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Atterrarono su di un molo che pareva più robusto degli altri, per un po’ ascoltarono i frangenti, poi si avviarono per la città. Tutto vuoto… tutta polvere. Le strade erano spazzate dal vento ed abbandonate, le cupole e le torri a cipolla erano vuote ed il grande sole grasso nel cielo dipingeva tutto con i suoi colori un tempo allegri. I mattoni si sbriciolavano; la polvere era dappertutto, multicolore e faceva tossire. Musquel non era una città costruita bene ed adesso era morta come Dodicesimo Sogno».

«È primitiva», disse Dirk in mezzo alle rovine. Si trovavano nel punto di incontro di due viali dove era stato scavato un profondo pozzo circondato da pietre. Sotto sbatteva l’acqua nera. «Pare tutto di epoca prespaziale e si direbbe che la cultura fosse dello stesso tipo. Braque è una cosa del genere, ma non a questo punto. Posseggono qualcosa della vecchia tecnologia, brandelli e accenni, per ciò che la loro religione non vieta. Si direbbe che Musquel non avesse niente».

Gwen annuì, facendo scorrere la mano sulla parte superiore del pozzo, lanciando una manciata di polvere e pietruzze a cadere nell’oscurità. La giada-e-argento scintillava di rosso cupo al suo braccio sinistro e colpiva gli occhi di Dirk che doveva di nuovo chiudere le palpebre e chiedersi perché. Che cos’era? Un marchio di schiavitù, o un segno d’amore, che cosa? Ma cacciò via quei pensieri, perché non voleva sentirli.

«Il popolo che ha costruito Musquel aveva pochissimo», stava dicendo Gwen. «Venivano dalla Colonia Dimenticata, che è a volte chiamata anche Lethelandia dagli altri abitanti dei mondi esterni. Ma quelli che ci abitano la chiamano Terra. Su Alto Kavalaan, i suoi abitanti sono chiamati la Gente Perduta. Chi sono, come hanno raggiunto il loro mondo, da dove sono venuti…». Lei sorrise e si strinse nelle spalle. «Nessuno lo sa. Erano già qui prima dei Kavalari, comunque, e può darsi che ci fossero già prima della Mao Tse-tung, che la storia ricorda come la prima nave che abbia attraversato il Velo Tentatore. I Kavalari tradizionali sono sicuri che la Gente Perduta sia formata da falsuomini e da demoni Hrangani, ma essi hanno dato la prova di poter avere rapporti fecondi con gli altri umani provenienti dai mondi meglio conosciuti. Ma la Colonia Dimenticata è soprattutto un globo solitario, che non ha molti interessi nello spazio. Hanno una cultura dell’età del bronzo, sono più che altro pescatori e badano a se stessi».

«Mi stupisce, allora, che siano venuti fin qui», disse Dirk, «o che si siano dati da fare a costruire una città».

«Eh», lei disse sorridendo e staccando delle pietruzze dai mattoni sgretolati per gettarle in fondo al pozzo in cui facevano dei piccoli tonfi. «Ma tutti dovevano costruire una città, tutte e quattordici le culture dei mondi esterni. L’idea era questa. Lupania aveva trovato la Colonia Dimenticata alcuni secoli prima, così Lupania e Tober si sono messi d’accordo ed hanno portato qui la Gente Perduta. Loro non posseggono delle navi spaziali. Sul loro mondo facevano i pescatori, così hanno fatto i pescatori anche qui. È stata sempre Lupania, assieme al Mondo dell’Oceano Nerovino che hanno preparato un mare per loro. Pescavano con delle reti intrecciate usando delle barchette. Erano omuncoli neri e donne nude fino in vita e friggevano il pescato in forni all’aperto per i visitatori. Avevano bardi e cantanti di strada che rendevano allegri i loro viali. Tutti facevano una sosta a Musquel durante il festival, per sentire i loro strani miti e per mangiare il pesce fritto, oltre ad affittare le barche. Ma non credo che la Gente Perduta amasse molto questa città. Dopo un mese che il festival era finito se ne erano già andati tutti. Non si sono portati via nemmeno i banchetti e si possono ancora trovare dei coltelli da pescatori, abiti e delle ossa se si va in giro a cercare per le case».

«Tu ci sei andata?».

«No. Ma l’ho sentito dire. Kirak Rossacciaio Cavis, il poeta che abita a Larteyn, è stato qui una volta, ha girovagato un po’ ed ha scritto delle canzoni».

Dirk si guardò attorno, ma non c’era niente da vedere. Mattoni che svanivano e strade vuote, finestre senza vetri come le orbite di migliaia di occhi ciechi, tende di bancarelle dipinte che svolazzavano rumorosamente nel vento. Niente. «Un’altra città di fantasmi», commentò.

«No», disse Gwen. «No, io non la penso così. La Gente Perduta non ha mai dato la sua anima a Musquel, o a Worlorn. I loro fantasmi se ne sono tutti andati a casa con loro».

Dirk rabbrividì ed improvvisamente la città gli parve anche più vuota di prima. Più vuota del vuoto. Era una strana idea. «Ma l’unica città in cui c’è della vita è Larteyn?», chiese.

«No», disse lei, voltandosi dall’altra parte. Camminarono assieme per i viali, ritornando verso la costa. «No, ti mostrerò della vita, adesso, se vuoi. Vieni».

Erano di nuovo in aria e correvano nell’oscurità che si andava addensando. Avevano consumato quasi tutto il pomeriggio per raggiungere Musquel e per visitarla. Grasso Satana era basso sull’orizzonte occidentale ed uno dei suoi quattro attendenti gialli era già sceso fuori vista. Era di nuovo il tramonto, di fatto oltre che nell’apparenza.

Questa volta prese i comandi Dirk, inarrestabile, mentre Gwen se ne stava seduta accanto a lui con la mano in quella di lui e gli indicava la direzione. Il giorno se ne era quasi andato tutto e lui aveva ancora tante cose da dire, tante cose da decidere. Eppure non aveva ancora fatto niente. Tra poco, però, promise a se stesso mentre volavano, tra poco.

L’aerauto ronzava pianissimo, quasi non si sentiva, rispondeva al suo tocco leggero. La terra sotto si faceva scura ed i chilometri passavano. Avanti, gli aveva detto Gwen, avrebbero trovato gente viva, ad ovest, sempre ad ovest, verso il tramonto.

La città della sera era un’unica costruzione d’argento, con i piedi ancorati sulle colline ondulate, lontano ed il capo tra le nuvole, due chilometri più su. Era una città di luci, coi fianchi metallici e privi di finestre che scintillavano di una luminosità al calor bianco. La luce si arrampicava lungo il fuso svettante, corruscante, lampeggiante, ad ondate. Cominciava dal lontano fondo, dove la città era profondamente ancorata alla roccia primeva, poi saliva, si arrampicava e diventava sempre più decisamente brillante man mano che la città si innalzava e si affusolava come un ago gigantesco. L’onda di luce saliva più in fretta e più in alto, su per quell’incredibile salita, fino a raggiungere quella spira coronata di nuvole in un bagliore di gloria accecante. Ed in quel momento altre tre ondate avevano già ricominciato a salire.

«Sfida», Gwen disse il nome della città mentre si avvicinavano. Il suo nome e le sue intenzioni. Era stata costruita dalle urbanità dei di-Emereli, sul cui pianeta le città sono nere torri d’acciaio incastonate in pianure ondulate. Ogni città Emereli era una nazione, tutta in una sola torre e la maggior parte degli Emereli non abbandonava mai la torre in cui era nata. Ma Gwen disse anche che quelli che lo facevano diventavano sovente i più grandi vagabondi dello spazio. Sfida era tutte le torri degli Emereli in una, bianco-argentea invece di nera, due volte più altezzosa e tre volte più alta… Era la filosofia arcologica dei di-Emereli fatta diventare metallo e plastica… Energia di fusione, tutta automatica, computerizzata ed autoriparante. Gli Emereli la vantavano immortale, la prova finale della gloria tecnologica del Margine (o almeno della tecnologia degli Emereli) scintillava come la tecnologia di Newholme, o di Avalon, o addirittura di Vecchia Terra.

C’erano dei tratti scuri orizzontali nel corpo della città: ponti di atterraggio, ognuno a dieci livelli dall’altro. Dirk attraccò ad uno di quelli e quando lui si avvicinò la fessura scura si illuminò. L’apertura era almeno dieci metri d’altezza; non ebbe alcuna difficoltà a scendere sul vasto ponte del centesimo livello.