«In ogni caso, l’antipatia o la simpatia non costituisce una prova», insistette Cazaril.
«È vero, Lord Dondo non mi piace», osservò Iselle, accigliandosi. «Ha un odore strano, e ha sempre le mani calde e sudate.»
«Già», aggiunse Betriz, con una smorfia di disgusto. «Inoltre cerca sempre di toccare le persone…»
La penna si spezzò nelle mani di Cazaril, spargendogli la manica di goccioline d’inchiostro. «Davvero?» commentò lui, con un tono che sperava suonasse adeguatamente neutro. «E quando farebbe una cosa del genere?»
«Oh, ovunque, durante le danze, a cena, nei corridoi. Intendiamoci, qui sono molti i gentiluomini che fanno la corte alle dame, alcuni in maniera anche molto gradevole, ma Lord Dondo è… pressante. A corte, le dame avvenenti della sua stessa età abbondano, quindi non capisco perché lui non cerchi di esercitare il suo fascino su di esse.»
Per poco, Cazaril non le chiese se trentacinque anni le sembravano un’età avanzata per fare la corte alle giovani dame, ma si trattenne. «Naturalmente desidera acquisire influenza sul Royse Teidez», disse. «Quindi è deciso a entrare in ogni modo nelle grazie della Royesse, direttamente o tramite il suo seguito.»
«Oh, lo pensate sul serio?» esclamò Betriz, con un sospiro di sollievo. «Ero disgustata al pensiero che fosse davvero innamorato di me, però, se mi sta adulando soltanto per il proprio tornaconto, allora la cosa non mi crea problemi.»
«Lord Dondo deve avere un’idea davvero strana del mio carattere, se pensa che sedurre le mie dame possa farlo entrare nelle mie grazie!» esclamò Iselle, mentre Cazaril era ancora impegnato a dare un senso al contorto ragionamento di Betriz. «Inoltre, da quello che abbiamo visto finora, non credo che gli serva una maggiore influenza su Teidez. Sì, insomma, se la sua influenza fosse positiva, Teidez si dedicherebbe agli studi con maggiore impegno, godrebbe di una salute eccellente e la sua mente si aprirebbe a un mondo più vasto.»
Cazaril si trattenne a stento dal ribattere che Lord Dondo stava avendo un certo effetto su Teidez, almeno riguardo all’ultima voce di quell’elenco.
«Teidez non dovrebbe apprendere l’arte di governare?» proseguì Iselle, con crescente fervore. «Se non altro, dovrebbe seguire il lavoro che si svolge nella Cancelleria, partecipare ai consigli, ascoltare gli inviati, farsi un’idea della diplomazia, o almeno acquisire qualche cognizione nell’arte della guerra. La caccia è un’attività eccellente, ma non credete che Teidez dovrebbe partecipare alle esercitazioni militari, insieme coi soldati? Quanto alla sua dieta spirituale, sembra composta solo da dolci, senza nessun nutrimento sostanzioso. Che sorta di Roya intendono farlo diventare?»
Probabilmente, uno come Orico, sempre ubriaco e malato, che non competa col Cancelliere dy Jironal per la gestione del potere a Chalion, pensò Cazaril. «Non lo so, Royesse», si limitò però a rispondere.
«E come posso saperlo io? Come posso scoprire qualcosa?» si lamentò Iselle, camminando avanti e indietro, con la schiena irrigidita dalla frustrazione e le gonne che frusciavano. «La mamma e la nonna vorrebbero che io mi prendessi cura di lui. Cazaril, potete almeno scoprire se è vero che Lord Dondo ha venduto alcuni uomini della Figlia all’Erede di Ibra? Questa non è certo cosa che si possa mantenere facilmente segreta!»
Consapevole che Iselle aveva ragione, Cazaril deglutì a fatica. «Ci proverò, mia signora, ma… Dopo, cosa pensate di fare?» chiese, nel suo tono più severo, per enfatizzare i rischi. «Dondo dy Jironal è un uomo di enorme potere e lo si può avvicinare soltanto con la massima cautela.»
«Anche se è corrotto?» ribatté Iselle, girandosi di scatto per fissarlo con espressione intensa.
«Quanto più è corrotto, tanto maggiore è il pericolo», dichiarò Cazaril.
«Allora ditemi, Castillar… A vostro parere, quanto è pericoloso Dondo dy Jironal?» chiese Iselle, sollevando il mento di scatto.
Quella domanda colse Cazaril alla sprovvista. Avanti, dillo… Ammetti che Dondo dy Jironal è il secondo uomo più pericoloso di tutta Chalion, naturalmente dopo suo fratello, pensò. Tuttavia, invece di rispondere, prelevò una nuova penna dal portapenne d’argilla e procedette ad appuntirla col coltellino. «Neppure a me piacciono le mani sudate», replicò infine, dopo qualche istante.
Iselle sbuffò, tutt’altro che convinta, ma a Cazaril vennero risparmiate ulteriori discussioni perché, in quel momento, Nan dy Vrit chiamò le due dame. Era sorto un piccolo problema riguardante certe sciarpe e alcune perle di fiume disperse. Così le giovani furono costrette a rientrare nelle loro stanze.
Nei pomeriggi sempre più freschi, quando non venivano organizzate partite di caccia, la Royesse Iselle sfogava la propria energia in eccesso uscendo a cavallo col suo piccolo seguito e addentrandosi nella foresta di querce che cresceva vicino a Cardegoss. Con Lady Betriz e un paio di stallieri, Cazaril stava procedendo al trotto al seguito della giumenta pezzata di Iselle, percorrendo un verde sentiero erboso, solcato dalle chiazze dorate delle foglie cadute, e assaporando l’aria pungente, quando gli giunse all’orecchio il rumore di un martellare di zoccoli che si avvicinavano. Si lanciò un’occhiata alle spalle e sentì lo stomaco che gli si contraeva: un gruppo di uomini mascherati stava sopraggiungendo al galoppo lungo il sentiero.
Urlando, gli inseguitori furono loro addosso in un lampo. Cazaril aveva quasi estratto la spada dal fodero quando si accorse che i cavalli e gli equipaggiamenti appartenevano ad alcuni dei cortigiani più giovani del castello di Zangre. Subito dopo notò l’incredibile assortimento di stracci con cui i cavalieri erano abbigliati e vide che le chiazze di «sporcizia» sulle braccia e sulle gambe somigliavano a macchie di lucido per stivali.
Mentre i sorridenti banditi «catturavano» la Royesse e Lady Betriz, legando tutti i prigionieri con nastri di seta, Cazaril trasse un profondo respiro di sollievo e si appoggiò al pomo della sella, imponendo al proprio cuore di calmarsi e desiderando con fervore che qualcuno avesse pensato ad avvertire almeno lui di quello scherzo. Benché apparentemente non se ne fosse reso conto, il gaio Lord dy Rinal era stato a un passo dall’avere la gola squarciata. Una sorte simile sarebbe toccata al robusto paggio che si era avvicinato a Cazaril sull’altro lato e probabilmente la spada del Castillar si sarebbe conficcata nel ventre di un terzo avversario, prima che gli altri, se fossero stati veri banditi, avessero avuto il tempo di coordinare le loro forze… E tutto ciò in risposta a un riflesso condizionato, prima ancora cioè che il cervello di Cazaril potesse formulare una linea d’azione e che lui lanciasse un grido di avvertimento. Ignari, quei giovani cortigiani ridevano allegramente dell’espressione di terrore che gli avevano scorto sul viso e scherzavano sul fatto che lui avesse accennato a estrarre la spada. Così, sfoggiando un sorriso contrito, Cazaril preferì non spiegare qual era l’aspetto di quella faccenda che lo aveva fatto impallidire per il terrore.
Il gruppo raggiunse quindi l’«accampamento dei banditi», un’ampia radura dove numerosi servitori del castello, vestiti a loro volta con abiti volutamente laceri, stavano arrostendo allo spiedo daini e altra selvaggina. Banditesse, pastorelle e alcune mendicanti dall’aria alquanto nobile, nonostante gli abiti laceri, accolsero il ritorno dei rapitori. Iselle scoppiò in una risata velata d’indignazione quando il re dei banditi, dy Rinal, le tagliò una ciocca di capelli ricciuti e la sollevò, pretendendo un riscatto. E fu proprio in quel momento che un contingente di «soccorritori», vestiti in blu e bianco e capitanati da Lord Dondo dy Jironal, fece irruzione al galoppo nel campo. Seguì una battaglia finta ma serratissima, con alcuni tocchi macabri ottenuti grazie a vesciche di maiale piene di sangue. In conclusione, tutti i banditi furono abbattuti. E mentre alcuni si lamentavano che non si era trattato di un combattimento equo, Dondo recuperò la ciocca di capelli. Subito dopo, un finto Divino del Fratello prese a circolare tra i morti, facendo miracolosamente risorgere i banditi con l’ausilio di una borraccia piena di vino. Ben presto, l’intera compagnia si sedette per terra intorno ad ampie tovaglie, per banchettare e brindare.