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"Ma allora non mi svegliai. Il vecchio restò finché la smania non fu terminata. Furono cinque o sei giorni. Ci accoppiammo più e più volte." Nia serrò i pugni. "Quando non ci accoppiavamo, mi teneva legata. Non era stupido, sebbene fosse pazzo. Sapeva che avrei preso i bambini e sarei fuggita. Diceva che ero io la pazza. Nessuna donna normale gli avrebbe ordinato di andarsene. Nessuna donna normale avrebbe cercato di respingerlo.

"I bambini avevano fame. Piangevano. Allora mi slegò in modo che potessi dar loro da mangiare. Ma non volle lasciarmi seppellire Enshi. Trascinò il suo corpo fuori dal rifugio e lo lasciò disteso lì allo scoperto, nello spiazzo fuori dalla porta. Il tempo era molto caldo. Enshi si gonfiò. Incominciò a puzzare. Arrivarono insetti e uccelli. Quando la porta della capanna era aperta, riuscivo a vederli banchettare. Hua continuava a dire: ’Che cosa c’è che non va? Che cosa è successo a Enshi?’.

"Le dissi di stare tranquilla. Avrebbe fatto infuriare il vecchio.

"Che altro potrei dire? Due uomini si erano scontrati nel periodo degli accoppiamenti. Uno aveva ucciso l’altro. Era una cosa che non accadeva spesso, ma non era sbagliata. Perché continuavo a pensare che fosse sbagliata? Perché odiavo il vecchio? Aveva il diritto di accoppiarsi con me. Aveva vinto lui, sebbene forse non in modo del tutto leale."

Nia smise di parlare. Attesi. Avevo un gusto aspro in bocca e non riuscivo a pensare a niente da dire.

— La smania finì e il vecchio se ne andò. Seppellii Enshi. Diedi da mangiare ai bambini, li pulii e li consolai. Poi sellai i nostri animali.

"Portai i bambini con me. Non potevo fare altro. Tenevo in braccio Anasu mentre Hua cavalcava il cornacurve di Enshi. Dovetti legarla alla sella. Seguimmo le tracce del vecchio. Ci vollero due giorni.

"Lo trovai ai piedi delle colline, ai margini della pianura. Si era acceso un fuoco nell’ultimo boschetto prima che iniziasse la pianura. Aiya! Ricordo quello che provai quando vidi il suo fumo salire in volute verso il cielo!

"Legai i cornacurve. Misi a terra i bambini e dissi a Hua di tenere d’occhio suo fratello. Dissi loro di non piangere, che sarei tornata presto, e scesi lungo la collina. Adesso avevo un arma. Un arco. Era lo stesso che era appartenuto a Enshi. Ricordo il momento della giornata. Appena dopo il tramonto. Il cielo a occidente era arancione. Il fuoco del vecchio brillava fra gli alberi. Mi avvicinai strisciando. Lo vidi rannicchiato accanto al fuoco." Nia s’interruppe. "Lo colpii nella schiena. Lui gridò e cadde riverso. Lo colpii di nuovo.

"Che altro c’è da dire? Mi accertai che fosse morto. Poi spensi il fuoco e tornai dai miei bambini. Erano rimasti in silenzio, nascosti in un cespuglio, come un paio di cuccioli di cornacurve. Aiya! Com’erano stati bravi! Li lodai e diedi loro da mangiare.

"In seguito mi recai a nord fino al villaggio. Affidai i bambini ad Angai. Adesso era lei la sciamana. Mi disse che li avrebbe cresciuti nel modo giusto. Io non potevo. Mi diressi verso est e finii dove mi hai trovata, nel villaggio di Nahusai."

Nia si appoggiò all’indietro e chiuse gli occhi. Doveva aver perso peso in quegli ultimi giorni. La sua faccia appariva più magra del solito ed era facile scorgere le ossa, perfino sotto la pelliccia. Aveva la mascella pesante. La fronte era rotonda e bassa. Gli zigomi erano grossi e non c’era alcuna rientranza dove il naso si univa alla fronte. Saliva diritto, ampio e piatto fino in cima. Aprì gli occhi e batté le palpebre. — Decidi tu fra noi due. Ha ragione Hua? Sono una pervertita?

Alzai lo sguardo in cerca di ispirazione. L’apertura per il fumo era scura. C’era qualcosa lassù che bloccava la luce.

Che diavolo? Mi alzai in piedi.

La cosa si mosse. Entrò di nuovo la luce del sole. Riuscivo a vedere il cielo. — Torno subito — dissi a Nia. Uscii e mi girai.

Come tutti i tetti del villaggio, anche questo era ricoperto di vegetazione. Le piccole foglie rotonde splendevano alla luce del sole e c’erano fiori arancioni. Fra i fiori svolazzavano gli insetti. Avevano ali gialle. Più o meno a metà della pendenza del tetto c’era la sciamana. La lunga veste era tirata su e potevo vederle le gambe. Erano ossute e pelose, con grosse ginocchia.

— Hai ascoltato dall’apertura per il fumo. Hai sentito quello che ha detto Nia.

— I miei occhi saranno cattivi, ma le mie orecchie sono le migliori del villaggio. Aiya! Che racconto disgustoso! Dovrei costringervi ad andarvene oggi. — Scese fino al bordo del tetto e si sedette. — Aiutami.

Mi protesi verso la donna, che si lasciò cadere fra le braccia. Era leggera e puzzava. Era un miscuglio di odori, conclusi mentre la mettevo giù. Pelo, muschio e alito cattivo. La vecchia aveva bisogno di un dentista. Feci un passo indietro.

— La Voce della Cascata ha detto di aiutarvi e quindi devo farlo. Quel pazzo! Perché non è cresciuto nel modo giusto e non è andato a raggiungere i suoi fratelli? Ma lui no, quel folle! Lui doveva sentire voci e vedere cose nei sogni. Vado a parlare con lui e quello danza qua e là e farfuglia. Nudo, per di più. Uno di questi inverni si prenderà una brutta infreddatura e morirà. Lascia che te lo dica, è duro fare la madre. Adesso, vattene via! La donna là dentro è debole. Ha bisogno di riposare.

Aprii la bocca.

— Non le dirò quello che ho sentito. Va’! Levati di mezzo!

Mi voltai e mi allontanai. Alle mie spalle la sciamana brontolava. Udii la parola "perversione" e la parola "disgustoso". Poi disse ad alta voce: — Perché queste cose capitano a me?

Continuai a camminare finché non arrivai a casa di Eshtanabai. La donna era seduta sulla soglia, appoggiata all’intelaiatura della porta, e aveva l’aria tranquilla e soddisfatta.

Mi fermai. Lei alzò lo sguardo. — Come sta la tua amica?

— Meglio. Dimmi, com’è la sciamana?

— Vecchia e bizzarra. Molti dicono che non è più quella di un tempo. Ma ricorda ancora le cerimonie. Parla del passato. Le donne anziane lo fanno sempre. E si preoccupa dei suoi figli. Non delle figlie. Queste si trovano nel villaggio. Sa come tirano avanti. Si preoccupa dei figli maschi. Ne ha avuti cinque e sono vissuti tutti abbastanza a lungo per subire il cambiamento. Quattro si trovano su a nord, se non sono già morti. Il quinto, il più giovane, l’hai conosciuto. È nato dal suo ultimo accoppiamento, quando stava già diventando vecchia. Forse è per questo che è diventato un oracolo. Le donne anziane hanno figli strani. Lo sanno tutti. Perché me lo domandi?

Feci il gesto che poteva significare qualsiasi cosa o niente, il gesto dell’incertezza.

— Non è un gran che come risposta. — Eshtanabai si alzò in piedi. — Vieni dentro. Ho un po’ di bara.

Era la bevanda alcolica indigena. O, per lo meno, la sostanza inebriante indigena sotto forma di liquido.

— Ci ubriacheremo. Non ho nient’altro da fare per oggi. — Mi precedette dentro casa.

La seguii. Perché no? Ci sedemmo accanto al fuoco. Era un mucchio di tizzoni. Vedevo un minuscolo rosseggiare in fondo al mucchio, dal quale saliva un filo di fumo che si avvolgeva in volute nel raggio di luce che penetrava dall’apertura nel soffitto. Eshtanabai riempì due scodelle e me ne porse una. Bevvi. Il liquido era amaro e mi bruciava in bocca. Tossii, poi deglutii.

— Bevine ancora — fece lei. Vuotò la sua tazza, poi la riempì. — Ascolta. — Si protese in avanti. — Credo che tu sia preoccupata per la sciamana. È una brava donna. Vecchia e stramba, ma brava. Ma non tutto quello che esce dalla sua bocca è santo. Soltanto un oracolo è santo in ogni momento, ed è una terribile tensione. La maggior parte degli oracoli muoiono giovani. Bevi ancora un po’. Ti farà bene. È dura starsene seduti ad aspettare che qualcuno che si ama si ristabilisca.

Bevvi il resto del bara.

Eshtanabai me ne versò dell’altro. — La sciamana è spesso santa, ma a volte è una vecchia sciocca, che parla dei propri figli. Noi cerchiamo di essere gentili, e non è facile. L’anno scorso abbiamo mandato via un ragazzo, e lei si è ubriacata. Non ha cantato le canzoni appropriate, le canzoni che dicono al ragazzo: "Sii coraggioso! Stai facendo quello che è giusto!". Ha cantato della donna che si è accoppiata con il vento. Quella canzone non è quella adatta.