«I doveri dell’ammiraglio Naismith li conosci, ma sono l’ultima delle mie preoccupazioni, davvero. L’ammiraglio Naismith è subordinato al tenente Vorkosigan, che esiste solo per servire la Sicurezza Imperiale Barrayarana, alla quale è stato assegnato dalla saggezza e dalla clemenza del suo Imperatore. Be’, dai consiglieri del suo Imperatore. In breve, mio padre, ma questa è una storia che conosci.»
Lei accennò di sì con la testa.
«Questa faccenda di non farsi coinvolgere a livello personale con qualcuno dello staff può andare bene per l’ammiraglio Naismith…»
«Mi sono chiesta spesso nelle ultime ore, se quell’incidente nel tunnel di discesa non fosse una… una specie di test» disse Elli, come riflettendo ad alta voce.
Miles ci mise un attimo a capire. «Ehi! No!» esclamò. «Che trucco meschino, basso e spregevole sarebbe stato… no, non era un test: era vero, verissimo.»
«Ah» commentò lei, ma non cercò affatto di rassicurarlo facendogli capire che gli credeva, magari con un abbraccio appassionato. Un abbraccio appassionato sarebbe proprio stato quello che gli ci voleva, in quel momento. Elli invece si limitò a guardarlo fisso, mantenendo una posa che assomigliava dolorosamente alla posizione di attenti.
«Però non devi dimenticare che l’ammiraglio Naismith non è reale. È un costrutto, che ho inventato io. E a pensarci adesso, è un costrutto con parecchie parti mancanti.»
«Oh, che sciocchezza, Miles» replicò sfiorandogli piano la guancia. «E questo cos’è, un ectoplasma?»
«Torniamo indietro, torniamo indietro e parliamo di Lord Vorkosigan» la interruppe disperato Miles. Poi, con uno sforzo, si schiarì la gola e ridiede alla propria voce l’accento barrayarano. «Lord Vorkosigan lo conosci appena.»
Udendolo cambiare accento, lei sorrise. «Ti ho sentito imitare il suo accento: è affascinante, anche se un tantino, uhm, assurdo.»
«Non sono io che imito il suo accento: è lui che imita il mio. Voglio dire… cioè, credo…» si interruppe, confuso. «Nel mio sangue e nelle mie ossa c’è Barrayar.»
Lei sollevò di nuovo le sopracciglia, in un gesto ironico mitigato però dalla volontà di capire. «In senso letterale, a quanto ricordo. Non pensavo che li avresti ringraziati per averti avvelenato ancor prima di venire al mondo.»
«Non ero io il bersaglio, era mio padre. Mia madre…» Considerando dove voleva andare a parare con quel discorso, forse era meglio se evitava di citare tutti i falliti tentativi di assassìnio di quegli ultimi venticinque anni. «Comunque, quel genere di cose non accadono quasi più.»
«E quello di oggi allo spazioporto cos’era? Un balletto da strada?»
«Non era un tentativo di assassinio barrayarano.»
«Questo non lo sai ancora» ribatté allegra.
Miles aprì la bocca per parlare e rimase lì, colpito da un nuovo a più tremendo attacco di paranoia. Galeni era un uomo sottile, se Miles non aveva sbagliato a giudicarlo. Il capitano Galeni poteva rientrare tra i sospettati, anzi, era logico: supponiamo che fosse davvero colpevole di appropriazione indebita e supponiamo che avesse capito i sospetti di Miles e supponiamo ancora che fosse riuscito a trovare un modo per tenersi il denaro senza perdere la carriera, eliminando il suo accusatore. Galeni, oltretutto, sapeva perfettamente quando Miles si sarebbe trovato allo spazioporto. Se l’ambasciata cetagandana poteva facilmente e rapidamente assoldare degli assassini prezzolati locali, altrettanto poteva fare quella barrayarana, e con altrettanta segretezza. «Anche di questo parleremo… in seguito» riuscì a dire.
«E perché non adesso?»
«PERCHÉ STO…» si interruppe, trasse un profondo respiro, e proseguì con voce più bassa e controllata «… sto cercando di dire un’altra cosa.»
«Allora parla» lo incoraggiò Elli dopo un breve silenzio.
«Um, sì, i doveri. Come nel tenente Vorkosigan sono racchiusi tutti i doveri dell’ammiraglio Naismith, più altri suoi personali, allo stesso modo in Lord Vorkosigan sono racchiusi tutti quelli del tenente Vorkosigan più altri suoi personali. I doveri politici sono diversi e superano i doveri militari di un tenente. E anche… ehm, i doveri di famiglia.» Aveva le mani sudate; senza dare nell’occhio se le asciugò sui pantaloni. Era ancor più difficile di quanto avesse pensato. Ma non più difficile, certamente, di quanto lo era stato riaffrontare il fuoco per chi aveva avuto il volto ustionato dal plasma.
«Fai di te un ritratto che sembra un diagramma di Venn: L’insieme di tutti gli insiemi che sono membri di se stessi… o qualcosa del genere.»
«È così che mi sento» ammise lui. «Ma in qualche modo devo cercare di non perderli mai di vista.»
«E che cosa racchiude Lord Vorkosigan?» chiese lei curiosa. «Quando ti guardi nello specchio uscendo dalla doccia, chi vedi? Saluti la tua immagine dicendo: "Salve, Lord Vorkosigan?"»
Io evito di guardarmi negli specchi… «No, semplicemente "Salve Miles". Solo Miles.»
«E cosa racchiude Miles?»
Lui si passò un dito sulla mano sinistra. «Questa pelle.»
«E questo è l’ultimo perimetro, quello più esterno?»
«Direi di sì.»
«Oh, dèi» mormorò Elli. «Mi sono innamorata di un uomo che crede di essere una cipolla.»
Miles non poté trattenere una risatina. Ma… "innamorata"? Una grande speranza gli invase il cuore. «Meglio di quella mia antenata che credeva di…» No, questa era meglio non tirarla fuori.
Ma la curiosità di Elli era insaziabile; in fondo era per questo che lui l’aveva assegnata al Servizio Segreto Dendarii, dove aveva riportato tanti successi. «Si dice che la quinta contessa Vorkosigan soffrisse di allucinazioni periodiche, durante le quali credeva di essere fatta di vetro.»
«E alla fine cosa le è successo?» chiese Elli, affascinata.
«Uno dei suoi amanti, seccato, l’ha mollata e lei si è rotta.»
«L’allucinazione era così reale?»
«No, lo era la torre di venti metri da cui cadde. Non so con precisione» rispose impaziente. «Io non ho responsabilità sui miei antenati un po’ balordi. Semmai è il contrario, anzi, è il contrario. Vedi, uno dei doveri non-militari di Lord Vorkosigan è quello di arrivare, prima o poi, con una Lady Vorkosigan. La futura undicesima Contessa Vorkosigan. Sai, è una cosa che ci si aspetta da un uomo che discende da una cultura rigorosamente patrilinea. Tu sai che i miei… problemi fisici» proseguì indicando con una mano il proprio corpo (gli sembrava di avere la gola piena di cotone, l’accento andava e veniva), «erano teratogeni, non genetici. Dovrei avere figli normali. E forse è stato proprio questo che mi ha salvato la vita, dato l’atteggiamento tradizionalmente impietoso dei barrayarani nei confronti delle mutazioni. Credo che mio nonno non se ne sia mai convinto del tutto; mi spiace che non sia vissuto abbastanza per vedere i miei figli, questo lo avrebbe senz’altro convinto…»
«Miles» lo interruppe gentilmente Elli.
«Sì?» rispose lui senza fiato.
«Stai blaterando: perché? Potrei ascoltarti per ore, ma diventi preoccupante quando cominci a parlare così a ruota libera, sempre più in fretta.»
«Sono nervoso» confessò lui, rivolgendole un sorriso abbagliante.
«Reazione ritardata per quello che è successo questa mattina?» Gli scivolò accanto, per confortarlo. «Posso capirlo.»
Miles le passò il braccio destro attorno alla vita. «No. Be’, forse sì, un po’. Ti piacerebbe essere la contessa Vorkosigan?»
Lei fece una smorfia. «Fatta di vetro? Non è il mio genere, grazie. Il titolo però richiama alla mente più il cuoio nero e le borchie d’argento.»
L’immagine mentale di Elli abbigliata in quel modo era così attraente, che gli ci volle mezzo minuto buono per ritornare al momento in cui il discorso aveva preso un’altra piega. «Mettiamola in un altro modo» disse alla fine: «Vuoi sposarmi?»
Questa volta il silenzio si protrasse molto di più.
«Io credevo che tu stessi lavorando per chiedermi di venire a letto con te» disse poi lei, «e ridevo. Del tuo fegato.»