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Yohai fece il gesto dell’approvazione. — Credo che sia stata Hakht a comporre le canzoni. È lei quella che sta facendo del male. Mia madre è vecchia. Non può difendersi. Io non ho il potere. Le persone che non sono più qui non parlano con me. Non posso difendere mia madre.

Bene, la cosa era abbastanza chiara. Nahusai era ammalata. Hakht mi stava accusando di aver gettato un incantesimo sull’anziana donna. Ero una strega, secondo Hakht, in ogni caso.

— Perché Hakht sta facendo questo?

Fu Nia a rispondermi. — Non sa aspettare. Vuole essere la donna più importante del villaggio. E lo sarà, quando Nahusai andrà… — S’interruppe, poi batté con la mano sul terreno. — Le ha insegnato Nahusai. Nahusai ha detto: "Questa sarà quella che verrà dopo di me". Ma lei non sa aspettare. — Nia aggrottò la fronte. Dopo un momento, aggiunse: — Ci sono persone così.

Feci il gesto dell’approvazione.

— Lei cerca di immischiarsi in ogni cosa. Se Nahusai dice "sì" a qualche cosa, quella donna dice "no". Nahusai ti ha accolta. Per questo Hakht dice che sei un demonio.

— È la verità — disse Yohai.

— Che cosa facciamo? — domandai.

— Riesco a pensare a una cosa soltanto — disse Nia. — Dobbiamo aspettare. Se Nahusai starà meglio, farà tacere Hakht. Se non… — Nia fece un gesto che non riconobbi.

— Che cosa significa?

— Chi può dirlo?

Stavo per ripetere la mia domanda quando mi resi conto che Nia aveva già risposto. Il gesto, la mano tesa, poi inclinata di qua e di là, significava "chi può dirlo?".

Nia si alzò in piedi. — Yohai, tu torna a casa. Io e Li-sa saremo prudenti. Grazie per l’avvertimento.

Yohai fece il gesto dell’intesa, quindi se ne andò. Attesi finché non fu partita, poi guardai Nia. — Credi che abbia ragione?

— In che senso?

— È stata Hakht a provocare tutto questo? Ha fatto del male a Nahusai?

Nia aggrottò la fronte. — Io non so se le canzoni facciano qualcosa. O se le persone che non sono più qui ascoltino qualcuno. Ma una donna come Hakht conosce cose da mettere nel cibo. È una brutta situazione. — Serrò il pugno e colpì la parete sopra di me. — Odio questo posto! Sono stanca degli alberi scuri. Sono stanca delle persone. Stanno sempre a raccontarsi storie sull’una o sull’altra. Stanno sempre a progettare come farsi del male a vicenda. — Si chinò e afferrò un’ascia, poi se ne andò. Un po’ più tardi sentii il rumore di un’accetta. Nia stava abbattendo un altro albero.

Pensai di chiamare Eddie, ma poi decisi di no. Dieci a uno che avrebbe voluto farmi tornare sulla nave. Non pensavo che la situazione fosse pericolosa e volevo sapere che cosa sarebbe successo in seguito.

Me ne andai sulla riva del fiume e feci i miei esercizi di yoga. Quindi meditai, osservando l’acqua corrente. Al crepuscolo comparvero degli insetti: erano piccoli, simili a zanzare. Non morsicavano, ma mi s’infilavano nel naso e negli occhi. Mi alzai e tornai verso casa, sentendomi rilassata. La mia mente, solitamente attiva e un po’ ansiosa, ora sembrava sgombra e serena come il cielo sopra di me. Mi fermai e guardai in su. C’era una luna sopra la foresta, una sottile falce, meno di un quarto. Era di un giallo tenue e brillava della luce di un sole sparito. Tutt’a un tratto mi sentii colma di una gioia intensa. Da un momento all’altro le cose avrebbero cominciato ad avere senso, avrei visto il disegno nei fenomeni rilevabili, o al di là di questi, avrei capito il mistero della vita, il segreto dell’universo.

Poi la sensazione sparì. La luna era solo una luna. Scrollai le spalle. Una volta ancora non ero arrivata fino in fondo. A che cosa, in ogni caso? Non ero davvero sicura che questi momenti di quasi rivelazione significassero qualcosa.

Entrai e trovai Nia che preparava la cena: una pappa d’aveva brodosa con mescolate dentro delle bacche. I suoi movimenti erano bruschi e il suo corpo pareva teso. Era ancora infuriata. Decisi di restare in silenzio. Mangiammo e andammo a dormire.

Mi svegliai, sentendo un rumore: un sommesso tum-ta-tum. Proveniva dall’esterno. Un tamburo.

Chiamai: — Nia?

Lei uscì carponi dal letto. Un istante dopo era sulla porta e l’apriva. Entrò una luce grigia. Nia se ne stava ritta nel vano della porta. Era nuda e teneva in mano un’ascia.

Mi alzai e mi avvicinai alle sue spalle.

Mancava poco al sorgere del sole e c’era luce a oriente. Nella radura di fronte alla casa ardevano cinque torce. Avevano un che di suggestivo mentre ondeggiavano al vento, ma servivano ben poco a illuminare. Vidi delle figure scure e compresi che doveva trattarsi di persone. Ma non sapevo chi fossero e neppure quante ce ne fossero. Venticinque? Trenta? Forse di più.

Nia brontolò qualcosa e uscì dalla porta. Io la seguii. Una persona venne verso di noi. Teneva in mano un sonaglio e lo muoveva in continuazione. Faceva un rumore simile a un serpente a sonagli impazzito.

— Finiscila con quel baccano — disse Nia. La sua voce aveva un suono rabbioso.

— Benissimo. — Il rumore cessò. — Siamo venute per il demonio. — Riconobbi la voce. Forte, stridula e arrogante, apparteneva a Hakht.

Nia si lanciò un’occhiata attorno. — Che significa tutto ciò? Nahusai è morta?

— È morta la notte scorsa. Ero nella mia casa e componevo una canzone per allontanare la malasorte. Ho sentito gridare Yohai. Ho capito che la vecchia se n’era andata.

— E Yohai? — domandò Nia. — Yohai è qui?

Il cielo si andava schiarendo e vidi il gesto che fece la fattucchiera. Significava "no".

— Ci sono cerimonie che vanno celebrate. Lei le ha cominciate. — Hakht alzò la voce. Aveva un tono di trionfo. — Lei non vi aiuterà. Le ho detto che è stata lei a causare la malasorte. Ha suscitato la collera delle persone che non sono più qui. Le ho detto che tutto questo deve finire. Mi ha dato ascolto, o Donna del Popolo del Ferro. Farà quello che dico io. E adesso — Hakht sollevò la mano e la puntò — il demonio. Consegnamelo.

— No.

Hakht fece un passo avanti. Nia sollevò l’accetta. — Ascoltami, fattucchiera. Io non ho alcun rispetto per te. Non temo il tuo potere. — Fece una pausa. Di solito le sue spalle erano arrotondate, ma adesso si teneva eretta. — Tutte voi, ascoltate! Ho fatto qualcosa che pochissime donne hanno mai fatto. Ho ucciso una persona.

Ci fu del movimento fra le abitanti del villaggio. Nessuna parlò.

— A ovest di qui, sulla pianura, ci sono le ossa di un individuo che mi aveva fatta arrabbiare. Non l’ho neppure seppellito. — Si guardò attorno. — Sono disposta a farlo di nuovo.

Hakht aprì la bocca.

— Sta’ zitta! Lasciami finire!

Hakht richiuse la bocca. Era accigliata.

Nia proseguì. — Non voglio restare più qui. Sono stanca dell’oscurità sotto gli alberi. Voglio vedere di nuovo il cielo. Me ne andrò e porterò con me il demonio. Non resterà nessuno a tenerti testa, Hakht. Allora potrai essere contenta. — Il disprezzo nella sua voce era palese. — Dammi solo un giorno, o fattucchiera. Vattene e ritorna domani mattina. Io me ne sarò andata con il demonio e nessuno si sarà fatto male.

Ci fu un lungo silenzio. Nia mantenne il suo atteggiamento, tenendosi molto eretta, l’ascia sollevata. Hakht la fissò e aggrottò la fronte. Infine disse: — Benissimo. Torneremo domani. — Si voltò e si allontanò. Il resto del villaggio la seguì. Nel giro di uno o due minuti se ne erano andate, sparite nella foresta.

Nia sospirò. Le sue spalle si afflosciarono. Fece un passo indietro e si appoggiò alla parete della casa.

— Hai ucciso davvero una persona?

Nia fece il gesto dell’affermazione. — Ero molto arrabbiata. — Guardò in direzione della foresta. — Vorrei uccidere Hakht, ma non sono abbastanza arrabbiata. — Lasciò cadere l’accetta. — Va’ dentro. Preparati a partire. Io verrò non appena avrò smesso di tremare.

Entrai e preparai i bagagli. Dopo un po’ arrivò Nia. Riscaldò gli avanzi della cena e mangiammo.