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Tra quelli che avevano appreso il destino della nave di Mirtin, Vorneen e Glair vi erano alcuni rappresentanti della razza avversaria, i Kranazoi, i quali erano in grado di sintonizzarsi di nascosto sulla lunghezza d’onda di un segnale di pericolo Dirnano. Ma in questo caso il Quartier Generale Kranazoi non ebbe alcun bisogno di raccogliere il segnale, dal momento che stava ricevendo un completo rapporto da parte di una delle sue navi, che si trovava per caso nei paraggi.

Fu allora che il segnale di pericolo attivò i ricettori del Quartier Generale Dirnano sulla Terra.

In teoria non avrebbe dovuto esserci alcun Quartier Generale Dirnano sulla Terra. Dirna e Kranaz avevano firmato degli accordi che regolavano i possibili contatti fra le due razze galattiche ed il popolo della Terra, ed una delle cose proibite era qualsiasi tipo di atterraggio fisico sul pianeta da parte di personale Dirnano o Kranazoi… per non parlare addirittura di una presenza permanente sul suolo terrestre. Ma a volte succede che gli accordi si rivelino pericolosi per la sicurezza totale; ed i Dirnani avevano ritenuto necessario, per la loro stessa protezione, tenere un gruppo di agenti in pianta stabile sulla superficie del pianeta. La stazione era ben nascosta, più per sottrarla all’attenzione dei Kranazoi che a quella dei terrestri. I terrestri avrebbero reagito con scetticismo, se avessero scoperto che degli alieni vivevano in mezzo a loro; i Kranazoi, invece, si sarebbero infuriati, forse fino al punto di scatenare una guerra.

Nella ben nascosta stazione Dirnana, pochi attimi dopo la ricezione del segnale di pericolo, si riversò un’infinità di messaggi. Ogni nave del sistema trasmetteva contemporaneamente, faceva commenti, chiedeva informazioni, forniva spiegazioni. Per parecchi minuti l’intera rete di comunicazioni fu messa in crisi da un blocco totale di tutte le lunghezze d’onda. Poi la base di comando terrestre riuscì ad inserirsi, facendo tacere quel baccano e dando a capire che era al corrente della situazione ed era intenzionata a porvi rimedio in qualche modo. Le navi in orbita continuarono a discutere fra loro di quel disastro, ma la smisero di disturbare la stazione terrestre.

Al comando di quest’ultima, i calcolatori principali stavano tracciando i possibili vettori di atterraggio dei tre membri dell’equipaggio.

— Ci sono dei superstiti — riferì un agente. — Abbiamo rilevato le tracce del lancio.

— Sono balzati tutti e tre?

— Sì. Almeno, hanno lasciato la nave.

— Ho conosciuto Glair a Ganimede. È in gamba.

— Tutti e tre sono in gamba. O lo erano.

— Sono vivi. Li troveremo.

— Notizie dai mezzi di rilevazione?

— Sono finiti tutti e tre nel Nuovo Messico, ma hanno danneggiato i loro comunicatori.

— Come può essere successo?

— Si sono lanciati da una quota insolitamente alta, per evitare i rischi dell’esplosione. Devono aver sbattuto forte a terra. Stiamo ricevendo qualche segnale indistinto da uno di loro, ma non siamo in grado di stabilire il punto. Dagli altri due, ancora nulla.

— Sono morti.

— Non possiamo esserne sicuri. Feriti, forse. Ma non morti. Questi nostri corpi sono piuttosto robusti.

— Abbastanza robusti da sopravvivere ad un impatto che distrugge un comunicatore?

— I comunicatori non hanno molta elasticità. Carne ed ossa sì. Io dico che sono vivi.

— Be’, vivi o morti, dobbiamo localizzarli.

— Giusto. Se uno di loro venisse sottoposto ad autopsia…

— Arrogante bastardo dogmatico, non sono morti! Vuoi ficcarti in testa il concetto?

— D’accordo. Sono feriti, allora, se la cosa ti fa star meglio. Feriti, portati in un’ospedale e sottoposti ai raggi X. Farà notizia né più né meno che un’autopsia. Che ti prende? Sei in amore con Glair? Perché non riesci ad accettare il fatto che possano essere rimasti uccisi?

— Per essere precisi, lui è fissato con Vorneen.

— Be’, chi non lo è? Stammi a sentire: quanti agenti possiamo inviare nel Nuovo Messico questa settimana?

— Una dozzina, se è necessario.

— Allora falli muovere. Il pretesto è che stanno facendo delle ricerche sulla cosiddetta meteora gigante. Alcuni di loro possono benissimo spacciarsi per scienziati a caccia dei frammenti. Altri per giornalisti venuti ad intervistare coloro che hanno visto il globo di fuoco. Che battano l’intero stato. Noi qui continueremo a punzecchiare il calcolatore, cercando di determinare con maggior precisione i vettori di atterraggio non appena avremo un’idea più chiara della effettiva traiettoria della nave prima dell’esplosione.

— Sai dove puoi trovare i migliori diagrammi della traiettoria?

— Dove?

— Presso l’Aeronautica degli Stati Uniti. Scommetto che il SOA ha registrato tutto.

— Buona idea. Chiama subito il nostro uomo al SOA e fagli controllare i banchi dei dati.

— Probabilmente anche il SOA sarà alla caccia del relitto della nave, ormai.

— Ma non sanno nulla dell’equipaggio. Li troveremo noi per primi.

— Sarà dura. Come dice quel proverbio terrestre. Un ago in un solaio?

— In un pagliaio.

— Già. Pagliaio. Dove sono i nuovi vettori? Dai una smossa a quell’uomo.

— Sei sicuro che siano vivi?

— Ne sono sicuro.

CAPITOLO DECIMO

Adesso Vorneen sembrava addormentato, pensò Kathryn. Non poteva esserne sicura, però. Nei quattro giorni da che era ospite in casa sua, l’unica cosa certa che aveva appreso era che con lui non poteva mai essere certa di nulla.

Stava in piedi accanto al letto, e lo osservava. Occhi chiusi. Nessun movimento dei globi oculari sotto le palpebre. Respiro lento, profondo, regolare. Tutti i sintomi del sonno. Ma a volte sembrava solo fingere di dormire, visto che lei si aspettava che lo facesse. Altre volte si addormentava in modo incredibile, disattivandosi palesemente come se fosse una macchina. Click! In ogni caso, l’effetto era tutt’altro che umano.

Kathryn si era ormai convinta che stava facendo da infermiera ad un essere proveniente da un altro mondo.

Era un concetto così strano, che faticava a prendere corpo dentro di lei. Fin dalla prima sera si era gingillata con quel pensiero, quando le era venuto in mente che quella meteora poteva essere stata in realtà un disco volante e che quell’uomo poteva provenire proprio dal disco. Fin dall’inizio le prove erano state schiaccianti, ed avevano continuato a crescere, giorno dopo giorno, man mano che lei lo osservava con sempre maggiore attenzione.

La tinta color arancione del suo sangue. La strana tuta nel suo ripostiglio. I curiosi strumenti che ne erano caduti, come quel piccolo aggeggio che sembrava una torcia e che era invece un disintegratore a raggi. La levigatezza e la freddezza della sua pelle. Le parole insensate che aveva pronunciato mentre era in preda al delirio. Un delirio senza febbre. La singolare frattura della sua gamba che si era ricomposta con tanta facilità. La curiosa leggerezza del suo corpo, che pesava venti o trenta chili meno di quanto avrebbe dovuto pesare un uomo della sua statura.

Come poteva fingere che si trattasse solo di una serie di stranezze?

In quattro giorni non aveva mai usato la padella. L’aveva tranquillamente sistemata sotto il letto, vuota, ed era ancora là. Lei dava un’occhiata, di tanto in tanto, quando sembrava che lui dormisse. Come poteva vivere quattro giorni un uomo senza svuotare gli intestini o eliminare l’urina? Mangiava regolarmente, beveva una gran quantità d’acqua, eppure non evacuava e non sudava mai. Kathryn avrebbe potuto passar sopra ad un mucchio di cose strane, a proposito di quell’individuo, ma. non a quella. Dove andavano a finire i prodotti di rifiuto? Che razza di metabolismo aveva? Per sua natura, non era una donna troppo incline a pensare ad altri mondi, ad altre forme di vita; concetti del genere erano semplicemente estranei alla sua struttura intellettuale. Ma a questo punto era difficile evitare la conclusione che Vorneen venisse da molto lontano.