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Che cosa mai avrà in mente Orico? si chiese Cazaril, agghiacciato.

«Il mio amato e fedele Cancelliere e Provincar dy Jironal mi ha supplicato per avere il dono di un legame di sangue col mio casato e, dopo aver riflettuto, sono giunto alla conclusione che è per me una gioia assecondare il suo desiderio», dichiarò Orico, che però appariva più nervoso che felice. «Il Cancelliere ha chiesto la mano di mia sorella Iselle per suo fratello, il nuovo March dy Jironal. Di mia libera volontà, acconsento e suggello questo fidanzamento.» Girò verso l’alto il palmo massiccio di Dondo, accostando a esso la mano snella di Iselle e congiungendo le due mani all’altezza del proprio petto, prima d’indietreggiare.

Pallidissima in volto, Iselle rimase del tutto immobile, fissando Dondo come se non riuscisse a credere a ciò che aveva sentito; quanto a Cazaril, il sangue gli stava pulsando nelle orecchie con una violenza martellante, assordandolo. Non riusciva quasi a respirare.

«Come dono di fidanzamento, mia cara Royesse, credo di aver intuito che il tuo più grande desiderio fosse quello di completare la tua parure», disse Dondo a Iselle, chiamando a sé il paggio con un cenno.

«Hai intuito che desidero una città costiera, con un porto eccellente?» ribatté Iselle, continuando a fissarlo con totale distacco.

Dondo soffocò una risata e le volse le spalle. Il paggio aprì il cofanetto di cuoio lavorato, rivelando una tiara di perle e argento che Dondo sollevò a beneficio della corte. Gli amici del Lord risposero a quel gesto con un applauso. Cazaril, invece, serrò la mano intorno all’impugnatura della spada, calcolando quali probabilità aveva di estrarla e di scattare in un affondo… ma soltanto per concludere che sarebbe stato falciato prima ancora di poter muovere qualche passo.

Quando poi Dondo sollevò la tiara per posarla sulla testa di Iselle, lei si ritrasse come una giumenta spaventata.

«Orico…» sussurrò.

«Questo fidanzamento rispecchia la mia volontà e i miei desideri, cara sorella», dichiarò Orico, con voce carica di tensione.

Riluttante all’idea di dover inseguire Iselle con la tiara, Dondo si fermò e scoccò al Roya un’occhiata significativa. Iselle, dal canto suo, era riuscita a reprimere un istintivo grido d’indignazione e adesso stava disperatamente cercando di decidere come rispondere. Per carattere, non avrebbe mai risolto quella difficile situazione fingendo di svenire… «Sire, come ha detto il Provincar della Labran, quando le forze del Generale Dorato si sono riversate oltre le sue mura… questa è decisamente una sorpresa», disse infine.

I cortigiani si abbandonarono a una risatina esitante.

«Non me lo hai detto», aggiunse allora Iselle, a denti stretti e a bassa voce. «Non hai chiesto il mio consenso.»

«Ne parleremo in seguito», ribatté Orico in un sussurro.

Iselle rimase immobile ancora per qualche istante, poi accettò quella risposta con un lieve cenno del capo, e finalmente Dondo poté consegnarle la tiara di perle, chinandosi quindi a baciarle la mano. Tuttavia non pretese il consueto bacio di risposta: a giudicare dall’espressione sorpresa e disgustata di Iselle, c’erano notevoli probabilità che lei potesse morderlo.

Conclusi quei preliminari, il Divino di corte di Orico si fece avanti, abbigliato nelle vesti stagionali del Fratello, e invocò sulla nuova coppia la benedizione di tutti gli Dei.

«Fra tre giorni c’incontreremo qui di nuovo per veder celebrare questa unione», annunciò allora Orico.

«Tre giorni! Tre giorni!» esclamò Iselle, con la voce che cominciava a incrinarsi. «Sire, di certo volevi dire tre anni.»

«Tre giorni», ribadì Orico. «Preparati.» E si accinse a lasciare la sala, chiamando a sé i propri servitori.

La maggior parte dei cortigiani se ne andò insieme coi dy Jironal, porgendo loro le congratulazioni di rito. Soltanto i più audaci e curiosi indugiarono nella sala, tendendo le orecchie per cogliere la conversazione che, prevedibilmente, stava per svolgersi tra fratello e sorella.

«Come posso prepararmi in tre giorni? Non c’è neppure il tempo di mandare un corriere fino nella Baocia, e tantomeno quello di avere una risposta da mia madre o da mia nonna…» sibilò Iselle.

«Come tutti sanno, tua madre è troppo malata per poter sostenere la fatica di un viaggio fino a corte, e tua nonna deve rimanere a Valenda per prendersi cura di lei», la interruppe Orico.

«Ma io non…» accennò a ribattere Iselle, ma Orico le aveva ormai dato le spalle e si stava affrettando a uscire dalla sala del trono.

La giovane lo inseguì nella stanza successiva, tallonata da Betriz, Nan e Cazaril, e dopo averlo raggiunto ed essersi piantata di fronte a lui, esclamò: «Orico, io non desidero sposare Dondo dy Jironal!»

«Una dama del tuo rango non si sposa in base alle proprie inclinazioni, ma per fare progredire il proprio casato», la ammonì Orico, in tono severo.

«Ah, è così? Allora spiegami quale vantaggio reca alla Casa di Chalion sprecarmi col figlio minore di un casato secondario! Mio marito avrebbe dovuto portarci una royacy!»

«Questo matrimonio vincola i dy Jironal a me… e a Teidez»

«Direi piuttosto che vincola noi a loro! A mio parere, soltanto una delle due partì ne trae vantaggio!»

«Hai detto che non volevi sposare un principe roknari, e io ho assecondato questo tuo desiderio, anche se le offerte non sono certo mancate… In questa stagione, ne ho già rifiutate due. Pensaci, sorella, e dimostrami un po’ di gratitudine!»

La sta minacciando o supplicando? si ritrovò a pensare Cazaril.

«Inoltre, non desideravi lasciare Chalion. Benissimo, adesso potrai rimanere qui. Volevi sposare un nobile quintariano… e io te ne ho dato uno, che è anche un generale di un sacro Ordine!» sbottò Orico, scrollando le spalle. «Per di più, se ti avessi data in moglie a un sovrano di una potenza troppo vicina ai miei confini, rischiavi di essere usata come scusa per reclamare parte delle mie terre. Con questa scelta, ho fatto del mio meglio per garantire il futuro di Chalion.»

«Lord Dondo ha quarant’anni ed è un ladro, un uomo empio e corrotto! E un libertino! Ed è anche di peggio! Orico, non mi puoi fare questo!» insistette Iselle, in tono sempre più acuto.

«Non intendo ascoltarti», dichiarò lui, premendosi le mani sulle orecchie. «Hai tre giorni di tempo per calmarti e provvedere al tuo guardaroba» Poi fuggì, come da una torre in fiamme, ribadendo: «Non voglio sentire altro!»

Nel corso della giornata, Orico si mostrò deciso a rimanere su quella posizione. Durante quel pomeriggio, Iselle tentò per ben quattro volte di andare nel suo alloggio per rinnovare la propria supplica, ma ogni volta lui la fece allontanare dalle guardie, arrivando poi addirittura ad abbandonare il castello per installarsi in un capanno di caccia tra le querce, una mossa che indicava una notevole vigliaccheria.

Quando lo venne a sapere, CazariI si augurò che il tetto perdesse e che la pioggia gelida colasse a raffreddare la testa del sovrano.

Quella notte, il Castillar dormì molto male e al mattino, quando si avventurò al piano di sopra, si ritrovò davanti tre donne che non avevano chiuso occhio.

Iselle lo trascinò per una manica fino al suo salotto, lo fece sedere nella rientranza della finestra e si protese in avanti, per sussurrargli con voce tesa: «Cazaril, potete procurare quattro cavalli? O anche tre, due, o perfino uno soltanto? Ci ho pensato, ho passato tutta la notte a riflettere, e sono giunta alla conclusione che l’unica soluzione sia la fuga».

«Anch’io ci ho pensato a lungo», sospirò Cazaril. «Per prima cosa, mi stanno sorvegliando. La scorsa notte, quando ho cercato di lasciare il castello, due guardie mi hanno accompagnato… per la mia protezione, hanno detto. Potrei anche ucciderne o corromperne una, ma non due.»

«Potremmo uscire a cavallo fingendo di andare a caccia», suggerì Iselle.