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— … e così l’ha portata nella stanza, capisci, ma quando le ha tolto i vestiti si è accorto che…

— … i Braves non hanno la minima possibilità, se Pasquarelli parteciperà alla Tournee in Giappone…

— … qualsiasi cosa dicano a proposito di quella dannata palla di fuoco, io mi rifiuto di credere che fosse solo…

— … in quella sottodivisione sono rimasti sette lotti, ma tre di loro sono già mezzi venduti a…

— … come si fa a discutere di guadagni di sei bigliettoni per azione?…

— … quarantuno fuori campo con un polso slogato…

— … e allora lei ha detto, dammi cinquanta testoni, o chiamo un poliziotto, e allora lui…

— … disco volante…

— … aumentare gli utili azionari, quelle sì che sono spese extra…

— … sottobanco adesso, ma verranno ammesse alle contrattazioni tra…

— … certo che credo a quella storia! Stammi a sentire, amico, si trovano dappertutto, ora…

— … hanno preso questo giocatore messicano, no, cubano…

— … le ha dato un bel calcio nel sedere…

— … quando la banca interverrà, potremo…

Bridger bevve con cautela un altro sorsetto del suo sherry. Poi scese pesantemente dallo sgabello ed attraversò la sala, facendo del suo meglio per darsi un contegno amichevole e gioviale. Si soffermò un attimo accanto ad un capannello di quattro persone, che non gli fecero molto caso. Una cameriera con le cosce color porpora gli passò vicino. Gli uomini erano giovani, giudicò Bridger, ma non troppo. Quando due di loro alzarono gli occhi verso di lui, l’agente Kranazoi fece un ampio sorriso e disse, con la voce più affabile che gli riuscì di tirar fuori: — Scusatemi l’intrusione, amici, ma non ho potuto fare a meno di sentire i vostri discorsi su quel disco volante…

CAPITOLO TREDICESIMO

Mirtin sapeva che stava violando le regole, per il modo in cui aveva stretto amicizia con il ragazzo indiano. Un Dirnano costretto ad atterrare sulla Terra avrebbe dovuto, in generale, evitare qualsiasi contatto con i terrestri; erano consentite alcune eccezioni per proteggere la propria vita, ma lui aveva abbondantemente oltrepassato i limiti. Tra le cose che non avrebbe dovuto fare c’era il rivelare gli scopi della missione Dirnana, parlare dell’ubicazione e della civiltà di Dirna, o consentire a qualsiasi terrestre di accedere all’attrezzatura in dotazione all’osservatore che era atterrato. Mirtin aveva fatto tutte queste cose.

Eppure non si sentiva molto in colpa. Aveva servito il pianeta madre con efficienza e fedeltà per lungo tempo. Per un periodo che, in base al conteggio usato dalla razza di Charley Estancia, corrispondeva a centinaia di anni, Mirtin aveva rispettato tutte le regole. Adesso che era vecchio gli si poteva consentire qualche piccola distrazione.

Inoltre c’era da considerare Charley. Mirtin vedeva il ragazzo crescere e maturare da una sera all’altra. La materia prima era buona: una mente sveglia e curiosa, una natura assetata di conoscenza e di esperienza. L’ambiente aveva ostacolato Charley collocandolo in un «enclave» dove venivano conservate delle caratteristiche volutamente primitive. Mirtin aveva l’impressione che l’universo dovesse a Charley Estancia qualcosa di un pochino più grande del suo villaggio di fango. Se, come era accaduto, l’universo aveva scelto Mirtin di Dirna come strumento di riscatto del ragazzo, Mirtin non poteva che accettare quel fatto, senza preoccuparsi troppo dei regolamenti di sicurezza. A volte il mero patriottismo doveva cedere il passo di fronte a necessità più elevate.

Charley se ne stava accucciato accanto a lui, e giocherellava con gli strumenti rilucenti che Mirtin gli aveva permesso di estrarre dalla tuta.

— A che serve questo? — domandò il ragazzo.

— Quello è… be’, noi lo usiamo come generatore portatile. Produce elettricità.

— Ma io posso tenerlo in mano. C’è dentro un piccolo magnete, da qualche parte? Come funziona?

— Attinge al campo magnetico del pianeta — spiegò Mirtin. — Tu sai che ogni pianeta è come una grande calamita?

— Già, sì, certo che lo so.

— Questo strumento crea linee di forza che si dirigono in senso contrario al campo magnetico del pianeta. Tu spingi quella leva ed esso attraversa le linee magnetiche, inducendo una corrente. Noi lo chiamiamo il «borsaiolo», Charley, perché sembra rubare energia dall’aria rarefatta. Naturalmente non la ruba, la prende solo in prestito.

— Posso provarlo?

— Fai pure. Ma in che modo?

Il ragazzo indicò la borraccia. — Hai lasciato un po’ d’acqua. Se davvero questo strumento crea corrente, dovrei riuscire a scinderla, no? In idrogeno e ossigeno. Com’è il termine? Elettro… elettri…

— Elettrolisi — concluse Mirtin. — Sì, funzionerà. Ma sii prudente.

— Ci puoi scommettere.

Mirtin mostrò al ragazzo come si estraevano gli elettrodi. Con grande precisione Charley preparò lo strumento per l’uso ed infilò gli elettrodi nell’acqua. Poi attivò il generatore. Entrambi osservarono divertiti la corrente che frantumava le molecole d’acqua secondo le previsioni.

— Ehi, funziona! — esclamò Charley. — Senti, posso aprirlo? Voglio vedere che cosa c’è lì dentro che crea la corrente.

— No — rispose deciso Mirtin.

— Non vuoi proprio? Lo rimetterò a posto subito, così come è adesso. Non farò nessun danno.

— Ti prego, Charley. Non cercare di aprirlo. Tu… tu lo romperesti. È predisposto per bruciarsi nel momento in cui qualcuno toglie il sigillo.

Era una menzogna, e Mirtin non era bravo a raccontare bugie a Charley. Cercò di non incontrare gli occhi neri e scintillanti del ragazzo.

— Così — disse Charley — se un terrestre dovesse casualmente impossessarsene, non riuscirebbe ad aprirlo e ad imparare come funziona per costruirne un altro?

— S… sì.

— Non ce n’è un altro nella mia attrezzatura — rispose Mirtin. — E anche se ci fosse, non te lo farei aprire.

— Forse ne hai un altro? Potrei aprire l’altro e dare almeno un’occhiata prima che si bruci.

— Hai paura che apprenda troppe cose? Che venga a conoscenza di qualcosa che il popolo della Terra non dovrebbe conoscere?

— Già — ammise Mirtin. — Non dovrei nemmeno fartele vedere, queste cose. Sto infrangendo una regola, comportandomi così. Ma proprio non posso permetterti di guardare dentro. Non capisci, Charley, non serve a niente che noi veniamo semplicemente qui, vi diamo questi strumenti e lasciamo che voi li studiate e li imitiate. Ci sono delle cose che un pianeta deve scoprire da solo. Se la scoperta non viene dal di dentro, non serve a nulla. Ho visto delle civiltà andare in rovina per non aver sviluppato una propria tecnologia. Non qui, su altri pianeti. Prendevano a prestito, rubavano… e ciò ha significato la loro distruzione.

— Allora non posso guardare dentro?

— No. Cercare di immaginare che cosa c’è, sì, ma guardare, no.

— Tu non puoi muovere né le braccia né le gambe — disse Charley. — Non potresti fermarmi se lo aprissi.

— Giusto — replicò con calma Mirtin. — Non potrei fermarti affatto. L’unico che potrebbe fermarti saresti tu stesso, Charley.

Tutto ad un tratto nella caverna si era creato un grande silenzio. Charley fece scorrere la mano sull’impugnatura levigata del generatore, e rivolse due o tre occhiate fugaci in direzione di Mirtin. Poi, con riluttanza, posò lo strumento accanto agli altri.

— Vuoi una tortilla?

— Sì, grazie.

Charley scartò il pacchetto e ne tirò fuori un’altra tortilla. Come al solito, la tenne davanti alla bocca di Mirtin mentre il Dirnano, sdraiato sulla schiena, la mangiava a grosse boccate. Ad un certo punto Mirtin diede un morso ma il pezzo di tortilla gli sfuggì e scivolò dal mento verso terra. Automaticamente cercò di sollevare la mano destra per afferrare il pezzetto di tortilla mentre cadeva. Non riuscì ad afferrarlo, ma aveva mosso il braccio.