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«E gli irlandesi, vuoi sapere, sono forse venuti in America nell’Alto Medioevo? Senza dubbio, insieme alle genti di Cornovaglia, e ai vichinghi, mentre gli africani della Costa Occidentale — quella che in seguito sarebbe stata chiamata Costa degli Schiavi, o Costa d’Avorio — commerciavano con il Sudamerica, e i cinesi andarono in Oregon un paio di volte, lo chiamavano Fu Sang. I baschi stabilirono le loro zone segrete di pesca sacra al largo delle coste di Terranova milleduecento anni fa. Ora immagino che tu stia per dirmi: ma signor Ibis, quelle erano popolazioni primitive, non avevano i telecomandi, le vitamine e i reattori.»

Shadow non aveva parlato, e nemmeno ne aveva avuto l’intenzione, ma sentendosi interpellato domandò: «Ebbene sì, erano popoli primitivi, non è vero?». Le ultime foglie dell’autunno scricchiolavano sotto i loro passi con la rigidità già tipica dell’inverno.

«L’errore consiste nel ritenere che prima di Colombo la gente non potesse percorrere lunghe distanze via mare. La Nuova Zelanda e Tahiti e innumerevoli isole del Pacifico furono colonizzate da popoli la cui abilità di navigatori avrebbe fatto arrossire Colombo di vergogna; e la ricchezza dell’Africa era fondata sul commercio, benché soprattutto con l’Oriente, con l’India e la Cina. La mia gente, il popolo del Nilo, scoprì molto presto che con un’imbarcazione di giunco e dosi sufficienti di pazienza e giare d’acqua dolce poteva circumnavigare il mondo,. Vedi, il problema più grosso dei viaggi in America era che, considerata la distanza, non si trovava niente di così interessante da scambiare.»

Erano arrivati davanti a una grande casa in stile Queen Ann. Shadow si domandò chi fosse, la Regina Anna, e perché le piacessero tanto quelle case da famiglia Addams. Era l’unico edificio in tutto l’isolato che non avesse le finestre sprangate. Superarono il cancello e passarono dalla porta sul retro.

Il signor Ibis aprì le grandi porte doppie con una chiave che portava appesa alla catena ed entrarono in un’ampia stanza non riscaldata occupata da due persone: un uomo molto alto con la pelle scura che stringeva in mano un grosso bisturi, e una ragazza di vent’anni cadavere, sdraiata su un lungo tavolo di porcellana che sembrava una via di mezzo tra un lastrone e un lavandino.

Sulla parete dietro il cadavere c’era un pannello di sughero al quale erano appese alcune fotografie. In una la ragazza sorrideva, era un’istantanea scattata al liceo. In un’altra era insieme a tre compagne, tutte vestite per il ballo studentesco, e portava i capelli scuri legati in una crocchia intricata.

Cadavere sulla porcellana, adesso, li aveva sciolti, sporchi di sangue secco.

«Questo è il mio socio, il signor Jacquel» disse Ibis.

«Ci siamo già incontrati» disse Jacquel. «Scusa se non ti stringo la mano.»

Shadow guardò la ragazza sul tavolo. «Cosa le è capitato?» chiese.

«Ha dimostrato un gusto tremendo in fatto di fidanzati» rispose Jacquel.

«Non sempre è fatale» aggiunse il signor Ibis con un sospiro. «Questa volta lo è stato. Lui era ubriaco e aveva un coltello, e lei gli ha detto che pensava di essere incinta. Lui non credeva che il figlio fosse suo.»

«È stata pugnalata…» aggiunse Jacquel, e cominciò a contare. Quando premette un pulsante con il piede si sentì un clic e il piccolo dittafono sul tavolo vicino si mise in funzione: «… cinque volte. Ci sono tre ferite di punta nella parete toracica anteriore. La prima tra la quarta e la quinta costola al limite mediale della mammella sinistra, due centimetri virgola due di lunghezza; la seconda e la terza attraversano la zona inferiore della parte mediale della mammella penetrando nel sesto spazio intercostale, e misurano tre centimetri. C’è una ferita lunga due centimetri nella parte superiore dell’emitorace sinistro, a livello del secondo spazio intercostale, una lunga cinque centimetri e profonda al massimo uno virgola sei nel deltoide sinistro anteromediale, una lacerazione. Tutte le ferite al petto sono profonde. Da una valutazione esterna non ne risultano altre.» Staccò il piede dal pulsante. Shadow vide che sopra il tavolo dell’imbalsamazione penzolava un piccolo microfono.

«Allora lei è anche medico legale?» domandò Shadow.

«Da queste parti quello del medico legale è un incarico politico» disse Ibis. «Il suo lavoro consiste nel prendere a calci il cadavere. Se il cadavere non glieli restituisce allora lui firma il certificato di morte. Jacquel è quello che chiamano un prosettore. Lavora per il medico legale della contea. Fa le autopsie e conserva campioni dei vari tessuti per le analisi. Ha già fotografato le ferite.»

Jacquel continuava il suo lavoro. Con il grosso bisturi praticò una profonda incisione a V che cominciava dalle clavlcole e terminava in fondo allo sterno, poi trasformò la V in una Y con un’altra profonda incisione che dallo sterno arrivava al pube. Prese un oggetto di metallo cromato che sembrava un trapano, piccolo ma pesante, con una sega circolare, lo mise in funzione e segò le costole.

La ragazza si aprì come una borsetta.

Shadow avvertì subito un odore leggero, sgradevolmente penetrante e pungente.

«Credevo che l’odore fosse più forte» disse.

«È piuttosto fresca» rispose Jacquel. «E siccome gli intestini non sono stati perforati non c’è puzza di merda.»

Shadow distolse lo sguardo, non per un senso di ripulsa, come si sarebbe aspettato, bensì per lo strano desiderio di concedere alla ragazza un po’ di intimità. Più nudi di così, più spalancati, non si poteva essere.

Jacquel estrasse gli intestini luccicanti e serpentini annidati nel ventre e nella pelvi. Li fece scorrere tra le dita centimetro dopo centimetro, descrivendoli come "normali" al microfono, poi li infilò in un secchio appoggiato sul pavimento. Con una pompa aspirò tutto il sangue dal petto della ragazza e ne misurò il volume. Poi ispezionò la cavità toracica. Disse: «Tre lacerazioni del pericardio, sangue coagulato e liquido».

Le afferrò il cuore, lo staccò dalle arterie e lo rigirò tra le mani per esaminarlo. Premette il pulsante con il piede e disse: «Due lacerazioni del miocardio; una di un centimetro e mezzo nel ventricolo destro e una di un centimetro e otto nel ventricolo sinistro».

Estrasse i polmoni, uno dopo l’altro. Il sinistro era stato perforato ed era mezzo collassato. Li pesò, pesò il cuore e fotografò le ferite. Dai due polmoni tagliò una fettina, il campione di tessuto, che mise dentro un barattolo.

«Formaldeide» sussurrò il signor Ibis desideroso di rendersi utile.

Jacquel continuava a parlare nel microfono, descrivendo ogni fase dell’operazione, man mano che rimuoveva fegato, stomaco, milza, pancreas, reni, utero e ovaie.

Pesò tutti gli organi, normali e intatti. Da ciascuno tagliò un campione che mise in un contenitore con formaldeide.

Dal cuore, dal fegato e da uno dei reni tagliò un altro pezzetto che si infilò in bocca e cominciò a masticare lentamente, facendoli durare, mentre lavorava.

Stranamente a Shadow sembrò una cosa giusta: un gesto rispettoso, per niente osceno.

«Dunque starai con noi per un po’?» domandò Jacquel mentre masticava la fettina di cuore della ragazza.

«Se mi volete» rispose Shadow.

«Certamente» disse il signor Ibis. «Non vedo perché dire di no con tutte le buone ragioni che abbiamo per dire sì. Finché resterai qui sarai sotto la nostra protezione.»

«Spero che dormire sotto lo stesso tetto con i defunti non ti disturbi» disse Jacquel.

Shadow pensò alle labbra fredde e amare di Laura. «No» disse. «Finché rimangono defunti.»

Jacquel si voltò a guardarlo: i suoi occhi scuri erano interrogativi e freddi come quelli di un cane del deserto. «Qui i morti restano morti» si limitò a dire.

«Io ho l’impressione che riescano a tornare indietro con una certa facilità.»

«Niente affatto» intervenne Ibis. «Anche gli zombie sono fatti a partire dai vivi. Un po’ di polvere, qualche incantesimo, qualche stimolo ed ecco lo zombie. Vivono, ma credono di essere morti. Riportare davvero alla vita un defunto, con il corpo e tutto, richiede molto potere.» Esitò, poi aggiunse: «Ai vecchi tempi, nella vecchia terra, era più facile».