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— Magnifico — borbottò Falkner. — Diventeremo famosi. Naufragio di una nave extraterrestre; il pilota si lancia col paracadute; i coraggiosi ufficiali del SOA ne hanno ragione a mani nude. Noi… — Falkner si riprese. Aveva ricominciato a dar fiato alla bocca, segno che forse non era per niente sobrio. L’occhiata ammonitrice di Bronstein era stata esplicita. Per un attimo i loro sguardi si incontrarono, e Falkner si infuriò nel vedere quanto Bronstein lo compatisse. Una vampata di odio puro gli attraversò il corpo.

In occasioni del genere Falkner insisteva con ostinazione a convincersi che non odiava Bronstein semplicemente perché Bronstein era ebreo. Il fatto che fosse ebreo non c’entrava per nulla. Lui odiava Bronstein perché quel piccolo capitano azzimato era ambizioso, perché era capace, perché aveva sempre il pieno controllo di sé, e perché credeva che i dischi volanti provenissero da altri mondi. Bronstein era l’unico ufficiale, tra quelli che conosceva Falkner, che si fosse arruolato volontariamente nel SOA. Quell’ufficio era considerato il deposito di rifiuti per militari di carriera la cui utilità era stata già altrimenti sfruttata, ma Bronstein aveva scelto di persona quell’incarico. Perché? Perché credeva sul serio che i dischi fossero una questione destinata a far storia, la più grossa faccenda mai capitata fra le mani dell’Aeronautica. E lui voleva esserci, a raccogliere la gloria e i titoli di testa sui giornali, quando la fantasia si fosse trasformata in realtà innegabile. Per Bronstein la pattuglia antidischi costituiva la via d’accesso a cose ben più grandi.

Senatore Bronstein. Presidente Bronstein.

L’umore di Falkner peggiorò ulteriormente. Scattò: — Va bene, muoviamoci. Via tutti, verso il deserto, e trovatemi quel meteorite prima dell’alba. Schnell!

Gli uomini uscirono di corsa dalla stanza. Bronstein rimase, e con voce bassa disse: — Tom, io credo che questo lo sia davvero. La situazione che abbiamo sempre aspettato.

— Vai all’inferno.

— Non saresti sorpreso di incontrare un ambasciatore interstellare seduto in mezzo agli arbusti?

— È stata una meteora — asserì gelido Falkner.

— L’hai vista?

— No. Stavo… studiando dei rapporti.

— Io l’ho vista — ribatté Bronstein. — Non era una meteora. Poco c’è mancato che mi bruciasse gli occhi. Dev’essersi trattato di un qualche tipo di generatore a fusione che esplodeva, al di sopra della stratosfera. È stato come un piccolo sole che si fosse acceso per un paio di minuti, Tom. Ed è quello che hanno visto anche i ragazzi di Los Alamos. Conosci qualche progetto dell’Aeronautica che utilizzi generatori a fusione?

— No.

— Nemmeno io. Perciò…

— Perciò era una nave spia cinese — concluse Falkner.

Bronstein rise. — Sai una cosa, Tom? Credo sia dannatamente più probabile che quella nave provenisse da Procione XII, o un posto del genere, in un altro sistema solare, piuttosto che da Pechino. Dimmi pure che sono matto. Io la vedo così.

Falkner non rispose. Si dondolò avanti e indietro per un po’ sulla punta dei piedi, cercando di convincersi che stava vivendo tutto ciò, e non semplicemente sognandolo. Poi, accigliandosi, fece un cenno a Bronstein ed entrambi uscirono nel buio della notte.

Quattro dei mezzi cingolati erano già partiti. Falkner salì a bordo di uno dei due rimasti, Bronstein a bordo dell’altro, e poi si allontanarono rombando dalla base. L’abitacolo di Falkner conteneva un sistema di comunicazione completa che lo metteva in contatto con gli altri veicoli di ricerca, con l’ufficio di Albuquerque, con il quartier generale del SOA a Topeka, e con i vari quartier generali minori sotto la sua giurisdizione, nei quattro stati sud-occidentali. Il quadro era sovraffollato, in quel momento. Una dozzina di messaggi luminosi lampeggiarono contemporaneamente.

Falkner si mise in contatto con Topeka ed osservò il volto del suo comandante, il generale Weyerland, prendere forma sul piccolo schermo a colori.

Weyerland, come lo stesso Falkner, era un relitto cosmico, un uomo spazzato via dal programma spaziale, e trasferito in quel vicolo cieco che era il SOA. Almeno Weyerland aveva quattro stelle sulla spalla, però, a titolo di consolazione. Considerando che era stato personalmente responsabile della morte di due astronauti nel corso di un esperimento spaziale, Weyerland doveva ritenersi fin troppo fortunato ad avere ancora un lavoro, perfino con il SOA, immaginò Falkner. Ma continuava a conservare una buona facciata. Weyerland si comportava sempre come se la faccenda dei dischi volanti avesse per lui un’importanza particolare.

— Com’è questa storia, Tom? — domandò il generale.

— Non c’è molto da dire, fino ad ora, signore. Una scia di luce nel cielo, un mucchio di cittadini sconvolti, ed ora un controllo standard. Siamo partiti da qui con sei cingolati, ed un paio li abbiamo spediti a nord di Santa Fe. Inoltre ci sono i consueti dispositivi per la rilevazione di metalli. Normale routine, come tutti quegli avvistamenti.

— Non ne sono sicuro — replicò Weyerland.

— Signore?

— Washington mi ha chiamato due volte al telefono. Intendo dire il grand’uomo in persona, anche lui. È fuori di sé. Lo sa che quella scia di luce è stata vista per migliaia di chilometri quadrati? L’hanno captata in California; sono quasi impazziti da quelle parti.

— California — ripeté Falkner, facendo sembrare quella parola indicibilmente oscena.

— Sì, lo so. Ma il pubblico è in allarme. Stanno facendo pressioni sulla Casa Bianca, e la Casa Bianca sta facendo pressione su di noi.

— C’è già Uno-zero-sette in corso, no?

— Su tutti i canali — rispose Weyerland. «107» era il termine in codice che indicava un annuncio in sordina con il quale si spiegava alla gente che quel misterioso oggetto era semplicemente un fenomeno naturale, e che non c’era nulla di cui preoccuparsi. — Ma ne abbiamo trasmessi così tanti, di «107», Tom, che nessuno ci crede più. Noi diciamo «meteora» e tutti traducono «disco volante». Sta arrivando il giorno in cui dovremo cominciare a raccontare la verità.

Quale verità? avrebbe voluto chiedere Falkner, ma non lo fece.

Invece disse: — Dica al presidente che faremo rapporto non appena avremo qualcosa di concreto fra le mani.

— Mi chiami ogni ora — ordinò Weyerland. — Che abbia o no qualcosa di concreto.

Il generale interruppe la comunicazione. Falkner cominciò subito a mettersi in contatto con gli altri. Su quattro canali raccoglieva dati dalle reti di intercettazione collocate lungo tutto il sistema difensivo periferico. Certo, tutte avevano registrato la presenza di un grosso oggetto proveniente dal Polo ad una quota di trentamila metri, che poi aveva ulteriormente preso quota sopra il Manitoba, ed infine si era disintegrato del tutto nel cielo del Nuovo Messico centrale. Be’, d’accordo, c’era stato qualcosa, quella sera. Ma poteva esserci una spiegazione razionale, così come una fantastica, per l’episodio. Si era trattato di una pesante massa ferrosa che era penetrata nella nostra atmosfera e si era arroventata prima di disintegrarsi. Perché fantasticare su astronavi galattiche quando le meteore erano tanto comuni?

Il cingolato di Falkner procedeva in linea retta senza esitazioni, puntando adesso a nord ovest, al di là di Albuquerque, approssimativamente verso la Foresta Nazionale di Cibola. Sulla sua sinistra il colonnello poteva scorgere i fari lontani delle automobili che sfrecciavano sulla Superstrada 40. Si stava avvicinando al Rio Puerco — poco più che un rigagnolo, ora, dopo un autunno senza piogge. Le stelle sembravano straordinariamente vivide, quasi taglienti. Era una notte ideale per la neve, ma sapeva che non sarebbe nevicato. Di malumore, continuò a tormentare il pannello dei comandi davanti a lui, ripetendo quasi a memoria i gesti abituali del suo lavoro.

Il pubblico era preoccupato. Il pubblico! Bastava che un elicottero passasse ronzando sopra le loro teste, ed un milione di persone si precipitava a telefonare alla polizia, asserendo di aver visto un disco volante. Il piccolo spettacolo celeste di quella sera, pensò con rincrescimento Falkner, aveva probabilmente portato una discreta fortuna nelle casse della società telefonica degli Stati delle Montagne, la Tel Tel. Linee sovraccariche tutta la sera. Quella storia doveva essere solo una trovata pubblicitaria orchestrata dalla compagnia. Senza dubbio.