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Gwen lo guardò da vicino, accigliata, col fucile appeso al braccio in maniera casuale, rivolto verso il pavimento. Prese la birra e la assaggiò, prima di passarla a Dirk. Era tiepida ed insapore, il gusto se ne era andato già da tempo.

«Lorimaar e Saanel?», chiese Gwen quando uscirono fuori di nuovo, sotto le colonne di ferro.

«Dubito che siano ritornati dalla foresta», disse Vikary. «Può darsi che Bretan Braith si trovi da qualche parte a Larteyn, per aspettarli. Indubbiamente ha visto arrivare Roseph e Chaalyn ieri. Può darsi che si nasconda da qualche parte qui vicino, sperando di sorprendere i suoi nemici uno ad uno, mentre ritornano alla città. Però non credo».

«Perché?». Questo era Dirk.

«Pensaci, t’Larien, noi siamo arrivati qui all’alba e con una macchina non corazzata. Lui non ci ha attaccato. I casi sono due, o dormiva, o non era qui attorno».

«Dove pensi che sia?».

«Nella foresta, a cacciare i nostri cacciatori», disse Vikary. «Ci sono solo due Larteyn che restano vivi in grado di affrontarlo, ma Bretan Braith non ha nessun modo per saperlo. Per quello che lui sa, Pyr, Arris ed anche il vecchio Raymaar Una-Mano sono ancora vivi e devono essere contati. Direi che deve essere volato via per coglierli di sorpresa, forse nel timore che altrimenti avrebbero potuto tornare in città in gruppo, avrebbero scoperto i loro kethi uccisi e sarebbero così stati avvisati delle sue intenzioni».

«Dovremmo scappare allora, sì, prima che torni indietro», disse Arkin Ruark. «Andiamo in qualche posto sicuro, lontani da questa follia Kavalar. Dodicesimo Sogno, sì, a Dodicesimo Sogno. Oppure Musquel, oppure Sfida, da qualsiasi parte. Presto arriverà una nave, allora saremo in salvo. Che ne dite?».

«Io dico di no», rispose Dirk. «Bretan ci troverà. Ti ricordi la maniera quasi soprannaturale con cui è riuscito a scoprire Gwen e me a Sfida?» Guardò apertamente verso Ruark. Per la verità, il Kimdissi riuscì a mantenere il viso immobile con ammirabile calma.

«Rimarremo a Larteyn», disse Vikary deciso. «Bretan Braith Lantry è solo un uomo. Noi siamo quattro e tre di noi sono armati. Se rimaniamo assieme, siamo al sicuro. Stabiliremo dei turni di guardia. Saremo pronti».

Gwen annuì e fece scivolare il braccio attorno a quello di Jaan. «Io sono d’accordo», disse. «Bretan potrebbe anche non sopravvivere a Lorimaar».

«No», le disse il Kavalar. «No, Gwen. Penso che tu abbia torto. Bretan Braith sopravviverà a Lorimaar. Di questo sono assolutamente certo».

All’insistenza di Vikary, setacciarono il grande garage sotterraneo, prima di abbandonare la zona in cui risiedeva Roseph. L’azione ebbe dei risultati. Dato che la loro aerauto era stata rubata a Sfida e successivamente distrutta, Roseph e il suo teyn si erano fatti imprestare l’aeromobile di Pyr per ritornare dalla caccia nella foresta; ora era parcheggiata là sotto. Jaan se ne appropriò. Anche se non era ancora il pesante residuato bellico verde oliva di Janacek, era comunque assai più formidabile della piccola macchina di Ruark.

Dopo di che trovarono gli appartamenti. Lungo le mura della città di Larteyn, affacciate sullo strapiombo a picco, fissando il distante Comune, c’era una serie di torri di guardia, con postazioni per sentinelle e feritoie in alto e acquartieramenti nella parte inferiore, al di qua delle mura stesse. Le torri, ognuna con una grande cariatide di pietra appollaiata sul tetto, erano esclusivamente ornamentali, un abbellimento per rendere la città del festival autenticamente Kavalar. Comunque erano facilmente difendibili e fornivano un’eccellente panoramica della città. Gwen ne scelse una a caso e loro vi si trasferirono, saccheggiando il precedente appartamento per trovare effetti personali, cibo e registrazioni riguardo alle ormai quasi dimenticate (almeno per Dirk) ricerche ecologiche che Gwen e Ruark avevano condotto nelle foreste di Worlorn.

Una volta al sicuro, si apprestarono ad attendere.

Fu quella, decise in seguito Dirk, la cosa peggiore che potessero fare. Sotto la pressione della loro inattività, tutte le spaccature vennero in evidenza.

Avevano studiato un sistema di spostamenti sovrapposti, in modo che c’erano sempre due persone di guardia alla torre, armati di laser e del binocolo da campo di Gwen. Larteyn era grigia, vuota e desolata. C’era poco da fare per le sentinelle, oltre a studiare il lento crescere e fluire della luce nelle strade e chiacchierare un po’. Per lo più chiacchieravano.

Arkin Ruark faceva i suoi turni con tutti gli altri ed accettò anche il fucile a laser che Vikary gli impose, anche se con qualche riluttanza. Insistette più volte che lui non era adatto alla violenza, che non sarebbe mai riuscito a sparare con il laser, per nessun motivo. Comunque consentì a tenerlo, perché glielo aveva chiesto Jaan Vikary. I suoi rapporti con tutti loro erano radicalmente cambiati. Rimaneva vicino a Jaan finché poteva, rendendosi conto che il Kavalar era adesso il suo vero protettore. Con Gwen era cordiale. Lei gli aveva chiesto di dimenticare Kryne Lamiya, proclamando che la paura ed il dolore l’avevano temporaneamente spinta verso la paranoia. Ma per Ruark non fu mai più la «dolce Gwen»; l’amarezza tra di loro veniva a galla ogni giorno di più. Verso Dirk, il Kimdissi manteneva un atteggiamento sospettoso, di disagio, passando alternativamente dall’amicizia alla formalità, quando fu chiaro che Dirk non intendeva ammorbidirsi. I commenti di Ruark durante la prima guardia che fecero assieme, indicarono a Dirk che il grasso ecologo attendeva disperatamente il traghetto del Margine Teric neDahlir, che avrebbe dovuto atterrare la settimana successiva. Pareva che non gli interessasse nient’altro se non rimanere nascosto e al sicuro e poi poter salpare il più presto possibile.

Gwen Delvano aspettava qualcosa di completamente diverso, pensava Dirk. Mentre Ruark controllava l’orizzonte con apprensione, Gwen fremeva nell’attesa. Si ricordò le parole che aveva detto quando avevano parlato assieme nell’ombra di Kryne Lamiya distrutta dal fuoco. «È ora che noi diventiamo i cacciatori», aveva detto lei. Lei ne era ancora convinta. Quando lei e Dirk fecero la guardia insieme, Gwen fece tutto il lavoro. Lei rimase seduta presso la finestra lunga e stretta con impazienza quasi infinita, con il binocolo appeso tra i seni, le braccia posate sul davanzale, giada-e-argento accanto al ferro vuoto. Parlava con Dirk senza nemmeno guardarlo; tutta la sua attenzione era diretta all’esterno. Facevano eccezione solo le visite alla toeletta, altrimenti Gwen rifiutò di abbandonare la finestra. Ogni tanto sollevava il binocolo e studiava un qualche lontano edificio dove le pareva di aver visto del movimento e meno frequentemente chiedeva a Dirk di dargli un pettine e cominciava a pettinarsi i lunghi capelli neri, che il vento continuava a scompigliarle.

«Spero che Jaan abbia torto», disse una di quelle volte in cui si spazzolava i capelli. «Preferirei vedere ritornare Lorimaar e il suo teyn, piuttosto che Bretan». Dirk aveva borbottato un commento favorevole, basandosi sul fatto che Lorimaar — molto più vecchio ed anche ferito — sarebbe stato molto meno pericoloso del duellatore con un occhio solo che dava la caccia a lui. Ma quando lui glielo disse, Gwen si limitò a posare la spazzola e lo fissò in maniera curiosa. «No», disse lei, «no, questa non è affatto la ragione».

Per Jaantony Riv Lupo alto-Ferrogiada Vikary, l’attesa pareva essere la cosa che lo feriva di più. Finché si era mantenuto in azione, finché si richiedevano delle cose da lui, era restato il vecchio Jaan Vikary: forte, deciso, un capo. Ma immobile era un uomo diverso. Non aveva nessun ruolo da giocare; però aveva un tempo illimitato per pensare. La cosa non gli faceva bene. Anche se Garse Janacek venne menzionato raramente in quegli ultimi giorni, era chiaro che Jaan era ossessionato dallo spettro del suo teyn con la barba rossa. Troppo spesso Vikary era incupito e cominciò a piombare in bui silenzi che a volte duravano ore.