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— Io sì — disse l’oracolo.

— Me l’ha detto Tanajin. — Guardò il fuoco. Dopo un momento si massaggiò un lato della faccia, passandosi la mano sulle strisce di pelo bianco. — Inverno dopo inverno ho tenuto dentro di me questa storia. È come una pietra nel mio ventre. È come un cattivo sapore in bocca. Duole come una vecchia ferita nel periodo delle piogge. Non la capisco. Non vedo che cos’altro avremmo potuto fare.

Nia sospirò. — Allora raccontala. Ma ti avverto. Non ti aiuterà. Le parole servono meno di quanto credi.

— Può darsi — disse Ulzai.

L’oracolo s’intromise. — Posso avere un po’ di birra?

— E il tuo stomaco? — gli domandò Derek.

— La birra fa bene per la digestione.

Nia gli diede la brocca.

Ulzai si grattò la testa. — È una lunga storia.

— Abbiamo tempo — disse Derek. — Quel temporale non finirà tanto presto.

— Voi due. — Ulzai rivolse un’occhiata furiosa a Derek e a me. — Non parlate di ciò che sentirete. E anche tu, o uomo santo.

Facemmo il gesto dell’assenso, tutti e tre.

— Per prima cosa, devo parlarvi del Popolo del Cuoio. Un tempo appartenevo a quel popolo. E così Tanajin. Vivevano negli acquitrini dove il Grande Fiume entra nella pianura di acqua salata. Le loro case non somigliano a nessun’altra casa che abbia visto in altri luoghi. La regione paludosa è piatta e quando il fiume sale, la terra viene inondata. Tutta quanta. La gente costruisce le proprie case in cima a strutture fatte di legno. Non so come descriverle. Assomigliano un po’ alle strutture che la gente usa per far asciugare il tessuto o essicare il pesce. Ma sono molto più grandi e più solide. Sopra ogni struttura c’è una piattaforma, e sopra la piattaforma c’è una casa. Le pareti sono fatte di canne e di rami intrecciati fra loro. Il tetto è fatto di fasci di canne. I fasci sono spessi. Neppure la pioggia più forte riesce a passarvi. — Tacque un momento, gli occhi socchiusi, mentre ricordava. — Non ci sono alberi nella palude, solo canne, benché possano crescere più alte di un uomo. Le case s’innalzano sopra le canne. Sono più alte di tutto. Un uomo può alzare lo sguardo e vederle, anche da molto lontano. Di notte può vedere i fuochi per cucinare sulle piattaforme.

Derek si protese in avanti. — Se non ci sono alberi, dove vi procurate il legno per le case?

— Lo porta il fiume. Quando il fiume arriva nelle paludi, si allarga. Allora l’acqua scorre lentamente. Il fiume si lascia dietro tutto quello che stava portando con sé. Ci sono banchi di sabbia all’entrata delle paludi e una grande zattera di legno. La zattera riempie gran parte del fiume ed è così lunga che un uomo può vogare per giorni, risalendo la corrente, senza mai vedere la fine di tutto quel legno. Ci sono più alberi aggrovigliati fra loro di quanti chiunque potrebbe contarne. Sono quasi tutti corrosi dall’acqua. Hanno perso la corteccia. Sono grigi come la sabbia. Sono bianchi come ossa. Ma non sono marci. Possono venire utilizzati.

— Aiya! - esclamò l’oracolo.

Ulzai guardò accigliato il fuoco. — Adesso ho dimenticato quello che stavo per dire.

— Parlavi della tua gente — dissi.

Lui fece il gesto dell’assenso. — Le donne vivono nelle case, alte sopra i canneti. Gli uomini vivono nelle imbarcazioni. È questo che ogni ragazzo riceve quando viene il momento per lui di lasciare la casa di sua madre: una barca con una prua scolpita e una serie di lance, un coltello per scuoiare e un mantello di pelle di lucertola. Questi quattro doni sono sempre gli stessi.

"Il ragazzo li prende. Dice addio a sua madre e alle altre parenti. Se ne va pagaiando. Non torna finché non ha ucciso una lucertola. Una grossa. Un umazi."

— Che cosa intendi quando dici che ritorna? — domandò Nia.

— So che le persone qui sulla pianura non approverebbero il nostro comportamento. Il nostro dono è il cuoio. Gli uomini cacciano gli umazi e li scuoiano per ricavarne la pelle.

"Ma la pelle non serve a niente se non viene conciata, e sono le donne a fare la conciatura. Sono loro che hanno le grosse tinozze fatte di legno e di ferro. Sono loro che hanno l’urina. Un uomo dove mai potrebbe procurarsi abbastanza urina da riempire una tinozza per la concia? E dove terrebbe la tinozza? Non nella sua canoa e non sulle isole, che sono spesso coperte d’acqua.

"Quando un uomo uccide un umazi, porta la pelle a sua madre, o a una sorella, se la madre è morta,"

— Non ho mai sentito una cosa del genere — disse l’oracolo.

— Tutto questo viene fatto con discrezione. L’uomo aspetta che la grande luna sia piena. Allora, durante la notte, si reca a casa della madre. Lega la sua imbarcazione e si arrampica sulla piattaforma. Lei è all’interno. Le finestre sono schermate. La porta è chiusa. La donna non fa alcun rumore.

"Lui mette giù il proprio dono. La pelle grezza dell’umazi. Raccoglie i doni che lei gli ha lasciato fuori della porta. Lui se ne va. Non viene scambiata una parola. I due non si vedono nemmeno.

"È necessario fare così. Altrimenti non avremmo il cuoio, e siamo il Popolo del Cuoio."

— Uh! — esclamò Nia.

— È questo che facevi? — s’informò l’oracolo.

Ulzai fece il gesto dell’affermazione. — Fino alla morte di mia madre. Le mie sorelle erano già morte. Non avevo cugine. È così che è incominciato tutto.

— Incominciato cosa? — chiese Derek.

— Io sono un buon cacciatore. Nessun uomo ha ucciso più umazi di me. Mia madre aveva più pelli di quante gliene servissero. Regalava metà di ciò che le portavo.

"A volte, durante la notte, conducevo la mia imbarcazione nel canale di casa e mi spostavo lentamente sotto le abitazioni nell’oscurità. Sentivo cantare le donne. Lodavano la mia abilità e la sua generosità. Dovete capire, era bello stare ad ascoltare."

— Non avresti dovuto stare là — disse Nia.

— Mi piacciono le lodi — ribatté Ulzai. — Lei morì. Non avevo parenti strette al villaggio. Non c’era nessuno a cui portare le mie pelli. Per me erano inutilizzabili. Tutta la mia abilità di cacciatore era inutile.

— Aiya! - esclamò Derek.

— Prendi altra legna — gli ordinò Ulzai.

Derek ubbidì. Ulzai mise due rami sulle fiamme e restò a guardare finché non presero fuoco. Io ascoltavo. La pioggia continuava a cadere.

Lui sollevò la testa. — A volte, quando succede una cosa del genere, l’uomo, il cacciatore, rinuncia a cacciare. Si addentra nella palude e vive pescando. Diventa uno straccione. Dimentica come si fa a parlare. Ho visto uomini così nel periodo dell’accoppiamento. Cercano di tornare con la forza nella zona vicina al villaggio. Ne ho affrontati due o tre. Costoro non lanciano insulti come gli uomini normali. Ringhiano ed emettono brontolii. Tirano indietro le labbra e mostrano i denti. Uno sollevò la lancia, come se avesse intenzione di usarla contro di me. Alla fine non lo fece. Emise uno strano suono, una specie di lamento, e fuggì via. — Ulzai mise altri rami sul fuoco. — Altri uomini si cercano un’altra donna. Può darsi che ci sia una lontana cugina che non ha fratelli. O una vecchia che è sopravvissuta a tutti i suoi parenti.

"Ma non è facile raggiungere un accordo. Le due persone non possono parlare. Non possono guardarsi. La donna non sa chi le fa visita, lasciando le pelli di lucertola. Non ha la minima idea riguardo ai doni giusti da dargli. Una madre l’avrebbe, e anche una sorella.

"Spesso la donna ha paura. Le donne del villaggio fanno pettegolezzi quando una che non ha parenti prepara una tinozza per la concia. Fanno domande. Si fanno delle idee. Non è mai un bene attirare l’interesse delle proprie vicine."

— Questo è vero — disse Nia.

— Io non ero disposto a smettere di cacciare. Non volevo diventare un folle. Entravo nel villaggio nelle notti scure. Fermavo la mia imbarcazione sotto le case. Ascoltavo le donne che parlavano. Nessuna mi sentiva. Nessuna mi vedeva. Sono abile in ciò che faccio.