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Era quasi nudo, fatta eccezione per una fascia elastica gialla che gli cingeva le reni. Il suo corpo era snello, pallidissimo, privo di peli e… stupendo. La parola affiorò alla mente di Kathryn suo malgrado. C’era in quel corpo una forma di bellezza quasi femminea, una levigatezza, una morbidezza, un’armonia; la sua pelle era quasi trasparente. Ma anche senza spostare la fascia sui fianchi, Kathryn seppe che era innegabilmente maschio. Muscoli possenti, che ora guizzavano e fremevano per il dolore, si intravvedevano sotto la pelle eburnea. Le spalle erano ampie, i fianchi stretti, il petto ed il ventre lisci e robusti. Avrebbe potuto essere una statua greca che avesse ricevuto il dono della vita. Soltanto la sofferenza evidente nel suo atteggiamento, le strisce di sangue sul mento, la posizione contorta del suo corpo straziato dal dolore, deturpavano la serenità e la simmetria tipicamente classiche del suo fisico.

Kathryn si domandò fino a che punto fossero gravi le sue ferite.

Lo sfiorò, per rendersi conto delle lesioni. Dal profonfondo dei suoi ricordi tornarono ad emergere capacità infermieristiche non più sfruttate da anni. Le sue mani percorsero quel corpo gelido. Notò che la gamba sinistra era spezzata; una semplice frattura, ma la cosa la preoccupò. Dal modo in cui l’arto era piegato e contorto, doveva esserci certamente una scheggia ossea che aveva attraversato la pelle, eppure questa era integra. Come faceva un osso a spezzarsi in quel modo così netto, senza penetrare nella carne? Come aveva fatto a non procurarsi una frattura composta, con la gamba ridotta in quella maniera assurda?

Non riuscì ad individuare altre fratture, malgrado ci fossero una dozzina di ammaccature. Senza dubbio dovevano esserci delle lesioni interne. Ciò avrebbe spiegato il sangue sulle labbra e sul mento. Quel sangue, notò Kathryn alla luce vivida della camera da letto, aveva effettivamente una tinta arancione. L’osservò con incredulità, poi tornò a guardare la gamba fratturata, e quindi esaminò la tuta aperta sulla quale era ancora sdraiato, notando il vasto assortimento di misteriosi comparti e strumenti che ne riempivano la superficie interna. Non voleva correre subito alla conclusione affrettata di trovarsi in presenza di un uomo proveniente da un altro mondo, e così scartò per il momento quella linea di pensiero, concentrandosi invece nell’esame dell’uomo.

Con un panno umido deterse il sangue dal suo volto. Sembrava che non sanguinasse più. Pose le mani sulla gamba rotta, cercando non senza esitazioni di rimetterla in sesto, pur sapendo benissimo che non aveva alcuna speranza di risanare un osso fratturato. Con suo grande stupore l’arto cedette facilmente alla sua pressione, come se non fosse composto che da argilla per modellare, e senza troppo sforzo lei riuscì a raddrizzare la gamba. L’uomo sul letto fece una smorfia; ma la sua gamba era di nuovo diritta, e Kathryn sospettò che le due metà dell’osso spezzato fossero allineate. Respirava più agevolmente, con la bocca aperta. Kathryn prese la bottiglia dell’anestetico e fece scivolare qualche goccia del liquido multi-uso fra le labbra dell’uomo. Lui deglutì.

Adesso si sarebbe sentito meglio… presumendo che un corpo come il suo reagisse all’anestetico.

A questo punto la donna si rese conto di aver fatto per lui tutto quello che poteva fare. Non c’erano ferite esterne che avessero bisogno di medicazione. Aveva smesso di gemere, e sembrava che si fosse semplicemente addormentato. Kathryn lo guardò con aria preoccupata. Prima o poi si sarebbe svegliato, e allora?

La donna distolse da sé tutte quelle paure. Lui sarebbe stato molto meglio, decise, senza quell’antiquata fascia elastica. Avrebbe pur dovuto eliminare i rifiuti organici, e quella specie di imbragatura non lo avrebbe certo agevolato. Non vedeva alcun tipo di apertura nemmeno in quel capo di vestiario, il che la sconcertava ancor più.

Doveva togliergli la fascia.

Al pensiero di ciò, quello strano fremito sessuale tornò ad emergere prepotentemente in lei. Kathryn si morse le labbra, furiosa con se stessa. Prima di sposarsi, quand’era infermiera, aveva avuto a che fare con pazienti maschi come accadeva ad ogni infermiera, considerandoli semplice carne viva, senza alcun interesse per i loro corpi. Eppure adesso non riusciva assolutamente a recuperare quell’attitudine mentale spassionata. Un anno di casta vedovanza l’aveva resa così vogliosa di vedere il corpo di un uomo? O era qualcos’altro, una irresistibile attrazione esercitata soltanto da quell’uomo in particolare? Forse si trattava invece di semplice curiosità, il desiderio di scoprire che cosa ci fosse là sotto. Se davvero proveniva da un altro mondo…

Kathryn afferrò le forbici, le accostò alla coscia sinistra dell’uomo, le infilò sotto il tessuto e cercò di tagliare. Non ci riuscì. Quel capo di biancheria era resistente come la tuta, e la lama rimbalzava via dal materiale elastico.

Kathryn era sicura che sarebbe riuscita a far scivolare la fascia da sotto, ma non voleva sottoporre la gamba ferita a qualche movimento falso. Perplessa, cercò un sistema di apertura nascosto, come quello della tuta, e, mentre faceva scorrere le mani su e giù per i suoi fianchi, rimase talmente presa da quello che stava facendo da non accorgersi che l’uomo aveva ripreso conoscenza.

— Che cosa sta facendo? — chiese con una voce gradevolmente risonante.

Kathryn fece un balzo indietro, colta dal panico. — Oh… si è svegliato!

— Più o meno. Dove mi trovo?

— A casa mia. Vicino a Bernanilo. A circa trenta chilometri da Albuquerque. Le dicono qualcosa, questi nomi?

— Qualcosa. — L’uomo guardò la sua gamba. — Sono rimasto svenuto a lungo?

— L’ho trovato circa un’ora fa. Lei era poco fuori dalla mia casa. Lei… è atterrato qui…

— Sì. Sono atterrato — sorrise. I suoi occhi erano vivi, penetranti, ironici. Era di una bellezza improbabile, con le sembianze artificialmente piacenti di una stella del cinema. Kathryn si tenne a distanza. Si rendeva conto, non senza disagio, della bianchezza della sua pelle, del proprio abbigliamento piuttosto succinto, e della figlia addormentata nella stanza accanto. Cominciò a desiderare di non aver ceduto al folle impulso di portarlo dentro casa. L’uomo le chiese: — Dov’è il resto del suo gruppo sessuale?

— Il mio gruppo sessuale? — ripeté perplessa.

Lui rise. — Perdoni la mia stupidità. Il suo compagno. Suo… marito.

— È morto — rispose con un filo di voce Kathryn. — È rimasto ucciso l’altr’anno. Io vivo con mia figlia.

— Capisco. - Cercò di alzarsi, ma strinse i denti non appena provò a muovere la gamba sinistra. Kathryn si diresse verso di lui e protese una mano.

— No. Resti giù. Ha una gamba rotta.

— Pare di sì — replicò lui, costringendosi a sorridere.

— Lei è un medico?

— Ho un po’ di esperienza medica. Prima di sposarmi facevo l’infermiera. La sua gamba guarirà, ma non deve sottoporla ad alcuno sforzo per un po’ di tempo. In mattinata telefonerò ad un dottore, e lui gliela ingesserà.

L’amabilità abbandonò il volto dello straniero. — Deve proprio farlo?

— Che cosa?

— Chiamare un dottore. Non potrebbe prendersi cura lei, di me?

— Io? Ma io… lei…

— È moralmente proibito? Una donna già sposata che accoglie in casa sua un estraneo? Posso pagarla. C’è del denaro nella mia tuta. Mi lasci restare solo finché la mia gamba non starà meglio. Non le causerò alcuna noia, glielo prometto. Io… — Una fitta di dolore improvviso lo aggredì. Unì le mani, intrecciando le dita e protendendole verso l’esterno.

— Beva un po’ di questo — gli disse Kathryn, porgendogli l’anestetico.

— Non mi farebbe alcun bene. Io posso… vedermela da solo…

Lei lo osservò, disorientata, mentre era impegnato in qualche silenzioso processo interiore. Qualunque cosa stesse facendo, sembrò funzionare. I segni della fatica svanirono dal suo volto; si rilassò di nuovo, e gli tornò quell’espressione di distaccata ironia.