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Glair aggrottò la fronte. — Li amavo entrambi, sì. E potrei ancora amare qualcun altro. Vieni qui, Tom, e smettila di cercare il modo di renderti infelice.

Falkner mosse qualche passo incerto verso Glair, pensando a due uomini e una donna a bordo di un disco volante, e dicendosi che non erano uomini e lei non era una donna. Fu sorpreso di scoprire quanto fosse forte la gelosia che lo attanagliava; poi si domandò a che cosa sarebbe potuto assomigliare un rapporto sessuale con un’aliena. E fu colto dalle vertigini.

Glair sollevò lo sguardo. I suoi occhi erano freschi ed invitanti.

— Toglimi di dosso questo stupido pezzo di stoffa, Tom. Te ne prego.

Le sfilò la giacca del pigiama da sopra la testa, scompigliandole i capelli dorati. I suoi seni erano sodi ed eretti, e bianchissimi; rivelavano un disprezzo quasi totale per la forza di gravità. Era il tipo di seni che si poteva vedere sulle ragazze-calendario, ma mai su una donna in carne ed ossa: misteriosamente sodi, misteriosamente accostati, misteriosamente prominenti, l’immagine che un ragazzo di sedici anni può avere del seno ideale di una donna. Glair scostò le coperte. Falkner abbassò lo sguardo e si ricordò che tutto il suo corpo era un’imitazione, un rivestimento sintetico esteriore per qualcosa di tremendamente strano. Poteva avere i seni di Afrodite e le cosce di Diana, poteva avere qualsiasi perfezione femminile desiderasse, perché si era fatta costruire quel corpo in base ai propri desideri. La sua carne sembrava proprio carne, e dentro c’erano nervi, ossa e condotti per il sangue, ma nervi, ossa e sangue erano soltanto prodotti di laboratorio dotati di vita artificiale.

All’interno di quella stupenda, irreale creatura… chi avrebbe potuto dire quale orrore si annidava là dentro?

Eppure, si disse Falkner, quale donna umana era bella sotto la pelle? La massa fumante di intestini aggrovigliati, i tubi e i bulbi e i noduli tortuosi, il teschio sogghignante sotto il volto bellissimo… tutti abbiamo i nostri incubi sotto la pelle, ed era stupido stare a sottilizzare su quello di Glair.

I suoi abiti caddero a terra, mentre lei lo traeva a sé.

— Le tue gambe… — fece Falkner.

— Stanno benissimo. Non pensarci e fammi vedere come fanno l’amore i terrestri.

La toccò. — Puoi… cioè, tu sai…

— L’anatomia c’è tutta — lo rassicurò Glair. — Non gli organi interni, ma non dovrebbe avere molta importanza. Stringimi, Tom. Insegnami. Amami.

Con facilità, con più facilità di quanto aveva immaginato che potesse accadere, la abbracciò, e sentì la carnagione fredda e morbida di Glair contro la sua pelle sudata, e l’accarezzò proprio come se fosse reale e non un sogno. Disperatamente la possedette, e la trovò pronta, e con un improvviso, selvaggio sollievo si liberò dei legami che si era imposto ed accettò il dono d’amore che lei gli stava offrendo.

CAPITOLO DODICESIMO

— … e posso avere il suo numero di credito centrale? — domandò l’impiegato del motel.

— Io non ho una carta di credito — affermò David Bridger. — Pagherò in contanti per la stanza. — Colse un’espressione di sospetto sul volto dell’impiegato, e tornò a recitare la sua parte di innocuo Babbo Natale. Scoppiò a ridere fragorosamente ed aggiunse: — Scommetto che sono l’unico uomo dell’Emisfero Occidentale a non averne una, eh? È solo che io non credo in certe cose! I contanti andavano bene per mio padre, e vanno bene anche per me! Quant’è?

L’impiegato glielo disse. Bridger estrasse dal portafoglio parecchie banconote spiegazzate che facevano parte del suo corredo di emergenza — ogni agente Kranazoi aveva in dotazione una certa quantità di denaro terrestre, nel caso fosse costretto ad un atterraggio forzato — e le sparpagliò sul bancone. L’impiegato sembrò più sollevato. Uno straniero coperto di polvere, senza bagaglio, senza nemmeno una carta di credito, che arrivava lì a piedi… era una cosa ben strana per un motel. Ma il denaro dello straniero era verde. E chi avrebbe negato una stanza a Babbo Natale quando mancavano tre settimane a Natale?

— Stanza duecentosedici — disse l’impiegato. — Secondo piano, sulla sinistra.

La stanza era un cuneo triangolare con un ingresso ridotto ai minimi termini, che si apriva ad un arco di circa trenta gradi lungo il perimetro esterno dell’edificio circolare. Bridger si infilò dentro, chiuse a chiave la porta, sigillandola con l’impronta del pollice, e si sdraiò pesantemente sul letto. Quei pochi chilometri di cammino avevano lasciato esausto il suo corpo terrestre. Era fuori esercizio, si disse, anche se a bordo avevano l’accortezza di mantenere la gravità totale per tenere in tono la muscolatura.

Si tolse i vestiti e gettò tutto nella lavatrice ultrasonica a gettone che si trovava addosso alla parete di destra. Poi si infilò sotto la doccia. In teoria sapeva come funzionava una doccia, ma il suo condizionamento Kranazoi gli creò qualche problema nell’attivarla. Kranaz era un mondo arido, dove l’acqua era vita ed energia, e lo spaventava pensare che anche lì, in quella parte così arida dell’America Settentrionale, gli bastava solo toccare qualche levetta per avere acqua in abbondanza. Vergognandosi del suo gesto, fece scorrere l’acqua. Bridger desiderò potersi strappare di dosso quel suo corpo da terrestre, farlo a brandelli, ed esporre la sua vera pelle all’acqua. Rimase sotto la doccia per mezz’ora, traendone un piacere notevole.

Si asciugò, si vestì e si guardò allo specchio. Aveva un aspetto abbastanza presentabile. Un uomo grasso non ha bisogno di sembrare pulitissimo. I chirurghi plastici che avevano progettato la sua pelle avevano fatto in modo che la sua faccia avesse sempre l’aria di una faccia rasata da tre ore, così da non avere la necessità di radersi nuovamente prima di un’altra mezza giornata. Non avevano ancora risolto il problema della crescita, nel senso che la sua barba non cresceva, ma Bridger non se ne preoccupò.

Ed ora, all’inseguimento di quei tre Dirnani…

Uscì dalla stanza e si recò al pianterreno. Il motel aveva una sala cocktail annessa, proprio sotto la strada; un locale fantasioso con una cascata che cadeva scrosciando sopra una barriera di vetro. Ancora acqua! Bridger entrò nella sala. Vide gruppetti di uomini, tre o quattro per volta, intenti a bere le loro bevande. Erano vestiti in modo molto formale: capì che erano uomini d’affari. Prese posto al bar, ed una ragazza si diresse verso di lui per prendere la sua ordinazione. Il suo ridottissimo costume metteva in mostra un bel po’ di carne, e Bridger osservò con un certo fascino che i suoi seni pressoché nudi erano rivestiti da una strana sostanza fluorescente. Nella fioca luce del locale, il bagliore verde-azzurro del suo petto creava un effetto vistoso. Un nuovo stile, eh? Non era di suo gusto, ma in fondo i Kranazoi non erano mammiferi, e lui non riusciva ad apprezzare affatto il significato erotico di quei seni.

La ragazza protese le sue mammelle luminose verso di lui e gli chiese: — Desidera?

— Sherry con ghiaccio — rispose Bridger.

Ne ricavò un’occhiata perplessa. Evidentemente nessun vero uomo avrebbe bevuto qualcosa di così leggero. Bridger si limitò a fare una smorfia. Sapeva che lo sherry era soltanto un vino rafforzato, con un contenuto alcolico inferiore al dieci per cento. Bene. Per il suo metabolismo l’alcool era un veleno, e meno ne consumava meglio era. Aveva bisogno di bere qualcosa, per inserirsi in qualche modo nelle conversazioni della sala cocktail, ma era bene che fosse il più leggero possibile.

La ragazza gli porse il suo sherry. Lui la pagò, e lei si diresse ancheggiando verso il prossimo cliente. Bridger sorseggiò lentamente la sua bevanda.

Poi si mise ad ascoltare. Il suo sistema auditivo era molto sensibile.

— … aumentato il dividendo per quattro anni di fila, ed ho la loro parola che in aprile triplicheranno i profitti…