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I loro sguardi s’incontrarono e Cazaril comprese. No, non c’era bisogno di esprimere il pensiero che entrambi avevano formulato: in quella duplice veste di padre e di fratello, il Roya non era certo molto utile.

Seguì un altro silenzio pensoso.

«E non riesco a immaginare Ser dy Sanda che…» riprese poi Betriz.

«Oh, povero Teidez, non ci riesco neppure io», convenne Cazaril, con una risata soffocata. «Quella di Teidez è un’età difficile. Se avesse sempre vissuto a corte, si sarebbe abituato a quest’atmosfera e non ne sarebbe rimasto così… impressionato. Se fosse stato portato qui a un’età più matura avrebbe avuto già un carattere definito e una volontà più solida. Naturalmente, la corte può abbagliare a qualsiasi età, soprattutto quando ci si ritrova al centro dell’attenzione… Però, se Teidez deve diventare l’Erede di Orico, è tempo che si cominci a insegnargli come equilibrare piaceri e doveri.»

«Non mi pare proprio che lo si stia sottoponendo a un addestramento del genere», obiettò Betriz. «Dy Sanda ci prova in tutti i modi, ma…»

«È in netta inferiorità numerica», concluse per lei Cazaril, con aria cupa. «E questa è la radice del problema. Nella casa della Provincara, dy Sanda aveva l’appoggio della sua autorità, che completava e integrava la propria. Qui a Cardegoss, dovrebbe essere il Roya Orico ad addossarsi quel compito, ma lui non dimostra il minimo interesse al riguardo. Così dy Sanda deve lottare da solo e senza speranza di vittoria.»

«Questa corte…» cominciò Betriz, aggrottando la fronte nello sforzo di mettere a fuoco pensieri per lei poco familiari. «Questa corte ha un… centro?»

«Una corte ben gestita ha sempre al suo centro una figura che detiene l’autorità morale», sospirò Cazaril. «Se non il Roya, può trattarsi della sua Royina, di qualcuno che, come la Provincara, impone criteri e controlla che vengano osservati. Orico è…» Cazaril esitò di nuovo, consapevole di non poter dire che il Roya era debole e non osando asserire che era malato. Alla fine optò per una frase più vaga e diplomatica. «Orico non è interessato a rivestire tale compito e neppure la Royina Sara…» Voleva aggiungere che, ai suoi occhi, la Royina Sara appariva davvero molto pallida ed esile, sottile come un fantasma, ma si trattenne. «Ci rimane quindi soltanto il Cancelliere dy Jironal, che però è molto assorbito dagli affari di Stato e non si preoccupa di tenere a freno il fratello.»

«State dicendo che è lui a istigare Dondo?» chiese Betriz, socchiudendo gli occhi.

«Ricordate la battuta di Umegat, quando ha paragonato i corvi dello Zangre ai cortigiani?» chiese Cazaril, accostandosi un dito alle labbra con fare ammonitore. «Provate a invertire quell’affermazione. Avete mai visto i corvi combinare le loro forze per depredare il nido di un altro uccello? Uno allontana i genitori, mentre un altro sottrae le uova o i pulcini… Per fortuna, la maggior parte dei cortigiani di Cardegoss non è in grado di collaborare con la stessa efficacia dei corvi.»

«Non sono neppure certa che Teidez si renda conto che non tutto viene fatto nel suo interesse», sospirò Betriz.

«Temo che dy Sanda, nonostante la sua preoccupazione quanto mai concreta, non gli abbia spiegato la faccenda in termini abbastanza crudi. È pur vero che bisognerebbe essere quanto mai crudi, per dissolvere la nebbia di adulazione in cui Teidez sta fluttuando.»

«Ma è una cosa che voi fate di continuo per Iselle», replicò Betriz. «La spingete a osservare questo o quell’uomo, a notare cosa sta facendo e perché lo sta facendo… E, una volta constatato che quelle osservazioni corrispondono alla realtà, Iselle e io non possiamo fare a meno di darvi retta. Di conseguenza, anche noi cogliamo quei particolari rivelatori. Dy Sanda non potrebbe fare lo stesso per il Royse Teidez?»

«È più facile vedere una macchia sulla faccia di un altro che non sulla propria. Le pressioni esercitate su Iselle da questo stuolo di cortigiani sono infinitamente minori a quelle cui è sottoposto Teidez, cosa di cui rendo grazie agli Dei. Tutti sanno che lei verrà data in sposa lontano dalla corte e, probabilmente, fuori da Chalion, quindi non riveste per loro nessun interesse. Da Teidez, invece, dipenderà il loro benessere.»

La conversazione si dovette interrompere su quella nota inconcludente, ma Cazaril fu lieto di constatare che Betriz e Iselle cominciavano a essere consapevoli dei pericoli insiti nella vita di corte. Quell’ambiente era abbagliante e seducente, una vera festa per gli occhi, e per alcuni cortigiani era davvero soltanto un gioco allegro e innocente, anche se costoso. Per altri, invece, era un modo per mettersi in mostra, un susseguirsi di messaggi cifrati, una serie di attacchi e di parate analoga a quella di un duello vero, anche se non altrettanto letale, almeno a breve. Da quel turbine, la ragione rischiava di uscirne ubriaca, barcollante. Per rimanere in piedi, era necessario distinguere i giocatori dalle pedine. Dondo dy Jironal era senza dubbio uno dei principali giocatori, eppure ogni sua mossa doveva avere l’avvallo del fratello maggiore, sempre che non fosse addirittura diretta e controllata da lui. Tuttavia, anche se quella riflessione aveva un innegabile fondamento di verità, era molto più sicuro non formularla ad alta voce.

Quale che fosse il suo parere in merito alle direttive morali della corte, Cazaril dovette ammettere che almeno i musici impiegati da Orico erano decisamente abili. Ascoltandoli suonare, nel corso del successivo ballo serale, Cazaril pensò che il conforto provato da Orico nel suo serraglio equivaleva al conforto che la Royina Sara traeva dai menestrelli e dai cantori del castello di Zangre. La Royina non danzava, sorrideva di rado, ma non mancava mai una festa allietata dalla musica. Sedeva accanto al suo sposo ubriaco e addormentato oppure, se Orico si ritirava con passo barcollante, indugiava nel salone, in una galleria posta di fronte a quella occupata dai musici, insieme con le sue dame, al riparo di un paravento di legno intagliato. Non era difficile capire perché gradiva la musica, pensò Cazaril, mentre, appoggiato alla parete, in quello che era ormai diventato il suo posto abituale, batteva il tempo con un piede e osservava con fare benevolo le dame a lui affidate vorticare sul lucido pavimento di legno.

Dopo un brano particolarmente vivace, musici e danzatori si concessero una pausa e Cazaril si unì agli applausi generali, avviati dalla Royina. D’un tratto, una voce familiare quanto del tutto inaspettata, gli risuonò all’orecchio.

«Bene, Castillar, mi fa piacere constatare che cominci ad avere di nuovo l’aspetto di un tempo.»

«Palli!» esclamò Cazaril, controllando appena in tempo l’impulso di abbracciare l’amico e trasformando il gesto in un profondo inchino.

Palli era vestito coi calzoni azzurri, con la tunica e col tabarro bianchi, propri dell’Ordine militare della Figlia, e aveva gli stivali lucidi e la spada che gli scintillava al fianco. Scoppiò a ridere e rispose con un inchino altrettanto cerimonioso, seguito però da una salda e calorosa stretta di mano.

«Cosa ti conduce a Cardegoss?» chiese poi Cazaril, incuriosito.

«La giustizia, per la Dea! E non è stato lavoro da poco, considerato che ci è voluto un anno per mettere insieme tutti i pezzi. Sono qui per sostenere uno dei Lord Devoti, il Provincar dy Yarrin, in una sua piccola impresa di natura sacra. Non mi dispiacerebbe dirti di più al riguardo, ma non qui.» Lasciò vagare lo sguardo per la sala, dove le danze stavano riprendendo. «A quanto pare, sei sopravvissuto al tuo viaggio fino a corte… Significa che hai superato quella tua lieve crisi di nervi?»

«Finora sono sopravvissuto», replicò Cazaril, con una smorfia. «Anch’io preferisco non dire altro, qui, perciò suggerirei di trovare un angolo più fresco dove poter parlare tranquillamente.» Con una rapida occhiata, vide che Lord Dondo e suo fratello non c’erano, ma lì intorno si aggirava almeno una mezza dozzina di uomini che avrebbero senza dubbio riferito a entrambi di quel loro incontro.