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Per non parlare delle mitiche creature tra le macerie…

WENDY COPE, A Policeman’s Lot

Mentre si lasciavano alle spalle l’Illinois, a tarda sera, Shadow rivolse a Wednesday la sua prima domanda. Quando vide il cartello con la scritta BENVENUTI IN WISCONSIN disse: «Allora, chi erano i tizi che mi sono saltati addosso nel parcheggio? Wood e Stone. Chi erano?».

I fari dell’automobile illuminavano il paesaggio invernale. Wednesday aveva annunciato che non avrebbero preso le freeway perché non sapeva da che parte si erano schierate e perciò Shadow stava guidando su strade secondarie. Non gli dava fastidio. Non era nemmeno sicuro che il suo datore di lavoro fosse matto.

Wednesday grugnì. «Spioni. Membri dell’opposizione. I cattivi.»

«Ho l’impressione che loro credano di essere i buoni.»

«Ovvio. Nessuna guerra degna di questo nome è mai stata combattuta da qualcuno che non si credesse dalla parte giusta. La gente davvero pericolosa crede di fare quello che fa, qualsiasi cosa sia, solo ed esclusivamente perché al di là di ogni dubbio è la cosa giusta da fare. È questo che li rende davvero pericolosi.»

«E tu?» chiese Shadow. «Perché stai facendo quello che fai?»

«Perché mi va» rispose Wednesday. E poi sorrise. «E tanto ti basti.»

«Come avete fatto a scappare?» domandò Shadow. «Sempre che siate scappati tutti.»

«Sì, ci siamo riusciti» rispose Wednesday. «Per un pelo, comunque. Se non si fossero fermati per prendere te forse ci avrebbero catturati tutti quanti. È servito a convincere parecchi tra gli incerti del fatto che non sono completamente pazzo.»

«Ma come avete fatto a scappare?»

Wednesday scosse la testa. «Non ti pago per fare domande. Mi pare di avertelo già detto.»

Shadow scrollò le spalle.

Passarono la notte in un motel della catena Super 8 a sud di La Crosse.

Il giorno di Natale lo trascorsero guidando, in direzione nordest. I campi coltivati lasciarono il posto ai boschi di conifere, le città erano separate l’una dall’altra da distanze sempre più grandi.

Nel pomeriggio si fermarono a fare il pranzo di Natale in un’enorme trattoria nel Nord del Wisconsin. Shadow sbocconcellò senza allegria la carne di tacchino secca, la salsa di mirtilli tutta grumi rossi e dolce come marmellata, le patate arrosto dure come legno e i piselli in scatola di un verde troppo acceso. Da come mangiava e schioccava le labbra con gusto Wednesday sembrava trovare il cibo di suo gradimento, e mangiando diventava più espansivo: chiacchierava, scherzava, e quando gli veniva a tiro la cameriera, una ragazza magra e bionda che non sembrava nemmeno maggiorenne, le faceva la corte.

«Scusami, cara, ti posso disturbare per un’altra tazza della tua squisita cioccolata calda? E mi auguro che non vorrai giudicarmi sfacciato se dico che il tuo vestito è molto attraente e ti dona moltissimo. È allegro, e al tempo stesso elegante.»

La cameriera, che indossava una gonna rossa e verde con delle paillette argentate sull’orlo, ridacchiò, arrossì e sorrise felice affrettandosi a prendere un’altra tazza di cioccolata.

«Attraente» ripeté Wednesday osservando pensieroso la ragazza. «Ha grazia.» Secondo Shadow non stava parlando del vestito. Wednesday si ficcò in bocca l’ultima fetta di tacchino, pulì la barba con il tovagliolo e allontanò il piatto. «Ah. Ottimo.» Poi si guardò intorno. In sottofondo suonava un nastro con le canzoni di Natale: jingle bell jingle bell trallallà la la.

«Alcune cose cambiano» esordì Wednesday di punto in bianco. «Le persone, invece… rimangono uguali. Ci sono imbrogli che funzionano sempre, altri che vengono inghiottiti anche troppo presto dal tempo e dal mondo. La mia truffa preferita non si può più fare, altre invece si adattano a ogni epoca: il Prigioniero spagnolo, L’allocco gabbato, il Trucco del leccapiedi (che sarebbe un Allocco gabbato ma con l’anello d’oro al posto del portafogli), il Violino…»

«Non conosco il Violino» disse Shadow. «Le altre mi pare di averle sentite nominare, il mio vecchio compagno di cella mi ha raccontato di aver fatto il Prigioniero spagnolo personalmente. Era un imbroglione anche lui.»

«Ah» esclamò Wednesday con un bagliore nell’occhio sinistro. «Quello del Violino è un trucco fantastico che nella sua versione più pura prevede la partecipazione di due persone. Il funzionamento è basato sull’avidità e sulla cupidigia, come in tutte le truffe di questo mondo. Si può sempre riuscire a ingannare un uomo onesto, ma è più difficile. Dunque. Siamo in un albergo o una locanda o in un bel ristorante e durante la cena incontriamo il nostro uomo, un tipo dimesso ma per bene, non troppo male in arnese però certo neanche in gran forma. Lo chiameremo Abraham. Quando arriva il momento di pagare il conto — non un conto enorme, bada bene, cinquanta, settanta dollari — che imbarazzo! Dov’è finito il portafogli? Buon Dio, deve averlo lasciato a casa di un amico che abita poco distante. Andrà immediatamente a riprenderselo! "Tenga, oste" dice Abraham, "le lascio in garanzia questo vecchio violino. È vecchio, come vede, ma è lo strumento con cui mi guadagno da vivere."»

Quando vide la cameriera avvicinarsi Wednesday le fece un sorriso da predatore. «Ah, la cioccolata calda! Ed è il mio Angelo di Natale a portarmela! Dimmi cara, potrei avere ancora un po’ di quel pane squisito, quando trovi un momento?»

La cameriera — quanti anni poteva avere: sedici, diciassette? si chiese Shadow — abbassò gli occhi e avvampò fino all’attaccatura dei capelli. Appoggiò la tazza di cioccolata con mani tremanti, andò a rifugiarsi dietro la vetrina frigorifero in cui ruotavano le torte e lì rimase a fissare Wednesday. Poi scivolò in cucina a procurare il pane.

«Dunque. Il violino — vecchio, indubbiamente, forse anche un pochino malconcio — viene riposto nella sua custodia e il nostro Abraham momentaneamente squattrinato parte alla ricerca del portafogli. Un signore elegante che ha appena terminato di cenare si avvicina all’oste: potrebbe per gentilezza fargli dare un’occhiata al violino che l’onesto Abraham ha lasciato in pegno?

"Ma certamente." Il nostro oste gli dà lo strumento e il signore ben vestito — lo chiameremo Barrington — rimane a bocca spalancata, poi si riprende e la chiude, esamina il violino con un atteggiamento rispettoso, come un uomo appena ammesso nel sacrario a esaminare le ossa del profeta. "Santo Gelo!" esclama, "Questo è… deve… non può… eppure è, sì, sì… Ossignore! Ma è incredibile!" e indica il marchio del liutaio sulla striscia di carta scura incollata alla cassa del violino… e comunque lo avrebbe capito anche senza vedere la firma, dal colore della vernice, dal ricciolo, dalla forma.

«A questo punto Barrington tira fuori dalla tasca un raffinato biglietto da visita dove si legge che lui è un importante antiquario specializzato in strumenti musicali. "Allora questo è un violino raro?" chiede l’oste. "Può ben dirlo" risponde Barrington che continua ad ammirare lo strumento in preda a grande meraviglia, "e vale più di centomila dollari, se non mi sbaglio. Essendo del mestiere pagherei cinquanta — no, fino a settantacinquemila dollari sull’unghia — per un pezzo di così squisita fattura. Ho un cliente sulla costa occidentale che sarebbe pronto ad acquistarlo subito, senza nemmeno vederlo, basterebbe un telegramma, per qualsiasi cifra gli chiedessi." A questo punto Barrington consulta l’orologio e assume un’espressione triste. "Il mio treno parte tra poco" dice. "Se voglio prenderlo devo affrettarmi! Brav’uomo, quando torna il proprietario di questo inestimabile strumento, avrebbe la cortesia di dargli il mio biglietto da visita? Purtroppo io devo partire." E ciò detto Barrington se ne va come un uomo che sa che il tempo e i treni non aspettano nessuno.

«Il bravo oste esamina il violino, mentre nelle sue vene scorrono insieme curiosità e cupidigia e a poco a poco va formulando un piano. Però il tempo passa, e Abraham non ritorna. Si sta facendo tardi quand’ecco sulla soglia, malandato ma dignitoso, il nostro violinista. Stringe tra le mani un portafogli che ha visto giorni migliori, un portafogli che nei suoi giorni migliori avrà contenuto al massimo un centinaio di dollari e ne estrae il denaro per pagare la cena o la camera e chiede di riavere il suo strumento.