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Rimuginai per un momento su quello che mi aveva detto, e provai un acuto senso di malessere, sia per la paura, sia per il mal di spazio che continuava ad affliggermi. — Ah, così lei darebbe l’imbeccata alla polizia? Lei è uno sporco, lurido… — m’interruppi solo perché ero incapace di trovare un sostantivo, da aggiungere agli aggettivi "sporco" e "lurido", adatto a insultarlo con tutta l’intensità che desideravo.

— Oh, no! Vede, vecchio marpione, potrei ricattarla un po’ facendole credere che ho intenzione di parlare alla polizia… ma non lo farò, può stare tranquillo. Però il fratello-coniugato di Rrringriil, Rrringlath, è certamente al corrente di una cosa: che il vecchio "Griil" è andato in un certo appartamento di un certo albergo, e poi non ne è più tornato. Ci penserà direttamente lui a dar subito l’imbeccata ai poliziotti. Non deve dimenticare che per i marziani, fratello-coniugato è un grado di parentela strettissimo. Talmente stretto che noi non possiamo neppure immaginarlo, dal momento che non ci riproduciamo per scissione.

Me ne infischiavo, io, se i marziani si riproducevano come i conigli o se invece era la cicogna a portarli, dentro il sacco nero dell’immondizia. Però, da come me la stava mettendo Dak, mi pareva che non avrei più avuto la possibilità di tornarmene sulla Terra. Espressi ad alta voce i miei timori, ma lui scosse la testa e rispose: — Niente affatto. Lasci fare a me, e la farò ritornare con la stessa facilità con cui è partito. Alla fine di tutto, lei uscirà da Campo Jefferson (o da qualsiasi altro Campo, fa lo stesso), con un permesso che riporta che lei è un meccanico e ha dovuto fare talune riparazioni dell’ultima ora. Per rendere credibile la cosa, lei indosserà una tuta sporca di grasso e porterà una cassetta dei ferri. Pensa che un attore del suo calibro riuscirà a recitare per qualche minuto la parte di un meccanico?

— Eh? Come, certo! Ma…

— Niente "ma"! Si fidi del suo amico Dak, che si prende cura di lei. Per la presente faccenda abbiamo già fatto entrare clandestinamente otto amici, tutti del "giro", prima per farmi arrivare sulla Terra, poi per far uscire me e lei. E se l’abbiamo fatto una volta possiamo farlo due. Però senza l’aiuto di un voyageur lei non caverebbe un ragno dal buco — aggiunse ridendo. — Ogni voyageur, nel cuor suo, è un mezzo filibustiere. L’arte del contrabbando è appunto un’arte, e tutti noi siamo sempre pronti a dare una mano a un amico, per aiutarlo a ingannare innocentemente le guardie portuali. Ma se uno non è del "giro", di solito non riceve alcun aiuto.

Cercai di imporre al mio stomaco la calma, e ci pensai sopra. — Dak — dissi poi. — Allora si tratta di una faccenda di contrabbando? Perché, vede…

— Oh, no! Salvo il fatto che stiamo contrabbandando… lei.

— Volevo dire che non considero il contrabbando un crimine.

— E chi lo ha mai considerato un crimine, salvo coloro che ci portano via i soldi mettendo esclusive su certi prodotti? No, no, si tratta semplicemente di sostituire un’altra persona, Lorenzo, e lei è la persona più adatta per fare da controfigura. Non è stato affatto per caso che mi sia imbattuto in lei, al bar. La stavamo seguendo da due giorni. Mi sono recato direttamente al bar per incontrarla, appena sceso su terrasporca. — Assunse un’espressione preoccupata. — Vorrei però essere sicuro che i nostri onorevoli nemici stessero seguendo me, e non lei.

— Perché? Non capisco…

— Se stavano seguendo me, vuol dire che lo facevano per scoprire cosa stavo macchinando, e allora tutto andrebbe bene perché avevamo previsto questa eventualità: sappiamo benissimo chi sono i nostri nemici, e così anche loro. Ma se invece stavano seguendo lei, allora vuol dire che sapevano già cosa stavo cercando… vale a dire un attore capace di fare da controfigura.

— Ma come facevano a saperlo, a meno che non glielo avesse detto lei?

— Lorenzo, si tratta di una faccenda importante, molto più importante di quanto lei s’immagina. Neppure io ne conosco appieno le implicazioni… Meno lei ne saprà, fin quando non le spiegheranno tutto, meglio sarà per lei. Posso dirle questo: una scheda recante le caratteristiche personali di un certo individuo è stata messa nell’Ufficio statistico centrale del Sistema Solare, all’Aia, e la macchina ha confrontato quelle caratteristiche con i dati di tutti gli attori viventi. L’operazione è stata portata a termine con la massima discrezione possibile, tuttavia qualcuno potrebbe avere sospettato… e parlato. I dati riguardavano l’identificazione di due persone: una è il principale, e l’altra è l’attore che può sostituirsi a lui, perché il lavoro dev’essere assolutamente perfetto.

— Oh! E la macchina vi ha detto che l’attore più adatto sono io?

— Sì, lei… e un altro.

Ecco un’altra occasione per tenere la bocca chiusa. Ma non avrei potuto farlo, nemmeno se ci fosse stata la mia vita in ballo, come in effetti era. Dovevo a tutti i costi sapere chi fosse quell’altro attore, considerato abile al punto di poter recitare una parte che richiedeva il mio inimitabile talento. — Un altro attore? Chi è?

Dak mi guardò a, lungo. Mi accorsi che esitava. — Uhm, un tale chiamato Orson Trowbridge. Lo conosce?

— Quel filodrammatico! — per un istante fui talmente furibondo da non accorgermi più della nausea.

— Ah, davvero? Eppure mi dicono che sia molto apprezzato.

Non potei proprio fare a meno di indignarmi all’idea che qualcuno avesse potuto sia pur soltanto pensare che quell’asino di Trowbridge fosse adatto a sostenere una parte per cui andavo bene io. — Quello sbracciato! quell’ampolloso! — esclamai, per interrompermi però subito, pensando che era molto più dignitoso ignorare certi colleghi… ammesso che si possa chiamarli colleghi. Ma quel pappagallo era talmente pieno di sé che… be’, se doveva baciare la mano di una dama, Trowbridge faceva solo finta, e si baciava il pollice. Un narcisista, una posa, una doppia finzione. Come poteva vivere un personaggio, uno come lui?

Eppure, l’ingiustizia della sorte è tanto profonda che i gesti esagerati e la retorica di Trowbridge rendevano bene, mentre i veri artisti facevano la fame.

— Dak, non riesco a capire come abbiate potuto pensare a lui.

— Be’, non proprio. Ha un contratto per una lunga serie di recite, e la sua assenza si noterebbe subito; farebbe sorgere un mucchio di domande. Ma per fortuna abbiamo trovato lei che era… ehm, "senza impegni". Appena lei ha accettato il lavoro, ho detto a Jacques di comunicare all’altro gruppo di sospendere i tentativi d’entrare in contatto con Trowbridge.

— Vorrei ben credere!

— Però… senta, Lorenzo, voglio essere chiaro. Mentre lei era occupato a rimettere il pranzo di ieri, appena spenti i motori, ho chiamato la Passa al primo turno! perché avvertano giù di riprendere i contatti con Trowbridge.

— Cosa?

— Mi ha costretto lei, amico. Vede, quando uno di noi accetta di portare una carretta su Ganimede, vuol dire che quella carretta, su Ganimede, la porta… oppure che muore per portarcela; non perdiamo i nervi cercando di "svicolare" mentre viene fatto il carico. Lei ha detto che accettava il lavoro: punto e basta. Niente "se", "ma", "però". Poi poco più tardi, a causa di un po’ trambusto, lei ha una crisi di nervi. Ancora più tardi, al Campo, lei cerca di darmi il blu. E solo dieci minuti fa, è tutto un pianto per ritornare su terrasporca. Lei sarà forse più bravo di Trowbridge come attore. Non lo so. Io so solamente che abbiamo bisogno di un uomo su cui si possa contare, che non perda i nervi quando si arriva al dunque. E mi dicono che Trowbridge è uno su cui si può contare. Così, adesso, se riusciamo ad avere Trowbridge, prendiamo lui; diamo a lei il benservito, non le diamo altre informazioni, la rimandiamo indietro. Capito?

Capivo fin troppo bene. Dak non l’aveva detto, e forse non ne sapeva neppure il significato esatto, ma mi faceva capire che non ero un vero attore. E il peggio è che aveva ragione. Non avevo ragione d’arrabbiarmi: potevo solo arrossire di vergogna. Ero stato un idiota ad accettare il contratto senza informarmi meglio, però avevo accettato, senza porre condizioni o comode scappatoie. E adesso cercavo di tirarmi indietro come un filodrammatico preso dal panico alla prima recita.