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«Ma la Voce non riscrive il programma?».

«Ecco il punto cruciale! La Voce è un idiota. In realtà non è in grado di pensare, né può riprogrammarsi. Ah, sì, gli Emereli volevano impressionare la gente e la Voce è certo una gran cosa. Ma in verità è piuttosto primitiva se la paragoniamo ai calcolatori dell’Accademia di Avalon o alle Intelligenze Artificiali di Vecchia Terra. Questa non sa pensare, o cambiare granché. Fa quello che le è stato detto e gli Emereli le avevano detto di andare avanti, di combattere contro il freddo il più a lungo possibile. Ed è quello che fa».

Gwen fissò Dirk. «Come te», disse, «va sempre avanti addirittura oltre la propria resistenza, quando tutto ha perduto un senso. E va e va, per ottenere niente, quando tutto è già morto».

«Ah?», disse Dirk. «Ma fino a che tutto non è morto, si deve darci dentro. Ecco il punto, Gwen. Non c’è nessun altro modo, ti pare? Direi che ammiro la città, anche se è un idiota troppo cresciuto, come dici tu».

Lei scosse il capo. «Tu vorresti».

«E c’è di più», disse lui. «Tu seppellisci tutto troppo in fretta, Gwen. Può darsi che Worlorn stia morendo, ma non è ancora morto. E noi, be’, nemmeno noi siamo ancora morti. Penso che tu ci creda a ciò che hai detto prima al ristorante, su Jaan e su di me. Decidi cosa deve succedere, a me, a lui. Decidi quanto ti pesa quel braccialetto addosso», lo indicò col dito, «e quale è il nome che ti piace di più, o meglio, chi è il più adatto a fornirti un nome che tu senta tuo. Capisci? Poi raccontami cosa è morto e cosa è vivo!».

Si sentì molto soddisfatto dopo questo discorsetto. Di certo, pensò lui, lei capirà che era molto più facile che lui abbandonasse Jenny in favore di Gwen, piuttosto che Jaantony Vikary la facesse diventare una teyn donna, invece di una semplice betheyn. Pareva chiarissimo. Ma lei si limitò a fissarlo senza dire niente, finché non raggiunsero lo spiazzo d’atterraggio.

Poi lei uscì dalla macchina. «Quando noi quattro dovemmo scegliere dove abitare qui su Worlorn, Garse e Jaan votarono per Larteyn e Arkin per Dodicesimo Sogno», disse lei. «Io non votai per nessuno dei due posti. E nemmeno per Sfida, con tutta la sua vita. Non mi piace vivere in una piccionaia. Tu vuoi sapere cosa sia morto e cosa sia vivo? Vieni, allora, ti farò vedere la mia città».

Poi si trovarono di nuovo fuori, con Gwen che teneva le labbra strette seduta dietro i comandi e l’improvviso freddo dell’aria che li circondava. Sfida era un fuso scintillante che spariva dietro di loro. Ormai l’oscurità era profonda, come era stata la notte in cui il Tremito dei Nemici Dimenticati aveva portato Dirk t’Larien su Worlorn. C’erano soltanto dieci o dodici stelle nel cielo e la metà almeno era nascosta dalle nubi rotolanti. Tutti i soli erano tramontati.

La città della notte era vasta e intricata, con poche luci sparse qua e là che foravano il buio e pareva incastonata, come un gioiello incastrato nel velluto nero. Unica tra le città, era sistemata nella foresta al di là delle montagne ed apparteneva a questi luoghi, alle foreste di soffocatori, alberi spettrali e vedovi azzurri. Dall’oscurità della foresta si alzavano le sottili torri bianche come fantasmi che si lanciassero verso le stelle, collegate una con l’altra da graziosi ponti girevoli che scintillavano come ragnatele ghiacciate. Cupole basse stavano come sentinelle solitarie tra una rete di canali le cui acque catturavano le luci delle torri ed il bagliore di rare stelle cadenti ed attorno alla città c’erano molti edifici strani che parevano mani scarnite, piegate ad angolo, che volessero aggrapparsi al cielo. Gli alberi, da quel che si vedeva, erano alberi di un altro mondo; non c’era erba, ma un tappeto spesso di muschio debolmente fosforescente.

E la città aveva una canzone.

Non somigliava a nessuna delle musiche che Dirk aveva sentito. Dava i brividi ed era selvaggia e quasi inumana. Si impennava e ricadeva e si spostava costantemente. Era una cupa sinfonia fatta di vuoto, di notti senza stelle e sogni agitati. Era fatta di lamenti, sussurri ed ululati ed una strana nota bassa che non poteva essere altro che il suono della tristezza. Per tutte queste cose, era musica.

Dirk fissò Gwen con lo stupore dipinto in faccia. «Ma come?».

Lei ascoltava mentre volavano, ma la domanda riuscì a strapparla alla melodia che galleggiava attorno e sorrise un poco. «La città è stata costruita da Cupalba ed i Cupoli sono delle strane persone. C’è un’apertura tra le montagne. I loro Controllori del Tempo vi hanno convogliato i venti. Poi hanno costruito le spirali e sulla cresta di ogni spirale hanno praticato un’apertura. Il vento suona la città come se fosse uno strumento. La stessa canzone senza fermarsi mai. I dispositivi di controllo del tempo spostano i venti e ad ogni spostamento ci sono delle torri che fanno sentire la loro nota, mentre altre cadono nel silenzio.

«La musica… la sinfonia fu scritta su Cupalba, secoli fa, da una compositrice che si chiamava Lamiya-Bailis. Si dice che sia suonata da un computer che fa funzionare le macchine a vento. La cosa strana, però, e che i Cupoli non hanno mai usato dei computer ed hanno una tecnologia piuttosto povera. Durante il festival si raccontava anche un’altra storia. Diciamo, una leggenda. Raccontavano che Cupalba fosse un mondo pericolosamente vicino al limite della sanità mentale e che la musica di Lamiya-Bailis, la più grande dei sognatori Cupoli, avesse spinto tutta la cultura del suo mondo verso la follia e la disperazione. Per punizione, si dice, mantennero vivo il suo cervello ed adesso è qui, profondamente sepolto tra le montagne di Worlorn, agganciato alle macchine a vento che suonano il suo capolavoro senza mai potersi fermare, per sempre». Gwen tremò. «O almeno finché l’atmosfera non si gelerà. Nemmeno i Controllori del Tempo di Cupalba possono impedire che questo succeda».

«È come…», Dirk era perduto nelle ondate della melodia e non riusciva a trovare le parole. «È perfettamente adatta, direi», riuscì alfine a dire. «Una canzone per Worlorn».

«È adatta adesso», disse Gwen. «È una canzone che parla di crepuscoli e della notte che deve arrivare, dice che non ci sarà mai più un’altra alba, mai più. È una canzone definitiva. Nei giorni ruggenti del festival questa canzone era fuori posto. Kryne Lamiya — la città si chiama così, anche se a volte la chiamano la Città Sirena, nello stesso modo in cui Larteyn è anche chiamata Fortezza di Luce — bene, non è mai stata una città molto popolare. Sembra grande, ma in realtà non lo è. È stata costruita per alloggiare solo un centomila persone e non è mai stata riempita per più di un quarto. Come la stessa Cupalba, immagino. Quanti sono i viaggiatori che si spingono fino a Cupalba, fino al limite del Grande Mare Nero? E quanti sono quelli che ci vanno d’inverno, quando il cielo di Cupalba è quasi completamente vuoto, e non sì vede niente se non la luce di poche galassie lontane? Non molti. Ci vogliono delle persone molto particolari per queste cose. Anche qui, non tutti amano Kryne Lamiya. La gente dice che la canzone li disturba. E non finisce mai. I Cupoli non hanno nemmeno costruito le stanze a prova di suono».

Dirk non disse niente. Stava guardando le spirali incantate e le sentiva cantare.

«Vuoi atterrare?», chiese Gwen.

Lui annui e lei scese a spirale. Trovarono una piazzuola di atterraggio all’aperto sul fianco di una delle torri. Al contrario delle terrazze di Sfida e di Dodicesimo Sogno, questa non era completamente vuota. C’erano due altre auto ferme ad arrugginire. Una era un’auto sportiva dalle ali tozze ed una goccia leggera nero-argentea. Entrambe erano abbandonate da gran tempo. La polvere accumulata dal vento era spessa sul tettuccio e sulla cupola ed i cuscini all’interno dell’auto sportiva stavano marcendo. Dirk le provò tutte e due, tanto per provare. La macchina sportiva era morta, bruciata, tutta la potenza era svanita già da diversi anni. Ma la piccola goccia si scaldava ancora non appena la si toccava ed il cruscotto si accendeva e lampeggiava; evidentemente era rimasta una debole riserva d’energia. L’enorme manta volante di Alto Kavalaan era più grande e più pesante di tutti e due i relitti messi assieme.