CAPITOLO UNDICESIMO
Era stato un errore cedere alle insistenze di Ti e lasciare che fosse lui ad attraccare sulla supernave, si rese conto Silver, quando le scosse e gli scricchiolii dell’impatto con le ganasce d’attracco riverberarono attraverso il rimorchiatore. Zara, sospesa nervosamente alle sue spalle, emise un flebile gemito. Ti ringhiò e poi riportò la propria attenzione ai comandi.
No, lei aveva commesso un errore, lasciando che la sua autorità di terricolo, maschio e con le gambe, prendesse il sopravvento sulla sua capacità di giudizio: lei sapeva che Ti non aveva il brevetto per i rimorchiatori, glielo aveva detto lui stesso. Lui sarebbe stato l’autorità solo dopo che fossero entrati nella supernave a balzo.
No, si disse con fermezza, neppure allora.
— Zara — disse, — prendi i comandi.
— Maledizione — cominciò Ti, — se tu solo…
— Abbiamo troppo bisogno di te alle comunicazioni per predisporre i comandi — aggiunse lei, sperando ardentemente che lui non respingesse quel tentativo di placare il suo orgoglio.
— Mmm. — Imbronciato, Ti cedette i comandi a Zara.
L’anello del tubo flessibile di attracco non poteva essere sigillato a dovere. Un secondo tentativo e tutti i promettenti dondolii degli auto-stabilizzatori non furono in grado di sigillare a dovere l’anello di attracco. Silver non sapeva se aver paura di morire o desiderare di poterlo fare. Aveva tutti i palmi delle mani sudati e passare la saldatrice laser da una mano all’altra, non faceva altro che rendere scivolosa l’impugnatura.
— Visto — disse Ti a Zara, — tu non hai certo fatto di meglio.
Zara gli lanciò un’occhiata rovente. — Hai piegato uno degli anelli, idiota con la patente. Farai meglio a sperare che sia il loro e non il nostro.
— L’espressione esatta è «idiota patentato» — la corresse Jon, che si dava da fare vicino al portello per cercare di chiuderlo. — Se vuoi usare la terminologia dei terricoli, almeno usa quella giusta.
— Rimorchiatore R-26 chiama supernave GalacTech D620 — disse la voce tremula di Ti al microfono. — Jon, dobbiamo staccarci e provare dall’altra parte. Questo non funziona.
— Fai pure, Ti — rispose la voce del pilota. — Sei malato? Non hai una bella voce. Come attracco è stato penoso. E di che emergenza si tratta?
— Te lo spiego quando saremo a bordo — Ti sollevò lo sguardo e ricevette un cenno di conferma da Zara. — Ci stacchiamo adesso.
Ebbero miglior fortuna con il portello di sinistra. No, rammentò di nuovo Silver a se stessa, la fortuna dipende da noi. Ed è mia responsabilità provvedere che sia buona e non cattiva.
Ti fu il primo a percorrere il tubo flessibile. Il meccanico della supernave lo attendeva dall’altra parte, e Silver ne udì la voce irata. — Gulik, hai piegato l’anello di attracco di destra. Voi teste elettrificate vi credete tutti dei geni quando siete collegati ai vostri apparati, ma quando si tratta di pilotare manualmente, tutti quanti, nessuno escluso, siete più maldestri… — e la sua voce si trasformò in un debole sibilo quando Silver volteggiò fuori dal portello e rimase sospesa in aria, con la saldatrice laser puntata decisamente contro il suo stomaco. Gli ci volle un attimo per accorgersi dell’arma. Spalancò gli occhi e aprì la bocca quando Siggy e Jon la raggiunsero.
— Portaci dal pilota, Ti — disse Silver, sperando che la paura desse un tono fermo e deciso alla sua voce, e non la rendesse invece debole e fiacca. Tutta la sua forza sembrava svanita, e le era rimasto solo un vuoto allo stomaco. Deglutì, rafforzando la presa sulla saldatrice.
— Che cosa diavolo è questo? — cominciò il tecnico, la cui voce era salita di almeno un’ottava. Si schiarì la gola e abbassò il tono. — Chi è questa… gente? Gulik, sono con te…?
Ti scrollò le spalle e gli rivolse un debole sorriso che, se non era autentico, era molto ben recitato. — Non esattamente: sono io ad essere con loro.
Rammentando la messa in scena, Siggy puntò la sua saldatrice contro Ti. Silver, quando aveva approvato il piano, aveva evitato di esporre ad alta voce i suoi dubbi. Entrare con Ti disarmato, all’apparenza sotto il tiro delle armi dei quad, era una copertura nel caso fossero stati catturati e in seguito processati. Ma al tempo stesso celava la possibilità di trasformare in realtà il suo simulato sequestro, se all’ultimo istante avesse deciso di passare dalla parte dei suoi compagni muniti di gambe. Ingranaggi dentro altri ingranaggi: tutti i capi dovevano pensare su molteplici livelli? Le faceva venire mal di testa.
In fila indiana, attraversarono la sezione equipaggio diretti alla sezione Navigazione e Comunicazione. Il pilota sedeva nel suo sedile imbottito, come se fosse un trono, con la testa infilata nell’imponente corona del casco di controllo, un cyborg regale anche se temporaneo. La tuta color porpora della Compagnia era arricchita da insegne e distintivi che proclamavano orgogliosamente il suo grado e la sua specializzazione. Aveva gli occhi chiusi e canticchiava a bocca chiusa seguendo il ritmo del biofeedback della nave.
Lanciò un grido sorpreso quando Ti azionò un comando e il casco si staccò, sollevandosi, e troncando la sua comunione con la macchina. — Dio, Ti, non fare una cosa del genere… dovresti sapere… — Un secondo grido provocato dalla vista dei quad venne inghiottito insieme alla saliva. Sorrise a Silver, completamente sbalordito, e gli occhi, dopo una sconvolta ricognizione della sua anatomia, si fissarono educatamente sul suo viso. Lei spostò la saldatrice, affinché lui la notasse.
— Si alzi da quel sedile — ordinò.
Egli si rannicchiò ancor di più contro di esso. — Senta, signora… uh… che cos’è quello?
— Un fucile laser. Fuori dalla seggiola.
Lo sguardo del pilota soppesò prima lei, poi Ti, e infine si posò sul meccanico. La sua mano corse alla fibbia delle cinghie del sedile, poi esitò. I suoi muscoli si tesero.
— Esca lentamente — aggiunse Silver.
— Perché?
Sta prendendo tempo, pensò Silver.
— Questa gente vuole prendere a prestito la tua astronave — spiegò Ti.
— Dirottatori! — sibilò il meccanico, retrocedendo al suo posto accanto al portello. Le saldatrici di Siggy e Jon si mossero nella sua direzione. — Mutanti…
— Fuori - ripeté Silver, alzando la voce senza riuscire a controllarsi.
Il viso del pilota era teso e concentrato. Spostò le mani dalla cintura e le posò sulle ginocchia, con un gesto rilassato. — E se non esco? — la sfidò senza alzare la voce.
Silver sentì che il controllo della situazione le stava sfuggendo di mano e stava passando a lui, risucchiato dalla sua superiore imitazione di freddezza. Gettò uno sguardo a Ti, ma questi si manteneva al sicuro nel suo ruolo di inerme e inutile vittima: si teneva basso, come dicevano i terricoli.
Passò un secondo, poi un altro, e un altro ancora. Il pilota cominciò a rilassarsi, trasse un profondo respiro e una luce di trionfo scintillò nei suoi occhi. Aveva scoperto il bluff; sapeva che lei non era in grado di sparare. Portò la mano verso le cinghie e ripiegò le gambe sotto di sé, cercando una spinta per lanciarsi.
Aveva provato tante volte la scena nella sua mente, che l’effettiva attuazione fu quasi una delusione. Aveva una visione che era di una chiarezza cristallina, come se lei si stesse osservando a distanza o da un altro tempo, passato o futuro. Il momento determinò la scelta del bersaglio, qualcosa su cui aveva riflettuto a lungo prima, senza giungere a una decisione; puntò la saldatrice verso un punto appena al di sotto delle ginocchia, perché dietro di queste non c’erano importanti pannelli di comando.
Premere il bottone fu sorprendentemente facile, il lavoro di un piccolo muscolo del pollice superiore destro. Il raggio fu di un azzurro spento, al punto di non costringerla neppure a battere le palpebre e una breve fiammata gialla brillò sul bordo del tessuto fuso della tuta teoricamente ininfiammabile, e poi si spense. Le sue narici fremettero all’odore della stoffa carbonizzata, più pungente di quello della carne bruciata. Poi il pilota si piegò su se stesso, urlando.