– L'ultima cosa che abbiamo buttato lì dentro è stata un topo – spiegò il sergente in tono cordiale, – e Nove gli ha staccato la testa con un morso. Nove è sempre affamata, perché ha un metabolismo che la fa somigliare ad una fornace.

La guardia costrinse quindi Miles a passare sulla scala e a scendere di circa un metro con il semplice espediente di percuotergli le mani con un manganello finché non si fu spostato abbastanza da mettersi fuori tiro, adocchiando al tempo stesso con diffidenza il tratto di pavimento di pietra appena rischiarato che si scorgeva sotto di lui. Il resto del sotto-seminterrato era un insieme di pilastri e di ombre avvolto in un'oscurità gelida.

– Nove! – chiamò il sergente, la cui voce echeggiò a lungo nel buio. – Nove! La cena! Vieni a prenderla!

Il capo della sicurezza scoppiò a ridere con fare beffardo, poi si serrò il ventre con le mani e gemette sommessamente.

Ricordando che Ryoval aveva detto che si sarebbe occupato personalmente di lui il mattino successivo, Miles si disse che di certo le guardie si erano rese conto che il loro capo aveva inteso alludere ad un prigioniero vivo. Oppure no?

– Queste sono le segrete? – domandò, sputando un po' di sangue e scrutando intorno a sé.

– No, è soltanto una cantina – gli rispose allegramente il sergente delle guardie. – Le segrete sono per i clienti che pagano.

Sempre ridacchiando per la propria battuta, chiuse la botola con un calcio e lo scatto del meccanismo di chiusura fu seguito da un silenzio assoluto.

Il gelo delle sbarre di metallo della scala penetrava perfino attraverso i calzini di Miles, che passò un braccio intorno ad uno scalino e infilò l'altra mano sotto l'ascella per cercare di riscaldarla almeno un poco; i suoi calzoni erano stati svuotati di tutto ciò che contenevano, ad esclusione di un fazzoletto, di una barra nutritiva e delle sue gambe.

Rimase appeso sulla scala per parecchio tempo, perché salire verso l'alto era inutile e scendere appariva decisamente poco invitante; dopo un po' il violento dolore alle terminazioni nervose cominciò ad attenuarsi ma lui continuò a tenersi aggrappato alla scala nonostante il freddo sempre più intenso.

Riflettendo, si disse che le cose sarebbero potute andare anche peggio, e che il sergente e le guardie avrebbero potuto decidere di giocare a Lawrence d'Arabia e i Sei Turchi. Il Commodoro Tung, capo di stato maggiore della flotta dendarii e fanatico di storia militare, aveva preso ultimamente l'abitudine di subissarlo di aneddoti classici… come aveva fatto il Colonnello Lawrence a salvarsi da un'analoga situazione disperata? Ah, sì, aveva recitato la parte dell'idiota e si era fatto buttare fuori nel fango dai suoi catturatori. A quanto pareva Tung doveva aver fatto leggere quel volume anche a Murka.

A mano a mano che la sua vista si abituò ad essa, Miles scoprì che l'oscurità era relativa, perché pannelli vagamente luminescenti inseriti qua e là nel soffitto emettevano un malsano bagliore giallastro, e finalmente si decise a scendere gli ultimi due metri fino a venirsi a trovare sulla solida roccia.

Gli pareva già di leggere le notizie che avrebbero inviato a casa, a Barrayar… Il corpo di un ufficiale imperiale ritrovato nel Palazzo dei Sogni dello Zar della Carne. Causa della morte: sfinimento? Dannazione, questo non era il glorioso sacrificio al servizio dell'imperatore che aveva giurato di compiere in caso di necessità, questo era soltanto imbarazzante… ma forse la creatura della Casa Bharaputra avrebbe divorato ogni prova.

Con quel tetro conforto in mente cominciò a spostarsi zoppicando da un pilastro all'altro, soffermandosi di tanto in tanto per ascoltare e per guardarsi intorno; forse da qualche parte c'era un'altra scala, forse c'era una botola che qualcuno si era dimenticato di bloccare, forse c'era ancora speranza.

E forse c'era qualcosa che si muoveva nell'ombra appena oltre quel pilastro…

Miles sentì il respiro che gli si bloccava e poi riprendeva normalmente quando la traccia di movimento si rivelò per un grosso topo albino delle dimensioni di un armadillo, che nel vederlo si ritrasse e si allontanò rapidamente con gli artigli che ticchettavano sulla roccia. Si trattava soltanto di un ratto da laboratorio… dannatamente grosso ma pur sempre soltanto un ratto.

Poi un'enorme ombra fluttuante emerse dal nulla a velocità incredibile e afferrò il ratto per la coda, mandandolo a sbattere contro un pilastro e fracassandogli la testa con un orribile scricchiolio. Ci fu quindi il bagliore di un'unghia simile ad un artiglio e il bianco corpo peloso fu squarciato dallo sterno alla coda: dita frenetiche strapparono la pelle dal corpo del ratto fra spruzzi di sangue, poi Miles vide zanne aguzze mordere, lacerare e affondare nel corpo dell'animale.

Si trattava di zanne funzionali e non soltanto decorative, inserite in una mascella prognata che terminava in un'ampia bocca dalle lunghe labbra e che ricordava più il muso di un lupo che quello di una scimmia. La bocca era sovrastata da un naso piatto, da zigomi alti e da sporgenti e folte sopracciglia, i capelli erano una massa scura e arruffata, il corpo dinoccolato era un fascio di muscoli tesi alto due metri e mezzo.

Arrampicarsi di nuovo sulla scala non sarebbe servito a nulla perché la creatura avrebbe potuto afferrarlo e fargli fare la fine di quel ratto. E se si fosse alzato levitando lungo un pilastro? Oh, perché non aveva le dita delle mani e dei piedi a ventosa, qualcosa a cui il comitato bioingegneristico chissà come non aveva ancora pensato? E se invece si fosse immobilizzato, fingendosi invisibile? Alla fine Miles scelse quell'ultima soluzione per il semplice motivo che era paralizzato dal terrore.

I grossi piedi, che poggiavano nudi sulla fredda roccia, sfoggiavano anch'essi unghie simili ad artigli, ma a parte i piedi la creatura era vestita di indumenti fatti con la stoffa sterile di colore verde che si usava in laboratorio… una casacca simile ad un chimono trattenuta da una cintura e un paio di larghi calzoni. E poi c'era anche un'altra cosa.

Non lo avevano avvertito che si trattava di una femmina.

La creatura aveva quasi finito di divorare il topo quando sollevò lo sguardo e si accorse della sua presenza: con le mani e la faccia sporche di sangue si fece subito immobile quanto lui.

Con un movimento reso contratto dalla tensione Miles tirò fuori di tasca la barra nutrizionale un po' schiacciata che aveva nei calzoni e l'offrì con la mano protesa.

– Vuoi il dolce? – chiese, con un sorriso isterico.

La creatura abbandonò la carcassa del topo e gli tolse di mano la barra, strappandone la copertura e divorandola in quattro morsi; quando ebbe finito venne avanti e afferrò Miles per un braccio e per il davanti della maglietta nera, sollevandolo all'altezza della propria faccia: i piedi gli dondolavano nel vuoto e le dita munite di artigli gli premevano contro la pelle, l'alito della creatura era esattamente come lo aveva immaginato e gli occhi erano roventi.

– Acqua! – gracchiò la creatura.

Non mi avevano detto neppure che era capace di parlare, pensò Miles.

– Uh… acqua – ripeté, con voce stridula. – Certamente. Ci dovrebbe essere dell'acqua da queste parti… guarda tutti quei tubi che corrono lungo il soffitto. Se mi metti giù… brava ragazza… cercherò di trovare una conduttura dell'acqua o qualcosa del genere.

Lentamente la creatura lo abbassò fino a fargli toccare di nuovo terra con i piedi e lo lasciò andare. Miles indietreggiò piano, tenendo le mani aperte e abbandonate lungo i fianchi e schiarendosi la gola per cercare di trovare un tono di voce sommesso e suadente.

– Proviamo laggiù, dove il soffitto si abbassa, o meglio dove il fondo roccioso si alza… là vicino a quel pannello luminoso, quel sottile tubo di plastica composita… il bianco è di solito il colore usato per l'acqua. Non c'interessano i tubi grigi che indicano le fognature o quelli rossi, che corrispondono ai cavi di fibre ottiche… – Era impossibile stabilire se le sue parole venivano comprese, ma con gli animali il tono aveva un'importanza fondamentale. – Se tu… potessi sollevarmi sulle spalle come il Guardiamarina Murka, potrei tentare di allentare quella giuntura laggiù… – proseguì, mimando con i gesti nel dubbio di non essere riuscito a raggiungere l'eventuale intelligenza che si poteva celare dietro quei terribili occhi.