a corrompere i funzionari e a organizzare il suo trasferimento qui.»

— Come ci sei riuscita? — L’idea di quella massiccia e arcaica nave al telefono era troppo assurda perché la prendessi in considerazione.

«Hyperion non ha una vera e propria sfera dati, ma io intercetto tutte le trasmissioni in libera microonda e via satellite, oltre ad alcune bande maser e a fibra ottica, ritenute "sicure", nelle quali mi sono inserita.»

— Allora fai la spia per il vecchio poeta.

«Sì.»

— E cosa sai dei piani che ha nei miei riguardi? — domandai, girandomi di nuovo verso la tastiera e iniziando l’Aria sulla IV corda di Bach.

— Signor Endymion — disse una voce diversa, alle mie spalle.

Smisi di suonare e mi girai: A. Bettik, l’androide, era fermo sulla scala a chiocciola.

— Il mio padrone si preoccupava che lei si fosse perduto — disse A. Bettik. — Sono venuto a mostrarle la strada per tornare alla torre. Ha giusto il tempo di cambiarsi per cena.

Scrollai le spalle e mi avviai alla scala. Prima di seguire quell’uomo dalla pelle azzurra, mi girai e dissi alla sala che già si oscurava: — È stato bello parlare con te, Nave.

«Sono lieta d’avere fatto la sua conoscenza, signor Endymion» disse la nave. «La rivedrò presto.»

7

Le navi torcia Baldassarre, Melchiorre e Gaspare si trovano a un’intera unità astronomica al di là della foresta orbitale incendiata e ancora decelerano intorno al sole senza nome, quando la Madre Comandante Stone comunica al Padre Capitano de Soya che i corrieri sono stati risuscitati.

— Per meglio dire — si corregge — solo uno ha superato con successo la risurrezione. — Rimane librata nel vano della porta a diaframma.

Il Padre Capitano de Soya fa una smorfia. — L’altro… quello che non l’ha superata… è stato rimesso nella culla di risurrezione? — domanda.

— Non ancora — risponde Stone. — Padre Sapieha assiste il superstite.

De Soya annuisce. — La Pax? — domanda. Si augura che la risposta sia positiva: i corrieri del Vaticano portano più guai di quelli militari.

La Madre Comandante Stone scuote la testa. — Sono tutt’e due del Vaticano. Padre Gawronski e padre Vandrisse. Due Legionari di Cristo.

Solo con uno sforzo di volontà de Soya evita di sospirare. Nel corso dei secoli, i Legionari di Cristo hanno in pratica preso il posto dei più liberali Gesuiti… il loro potere nell’ambito della Chiesa era già in fase di crescita un secolo prima del Grande Errore… e non è un segreto che il Papa li usi come forza d’urto per missioni difficili in seno alla gerarchia ecclesiastica. — Quale dei due è sopravvissuto? — domanda de Soya.

— Padre Vandrisse — risponde Stone. Lancia un’occhiata al comlog. — Ormai dovrebbe essere già risuscitato, signore.

— Molto bene — dice de Soya. — Faccia regolare a 1 g il campo interno per le ore zero-sei-quattro-cinque. Faccia venire a bordo i capitani Hearn e Boulez e faccia loro i miei complimenti. Li accompagni per favore nella sala riunioni di prua. Mi tratterrò con Vandrisse prima della riunione.

— Sissignore — dice la Madre Comandante Stone; punta il piede contro la porta, si dà una spinta e si allontana.

La sala di risurrezione è più una cappella che un’infermeria. Il Padre Capitano de Soya si genuflette verso l’altare e poi si accosta a padre Sapieha, fermo accanto al lettino a rotelle sul quale il corriere in quel momento si alza a sedere. Sapieha è più anziano della maggior parte del personale della Pax, ha almeno settant’anni standard; i soffusi raggi alogeni si riflettono sul suo cranio calvo. De Soya ha sempre trovato che il cappellano di bordo è un tipo irascibile e poco brillante, come parecchi parroci conosciuti da ragazzo.

— Capitano — saluta padre Sapieha.

De Soya risponde con un cenno e si avvicina all’uomo sul lettino. Padre Vandrisse è giovane, forse sulla trentina; ha capelli lunghi, arricciati secondo la moda in voga nel Vaticano. Per meglio dire, secondo la moda in voga quando de Soya ha lasciato Pacem e il Vaticano: nei due mesi dall’inizio della missione il Padre Capitano ha già accumulato un debito temporale di tre anni.

— Padre Vandrisse, mi sente?