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Quella sera Eddie aveva una nuova e interessante notizia.

— Yvonne sostiene che non ci sono uomini adulti nel suo villaggio. Ci sono alcuni vecchi. Vivono ai margini del villaggio, a quanto dice, ciascuno per proprio conto. E ci sono ragazzi, bambini di sesso maschile. Ma nessuno nell’età di mezzo.

Riflettei per un momento. — Conosco la parola che significa "ragazzo" e ho visto dei ragazzini giocare nella strada. I bambini più piccoli non portano indumenti. Il sesso è evidente, e un interessante esempio di evoluzione parallela. Ma non conosco il termine per "uomo". — Mi morsicai il labbro per uno o due minuti. — Lascia che indaghi su questo fatto.

— Okay — disse Eddie.

Chiusi il collegamento e mi appesi la radio alla spalla, quindi uscii dalla latrina. La luna era proprio sopra di me. Era più piccola della nostra Luna, ma più prossima al suo pianeta principale, con un’albedo assai maggiore. Illuminava l’area circostante: lo spiazzo di erbacce, la latrina e una mezza dozzina di abitazioni.

Mi incamminai verso la casa di Nahusai. Qualcosa si mosse nell’ombra lungo la parete.

— Sì? — chiamai. — Che cosa c’è?

Qualcos’altro si mosse alla mia destra, nei pressi di una delle case circostanti. Mi voltai. C’era una persona ritta nel chiarore lunare. Indossava una veste lunga.

— Che cosa c’è? — domandai.

— Sono Hakht — fece una voce aspra. O forse la voce disse "Akht". Non ero certa dell’aspirazione iniziale.

Altre figure emersero dall’oscurità. Erano una mezza dozzina e due portavano dei bastoni. Si disposero in cerchio attorno a me, a una certa distanza. Nondimeno, mi impedivano ogni via di uscita dal cortile.

— Ti abbiamo sentita. Tu vai lì… — La figura con la veste lunga additò la latrina. — Tu parli. Tu fai… — Disse qualcosa che non riuscii a capire, ma sembrava un’accusa.

— Non ho fatto niente di male — dissi.

L’individuo fece un gesto che significava "no" o "non sono d’accordo", ne ero abbastanza sicura. — Sei una qualcosa. Ti ordino di andartene!

— Non capisco — ribattei.

— Vattene! — urlò l’individuo.

Mi guardai attorno. Nessuno si avvicinava. Che cosa supponevano che fossi? Uno spirito maligno? Feci un passo avanti. Le persone davanti a me si spostarono su entrambi i lati.

— Grazie — dissi in inglese.

Alle mie spalle l’individuo dalla veste lunga sbraitò: — Qualcosa! Vattene!

Girai intorno alla casa finché non arrivai sul davanti ed entrai. Nahusai era andata a letto. Yohai sedeva accanto al fuoco. Tesseva, usando il piccolo telaio a mano. Alzò gli occhi.

— Una brutta faccenda — dissi. — Una persona chiamata Hakht o Akht.

— Tsa! - Si alzò, aiutandosi con le mani. — Che cosa?

— Ero nella latrina. Sono uscita. Hakht era lì. Hakht ha detto: "Vattene".

— Uh! — Yohai si precipitò dalla madre e scosse l’anziana donna per svegliarla. Parlarono sottovoce e in fretta. Mi morsi l’unghia del pollice.

— Nahusai! — fece una voce alle mie spalle. Era Hakht, naturalmente. Se ne stava ritta nel vano della porta, tenendo un bastone con una mano e un sonaglio con l’altra. Il sonaglio era dipinto di bianco e dall’impugnatura penzolavano delle penne nere.

— Che cos’è questa storia? — s’informò Nahusai.

Lanciai un’occhiata all’anziana donna. Adesso era in piedi. Yohai reggeva una cintura fatta d’argento. La vecchia si sistemò la lunga veste, poi prese la cintura e se la mise. Dopo di che, aprì una scatola e tirò fuori una mezza dozzina di collane. Erano in argento, rame, bronzo e conchiglie. Le indossò. Yohai le porse un bastone. Lei venne verso di noi camminando adagio, con dignità, appoggiandosi al bastone.

— È notte, figlia di mia sorella — disse rivolta a Hakht. Parlava con voce lenta e chiara. Avevo l’impressione che volesse che capissi anch’io. — Che cosa ci fai qui?

Hakht agitò il sonaglio nella mia direzione. Fece un suono ronzante. — Quella se ne andrà.

— No — rispose Nahusai.

— È una qualcosa! — dichiarò Hakht.

— No. Che cosa ti ho insegnato, figlia di mia sorella? Come riconosciamo un qualcosa? — Nahusai alzò un dito. — A loro non piace mangiare. — Alzò un secondo dito. — Non dormono mai. — Alzò un terzo dito. — Non entrano in acqua. Non è così?

Nahusai fece un cenno nella mia direzione. — Questa dorme. Mangia… — La mia ospite fece un ampio gesto, indicando che mangiavo in abbondanza. — Usa la latrina. È stata nell’acqua. L’ha vista Yohai. Non è una qualcosa. Dici una cosa sbagliata, figlia di mia sorella. Non è la verità.

Hakht si accigliò e aprì la bocca per rispondere.

Nahusai additò la porta. — Non intendo parlare di notte. Vattene!

Dopo un istante, Hakht si girò e uscì lentamente, con palese riluttanza. Teneva la schiena rigida e la mano che reggeva il sonaglio si muoveva leggermente. Udii un debole ronzio discontinuo.

Quando se ne fu andata, Yohai incominciò a gemere.

— Tsa! - esclamò la donna anziana.

Mi scoprii a tremare. Mi sedetti e per poco non caddi nel piegarmi. Nahusai e Yohai si misero a parlare fra loro e c’era tensione nelle loro voci. Non riuscii a capire una parola della conversazione.

Che cosa era successo, in ogni modo? Hakht mi aveva accusata di essere una qualche specie di creatura soprannaturale. Un mostro, uno spirito maligno, uno spettro. Nahusai aveva detto che non ne avevo le caratteristiche distintive, di qualunque cosa si trattasse. Aveva parlato come se fosse un dottore che discute i sintomi di una malattia. Doveva essere una maga o una sacerdotessa, e anche Hakht doveva esserlo. Una specialista rivale. In tutti i casi, Hakht si era tirata indietro, sconfitta, almeno per il momento. Ma ero abbastanza certa che la disputa non sarebbe finita lì. Dovevo chiedere a Eddie di venirmi a prelevare? Mi mordicchiai un’unghia. Non ancora.

La mia ospite parlò, con voce calma e decisa. Qualunque cosa stesse dicendo, sembrava irrevocabile. Yohai fece un gesto che io non compresi del tutto, ma pensavo che significasse "così sia".

Nahusai sospirò. Appoggiò di nuovo il bastone alla parete, poi si tolse i monili. Aveva un’aria sfinita.

— Li-sha. — Era Yohai.

— Sì?

— Dormi. — Yohai indicò col dito il mio mucchio di pellicce.

Ubbidii, ma non riuscii a prendere sonno per ore.

All’alba Yohai mi scrollò. — Svegliati. Mangia.

Mi tirai su a sedere. Il fuoco ardeva con una vivida fiamma. Sopra era appeso un paiolo, e lì accanto era seduta la mia ospite.

— Vieni — fece Yohai. — Adesso.

Andai per prima cosa alla latrina. Fuori faceva freddo. Il terreno era bagnato di rugiada e il cielo era del colore indefinibile dell’alba. Perché ero già in piedi a quell’ora? Altri guai, conclusi. Usai la latrina e tornai verso la casa. C’era dell’acqua in una grossa catinella accanto alla porta. Mi lavai ed entrai.

La colazione consisteva nella solita poltiglia. Pareva che fosse il loro cibo preferito. Finito di mangiare, la mia ospite mi guardò. La sua espressione era grave. — Li-sha. — Fece una pausa e aggrottò la fronte. — Hakht dice cose cattive. La gente ascolta. Dicono: "Sì. Li-sha è una qualcosa. È cattiva". S’interruppe di nuovo e restò a fissare il fuoco, poi tornò a rivolgersi a me. — Io sono vecchia. Loro sanno che andrò… — Batté leggermente sul pavimento. Il gesto significava sotto terra. — Io parlo. Loro non mi ascoltano. Va’ con Yohai.

— Dove?

— Un buon posto. Va’.

Misi le mie cose nello zaino, poi me lo caricai sulle spalle. Yohai indossò una semplice tunica marrone e una cintura di cuoio, alla quale era appeso un fodero, e nel fodero c’era un coltello. Aveva un manico fatto di ottone e corno.

— Vieni — disse Yohai.

Mi fermai di fronte a Nahusai. Non conoscevo la parola per dire "grazie", ma esisteva un gesto. Mi toccai il petto, poi girai la mano con il palmo rivolto verso Nahusai.

Lei ricambiò il gesto.

Le porsi un dono: una scatola. Era fatta con il legno proveniente da una delle Isole Deserte, intarsiato con frammenti di conchiglia. Erano di un rosa e di un verde iridescenti, più belle dell’aliotide e della madreperla.