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Clifton assunse un’espressione strana, di leggero imbarazzo, e mormorò: — Temo che invece siano ben sicuri che si trattava di un sosia. Capo.

— Eh?

— Le abbiamo un po’ indorato la pillola perché non s’innervosisse troppo. Fin dalla prima visita, il professor Capek ha detto che occorreva un miracolo perché Bonforte ritornasse abbastanza in forma da poter partecipare oggi all’udienza. E come lo sapeva il professore, così lo potevano sapere benissimo anche coloro che gli hanno somministrato la droga.

Mi accigliai. — Allora mi prendeva in giro, prima, dicendomi che stava meglio? Voglio sapere la verità, Rog. In che condizioni è, adesso?

— Prima dicevo la verità, Capo. Per questo le ho suggerito d’andare a fargli visita… anche se poi sono stato felicissimo che lei si sia rifiutato di farlo. Però — aggiunse — forse la miglior cosa sarebbe andare a parlargli.

— Uhm… No. — I motivi per cui non desideravo vederlo mi parevano ancora validi. Se avessi dovuto comparire nuovamente in pubblico nei suoi panni, non volevo correre il rischio d’essere tradito dal mio subcosciente. L’interpretazione esigeva d’imitare una persona che stesse bene. — Rog, alla luce di quanto lei mi ha detto or ora, tutto ciò che le dicevo risulta pienamente valido, ancor più di prima. Se i nostri avversali hanno la sicurezza che oggi s’è presentata una controfigura al posto suo, non possiamo rischiare di farmi comparire ancora una volta in pubblico. Oggi li abbiamo colti di contropiede, o forse non c’era assolutamente il modo di smascherarmi, date le circostanze; ma la prossima volta non si lasceranno cogliere alla sprovvista. Prepareranno qualche trabocchetto, qualche prova che io non riuscirei mai a superare… e allora bum! il palloncino scoppierà e il bel gioco sarà finito. — Ci pensai un attimo. — È meglio che la mia "malattia" duri per tutto il tempo necessario. Bill ha ragione: meglio dire "polmonite".

La forza della suggestione è tale che la mattina seguente mi destai col naso chiuso e la gola dolorante. Il professor Capek mi sottopose a una cura energica, e per l’ora di colazione mi sentivo ritornato quasi normale. Ciò nondimeno, egli emise un bollettino medico per comunicare che "l’onorevole Bonforte è stato colpito da un’infezione virale". Poiché le città a tenuta ermetica e ad aria condizionata della Luna sono appunto tali, nessuno ha il desiderio d’esporsi al contagio di una malattia i cui germi sono trasmessi per via aerea. Non ci fu alcun tentativo di superare i miei chaperon e di venire a trovare l’illustre infermo. Per quattro giorni lessi e curiosai nella biblioteca di Bonforte, attingendo a piene mani alla raccolta dei suoi scritti e ai suoi libri… Scoprii che tanto la politica quanto l’economia possono risultare molto affascinanti. Quegli argomenti, fino a quel momento, non mi erano mai sembrati molto concreti. L’imperatore mi mandò fiori delle serre reali… chissà se erano proprio per me?

Non importa. Mi concessi il lusso di oziare, crogiolandomi nel piacere d’essere nuovamente me stesso, "Il Grande Lorenzo" o anche il prosaico Lawrence Smith, non fa differenza. Scoprii che era diventato automatico immedesimarmi nel personaggio di Bonforte non appena entrava qualcuno, ma non lo potevo controllare. Tuttavia non ce ne fu mai davvero bisogno; vidi solo Penny, Capek e, in un’occasione, Dak.

Ma anche a mangiar loto, dopo un po’ ci si stanca. Al quarto giorno non ne potevo più di quella stanza, che mi riusciva più odiosa di qualsiasi anticamera d’impresario teatrale che avessi mai sperimentato in vita mia. Mi sentivo solo, nessuno si occupava di me; le visite di Capek erano strettamente professionali, e quelle di Penny erano brevi e rare. Per di più, aveva smesso di chiamarmi "onorevole Bonforte".

Quando arrivò Dak gli mostrai tutto il mio entusiasmo. — Dak, che piacere! Cosa c’è di nuovo?

— Niente d’importante. Con una mano cerco di mettere in ordine la Tom Paine, mentre con l’altra aiuto un po’ Rog a rimediare a qualche faccenda politica imprevista. Per mettere a punto questa campagna elettorale si farà venire l’ulcera: ci scommetterei otto contro tre. — Si mise a sedere. — Uff, la politica!

— Ehm… già. Ma come ha fatto, lei, a entrare in politica? Così, dal di fuori, pensavo che i voyageur si tenessero lontani dalla politica almeno quanto gli attori, in particolare lei.

— È vero e non è vero. Per lo più se ne infischiano di chi sta al potere, purché possano continuare a portare le loro carrette in giro per il cielo. Ma per poterlo fare occorre merce da trasportare, e la merce vuol dire commercio e il commercio, per essere redditizio, deve essere completamente aperto, cioè ogni astronave deve poter andare dove preferisce, senza l’impaccio di quelle sciocchezze delle dogane e delle zone interdette. Libertà. Ed ecco dove si casca: nella politica. Quanto al mio caso, in origine mi ero mosso per sostenere il permesso di "viaggio continuo", in modo che le merci che seguivano la rotta dei tre pianeti non dovessero pagare due volte i dazi doganali. Non occorre dirle chi avesse proposto l’emendamento: Bonforte. Una cosa tira l’altra, ed eccomi qua, comandante del suo yacht già da sei anni, e rappresentante alla Grande Assemblea dei miei colleghi di corporazione, a partire dalle ultime elezioni generali. — Trasse un gran sospirone. — Se vuol sapere la verità, non so bene neppure io come siano andate effettivamente le cose.

— Allora immagino che sia ansioso di rinunciare alla carica. Non intenderà mica ripresentarsi alle elezioni?

Mi fissò sbalordito. — Eh?… Amico, finché non si entra nella politica non si sa cosa significhi essere vivi.

— Ma se ha appena finito di dirmi…

— Sì, sì. So benissimo cosa le stavo dicendo. È un mestiere pericoloso, spesso anche sporco, composto solo di lavoro pesante e d’un mucchio di dettagli noiosi. Ma è l’unico passatempo adatto per le persone adulte. Tutti gli altri passatempi sono per bambini. Tutti. — Tacque; dopo un momento si alzò. — Devo correre.

— Oh, no, resti ancora un po’ a tenermi compagnia.

— Non posso assolutamente. Domani si riunisce la Grande Assemblea e devo dare una mano a Rog. Anzi, non sarei neanche dovuto venire.

— Ah — feci — davvero? Si riunisce l’Assemblea? Non lo sapevo.

Sapevo che la Grande Assemblea, vale a dire quella uscente, doveva riunirsi ancora una volta prima dello scioglimento per prendere atto della nomina del nuovo governo, ma non ci avevo pensato. Era una cosa d’ordinaria amministrazione, superficiale e meccanica come sottoporre l’elenco dei ministri alla graziosa approvazione dell’imperatore. — E lui potrà partecipare alla riunione? — chiesi.

— No. Ma non se ne preoccupi. Penserà Rog a scusarsi per la sua… cioè la sua… assenza di fronte all’Assemblea, e chiederà d’adottare il procedimento per procura, previa approvazione. Poi leggerà il discorso del Primo Ministro Designato, discorso che Bill sta preparando ora. Chiederà a nome proprio che il Governo venga votato. Approvazione. Nessun dibattito. Altra approvazione. La seduta è aggiornata sine die… e tutti si precipitano a casa a prepararsi per la campagna elettorale, incominciando a promettere agli elettori due donne ciascuno e cento crediti in tasca ogni lunedì. Normale amministrazione. — Aggiunse: — Ah, dimenticavo. Ci sarà anche qualche membro del Partito dell’umanità che proporrà una mozione di auguri di pronta guarigione e l’invio d’un mazzo di fiori, e la mozione sarà approvata in un alone di sottile ipocrisia. I fiori, preferirebbero mandarli al funerale di Bonforte. — Aggrottò la fronte.

— Sarà davvero tutto così semplice? Cosa succederebbe se non accettassero Rog come rappresentante per procura del Primo Ministro? Pensavo che la Grande Assemblea non accettasse sostituti.

— E di solito non li accetta, quando adotta la procedura ordinaria. O ci si accorda con un deputato dell’opposizione per rimanere assenti in due, oppure ci si fa vivi e si vota. Ma la riunione di domani è una di quelle fatte apposta per far girare a vuoto gli ingranaggi del Parlamento. Se non permetteranno a Bonforte di venir rappresentato per procura, allora dovranno rimanere lì ad aspettare che lui si ristabilisca, prima di poter aggiornare i lavori sine die e di potersi dedicare alla loro ben più seria occupazione di cercare d’ipnotizzare gli elettori. Fino ad oggi, un quorum rappresentativo si è riunito quotidianamente, aggiornando ogni volta la seduta, fin dal giorno delle dimissioni di Quiroga. Questa Assemblea è più morta dello spettro di Cesare, ma per poterla affossare occorre procedere costituzionalmente.