Nell’emergere dalla valle del fiume, i tre scorsero la città con la sua cinta di mura grigie: un ammasso di case imbiancate a calce, coi tetti coperti dalle tegole verdi caratteristiche di quella regione, e con la fortezza che coronava il tutto, dominando il porto che si allargava ai piedi dell’abitato. Al di là della città si stendeva il mare, grigio come l’acciaio, un infinito orizzonte piatto striato di riflessi iridescenti. L’odore salmastro, misto a un sentore di acqua marcia dovuto alla bassa marea, permeava la brezza fredda proveniente dalla costa e indusse Cazaril a sollevare di scatto la testa, quasi con repulsione. Accanto a lui, Foix trasse un profondo respiro, gli occhi accesi da un’espressione di entusiasmo, mentre assaporava lo spettacolo, per lui inedito, del mare.
La lettera di Palli e il grado dei fratelli dy Gura permisero loro di ottenere rifugio presso la Casa della Figlia, adiacente la Piazza del Tempio di Zagosur. Cazaril ordinò ai due giovani di procurarsi un’uniforme di gala del loro Ordine, comprandola o prendendola a prestito, e uscì per andare da un sarto.
Non appena seppe che Cazaril era disposto a spendere qualsiasi cifra, a patto che gli venisse fornito subito un cambio di vestiario completo adeguato alle sue esigenze, il sarto si lanciò in un’attività frenetica. Poco più di un’ora dopo, Cazaril usciva dalla sua bottega, portando sotto un braccio una versione abbastanza accettabile della tenuta da lutto in uso presso la corte di Chalion.
Dopo un bagno freddo, indossò la pesante tunica di broccato color lavanda, dal collo molto alto, s’infilò i pesanti calzoni di lana porpora scuro e gli stivali, puliti e lucidati; assestatosi intorno alla vita la cintura e la spada che dy Ferrej gli aveva prestato tanto tempo prima, indossò la sopravveste di seta e velluto nero, contemplando con soddisfazione l’effetto complessivo. Uno degli ultimi anelli di Iselle, decorato con un’ametista a taglio quadrato, gli calzò di stretta misura al mignolo: era il suo unico gioiello e, più che la povertà, suggeriva il desiderio di non voler sfoggiare le proprie ricchezze. Osservandosi ancora una volta, Cazaril pensò che la tenuta da lutto e le striature grigie nella barba gli conferivano proprio l’aria grave e dignitosa che si addiceva a un inviato. Prese le preziose lettere diplomatiche di cui era latore, le ripose sotto il braccio, passò a prelevare la sua scorta, che si era ripulita e sfoggiava linde ed eleganti divise bianche e azzurre, e s’incamminò per le stradine tortuose della città, diretto verso la collina, al covo della Grande Volpe.
L’aspetto e l’atteggiamento di Cazaril fecero sì che lui venisse subito ricevuto dal siniscalco del Roya di Ibra. E l’esibizione delle lettere di cui era latore, munite di sigillo reale, gli aprì la strada fino allo studio del segretario del Roya, un individuo magro, di mezz’età e dall’aria tesa, che li accolse in una spoglia stanza dalle pareti imbiancate a calce, raggelata dalla perenne umidità invernale propria di Zagosur. L’uomo ricambiò da pari a pari l’inchino di Cazaril e rimase in attesa.
«Sono il Castillar dy Cazaril e giungo da Cardegoss per una missione diplomatica di una certa urgenza. Reco con me lettere di presentazione per il Roya e per il Royse Bergon dy Ibra, da parte della Royesse Iselle dy Chalion», spiegò allora lui, esibendo i sigilli, salvo poi ritrarre le lettere contro il proprio petto allorché il segretario si mosse per prenderle in consegna. «Le ho ricevute dalle mani della Royesse, con l’incarico di consegnarle direttamente in quelle del Roya.»
«Vedrò cosa posso fare per voi, mio signore», ribatté il segretario, chinando la testa di lato con aria incerta. «Ma attualmente il Roya è perseguitato da petizioni, soprattutto da parte di parenti di ex ribelli, che cercano la sua misericordia… alquanto scarsa, al momento, direi.» Poi squadrò Cazaril da capo a piedi. «Scusatemi, ma credo che nessuno vi abbia avvertito… Il Roya ha proibito il lutto di corte per il defunto Erede di Ibra, che è morto da ribelle, senza riconciliarsi con lui. Soltanto coloro che desiderano sfidare apertamente il Roya indossano abiti da lutto e di solito hanno la presenza di spirito di farlo… in sua assenza. Se non è vostra intenzione insultarlo, vi consiglio di andare a cambiarvi, prima di chiedere udienza.»
«Nessuno mi ha preceduto qui con la notizia?» esclamò Cazaril, inarcando le sopracciglia con aria sorpresa. «Certo, abbiamo viaggiato in fretta, ma non pensavo che avessimo battuto sul tempo tutti i corrieri. Non sfoggio questi lividi colori per l’Erede di Ibra, bensì per l’Erede di Chalion, il Royse Teidez, morto appena una settimana fa, improvvisamente, a causa di un’infezione.»
«Oh», mormorò il segretario, stupefatto. «Oh.» Dopo un istante, ritrovò il controllo e aggiunse, con maggiore scioltezza: «In tal caso, porgo le mie condoglianze alla Casa di Chalion, per la perdita di una così luminosa speranza. Avete detto che le lettere sono della Royesse Iselle?»
«Sì», confermò Cazaril e, per buona misura, aggiunse: «Quando ho lasciato in tutta fretta Cardegoss, il Roya Orico era gravemente malato e non si stava occupando degli affari di Stato».
Il segretario aprì la bocca e tornò a richiuderla senza aver emesso suono. «Venite con me», riuscì infine a dire, e precedette Cazaril e la sua scorta in una stanza più confortevole, dove un piccolo fuoco ardeva in un focolare d’angolo. «Vedrò cosa posso fare», mormorò, congedandosi.
Cazaril si adagiò su una sedia coperta di cuscini, accanto al focolare, mentre Foix sedette su una panca e Ferda prese ad aggirarsi per la stanza come una tigre in gabbia, guardando distrattamente gli arazzi appesi alle pareti. «Credete che ci riceveranno?» domandò infine. «Aver fatto tanta strada per essere costretti ad aspettare davanti alla porta, come venditori ambulanti…»
«Oh, sì, ci riceveranno», garantì Cazaril, con un accenno di sorriso. Un servitore affannato stava appunto entrando nella stanza per offrire ai tre visitatori del vino e alcuni piccoli dolci speziati su cui era impresso il sigillo ibrano, una specialità di Zagosur.
«Perché questo cane non ha le zampe?» chiese Foix, osservando con aria perplessa la creatura raffigurata su un biscotto, prima di affondarvi i denti.
«È un cane di mare, ha le pinne al posto delle zampe e si nutre di pesci», spiegò Cazaril. «Quelle bestie formano colonie lungo la costa tra qui e la Darthaca.» Permise quindi al servitore di versargli il vino, ma non più di un sorso: voleva rimanere sobrio ed evitare di sprecarlo.
Infatti non ebbe quasi il tempo di bagnarsi le labbra perché, come aveva previsto, il segretario rientrò nella stanza. «Lord dy Castillar, signori, seguitemi per favore», disse, con un inchino molto più profondo del precedente.
Ferda si affrettò a trangugiare il suo bicchiere di vino rosso ibrano e Foix si ripulì dalle briciole la sopravveste di lana bianca. Entrambi si accodarono poi a Cazaril e al segretario, che li guidò lungo alcune scale e attraverso un piccolo, arcuato ponte di pietra che dava accesso alla parte più nuova della fortezza. Dopo qualche svolta, il gruppetto giunse davanti a una porta a due battenti, decorata con intagli di creature marine, secondo lo stile roknari.
In quel preciso istante, la porta si aprì e apparve un nobile abbigliato in modo elegante, sottobraccio a un altro cortigiano e intento a lamentarsi. «Ho aspettato cinque giorni per quest’udienza!» stava brontolando il nobile. «Quale assurda…»
«Vuol dire che dovrete aspettare ancora un poco, mio signore», ribatté il cortigiano, accompagnandolo lungo il corridoio con una mano stretta saldamente intorno al suo gomito.
Con un inchino, il segretario invitò Cazaril e i fratelli dy Gura a entrare, annunciandoli in maniera formale, con nome e rango.
Si ritrovarono così in quella che non era la sala del trono, bensì una camera di ricevimento, adatta a ospitare riunioni di Stato. Un’estremità era occupata da un ampio tavolo, abbastanza spazioso da potervi stendere sopra mappe e documenti, mentre nella lunga parete opposta a esso si apriva una fila di porte, il cui telaio era rivestito integralmente da pannelli di vetro quadrati. Al di là di esse, una balconata si affacciava sul porto e sul cantiere navale che costituivano il cuore della ricchezza e del potere di Zagosur. Grazie alle ampie porte-finestre, la pallida luce marina illuminava intensamente la stanza, facendo apparire fioca la fiamma delle candele accese nei supporti a parete.