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— Vedi… c’è una sorta di regola non scritta secondo la quale la gente viene promossa al livello della propria incompetenza. Fino a questo momento credo di essere riuscito a sfuggire a questo non invidiabile traguardo. E direi che c’era riuscito anche il tuo dottor Cay. — E chi se ne frega degli scrupoli della dottoressa Yei, pensò Leo, e aggiunse: — Ma Van Atta no.

— Tony e Claire non avrebbero mai cercato di scappare se il dottor Cay fosse stato ancora vivo. — Una debole luce di speranza si stava accendendo nei suoi occhi. — Stai dicendo che tutto questo pasticcio potrebbe essere colpa di Van Atta?

Leo si agitò a disagio, pungolato da un segreto convincimento che non aveva ammesso neppure a se stesso. — La vostra… ehm… — schiavitù, questo sarebbe stato il termine da usare, — situazione sembra intrinsecamente… — sbagliata, fu la parola che gli suggerì il cervello, mentre la bocca decise altrimenti, — suscettibile di abusi e manipolazioni di ogni genere. Dal momento che il dottor Cay si era dedicato con tanta passione al vostro benessere…

— Come un padre, per noi — confermò triste Silver.

— Be’, questa, uhm, suscettibilità è rimasta latente. Ma presto o tardi è fatale che qualcuno cominci ad approfittare di essa o di voi. Se non Van Atta, allora qualcuno dopo di lui, qualcuno… — ancora peggio? Leo ne sapeva abbastanza di storia. — Molto peggio.

Silver cercò di immaginarsi qualcosa che fosse peggio di Van Atta, ma senza riuscirci. Scosse tristemente il capo e lo sollevò verso Leo: gli occhi erano come fiori mattutini che si volgevano verso il sole. Il bersaglio, colpito, si lasciò scappare un involontario sorriso.

— Cosa succederà ora a Tony e Claire? Io ho cercato di non tradirli, ma quella roba mi ha reso così intontita… per loro era pericoloso prima, e adesso è ancora peggio…

Leo tentò di rassicurarla con un tono falsamente caloroso. — Non gli succederà niente, Silver. Non lasciarti spaventare da Bruce. Non può fargli assolutamente niente, hanno troppo valore per la GalacTech. Li sgriderà, senza dubbio, e non puoi biasimarlo per questo; sarei pronto a farlo io stesso. La Sicurezza li scoverà laggiù, perché non possono essere andati lontano, si prenderanno la più grossa ramanzina della loro vita e in poche settimane tutto sarà dimenticato. Lezione imparata… — Leo si impappinò: che lezione avrebbero imparato da quel tentativo andato a monte? — … da tutti.

— Ti comporti come se… come se essere sgridati fosse una cosa da nulla.

— È un atteggiamento che viene con l’età — le spiegò lui. — Un giorno sarà così anche per te. — O forse questa particolare immunità nasceva dal potere? Improvvisamente Leo non ne era più sicuro. Ma lui non aveva nessun potere di cui valesse la pena di parlare, tranne l’abilità di costruire oggetti. La conoscenza come potere. Ma chi aveva potere su di lui? La logica si perse nella confusione ed egli abbandonò con impazienza quei pensieri. Una ruota mentale che girava a vuoto, improduttiva come le lezioni di filosofia all’università.

— Adesso non è affatto così — fu la risposta sincera di Silver.

— Senti… facciamo così. Se ti fa sentire meglio, andrò anch’io laggiù per cercare di localizzarli, così magari riuscirò a tenere le cose sotto controllo.

— Oh, lo faresti? Puoi farlo? — chiese Silver sollevata. — Nel modo in cui stavi cercando di aiutare me?

Leo avrebbe voluto mordersi la lingua. — Uh, già, qualcosa del genere.

— Tu non hai paura di Van Atta: puoi tenergli testa. — Inarcò le sopracciglia con espressione contrita. — Come vedi, in questo momento non potrei tenere testa a nessuno. Grazie, Leo. — Il suo viso aveva persino ripreso un po’ di colore.

— Uh, bene, sarà meglio che mi sbrighi se devo prendere quella navetta diretta al Porto Tre. Per l’ora di colazione li avremo riportati qui sani e salvi. Prendila in questo modo: almeno la GalacTech non tratterrà dalle loro paghe il costo del viaggio extra della navetta. — E questa battuta riuscì persino a farla sorridere.

— Leo… — la voce di lei, molto seria, lo indusse a fermarsi sulla porta. — Che cosa faremo se mai verrà qualcuno peggiore del signor Van Atta?

Non fasciarti la testa ancor prima che sia rotta, venne tentato di rispondere, evadendo la domanda. Ma non avrebbe sopportato di dire un’altra banalità del genere, per cui si limitò a sorridere, scuotendo la testa.

Il magazzino ricordava a Claire la struttura dei cristalli. Era tutto ad angoli retti, si stendeva a novanta gradi in ogni dimensione, con enormi scaffalature che si innalzavano fino al soffitto, file interminabili, corridoi che si intersecavano, bloccando non solo la vista, ma anche ogni possibilità di fuga.

Ma non c’era un posto dove fuggire. Si sentiva come una molecola disperata intrappolata negli interstizi di un cristallo di silicio, fuori posto, e tuttavia prigioniera. Al confronto, le curve morbide dell’Habitat sembravano braccia protettive.

In quel momento, erano nascosti in una delle celle vuote di una scaffalatura di due metri di lato, una delle poche che non avevano trovato occupate da provviste. Tony aveva insistito perché si arrampicassero fino alla terza fila, per sistemarsi più in alto rispetto ai terricoli che si fossero trovati a passare camminando eretti sulle lunghe gambe. Salire sulle scale poste a intervalli regolari lungo gli scaffali si era rivelato più agevole che strisciare lungo il pavimento, ma issare il sacco era stata una fatica tremenda, dal momento che la corda era troppo corta e avevano dovuto trascinarsi appresso il fagotto mentre si arrampicavano fino in cima.

Claire si sentiva nervosa. Andy aveva mostrato la capacità di spingere, e quindi di contrastare la gravità, anche se solo pochi centimetri alla volta, è vero, ma lei già si aspettava di vederlo cadere giù dal bordo. Stava sviluppando un odio profondo per i bordi.

Un elevatore a forca robotizzato passò a breve distanza ronzando. Claire si irrigidì, rifugiandosi nell’angolo più lontano del loro nascondiglio, stringendo Andy a sé e afferrando una delle mani di Tony.

— Calmati — squittì Tony. — Calmati… — e respirò a fondo in un evidente tentativo di seguire il suo stesso consiglio.

Claire scrutò sospettosa l’elevatore che si era fermato più in giù lungo il corridoio e stava ritirando una scatola di plastica dalla sua cella numerata.

— Possiamo mangiare, ora? — Aveva allattato Andy molte volte nelle ultime tre ore per tenerlo tranquillo, e si sentiva prosciugata in tutti i sensi. Il suo stomaco brontolava, e aveva la gola secca.

— Immagino di sì — rispose Tony, e prese un paio di razioni dal sacco. — E poi è meglio che cerchiamo di ritornare all’hangar.

— Non possiamo fermarci qui a riposare ancora un po’?

Tony scosse la testa. — Più aspettiamo e maggiori diventano le probabilità che ci trovino. Se non ci imbarchiamo in fretta su di una nave diretta alla Stazione di Trasferimento, c’è la probabilità che comincino a setacciare le navi a balzo dirette fuori dal sistema, e così perderemmo la possibilità di restare nascosti fino a quando non è stato superato il punto di non ritorno.

Tra squittii e borbottii, Andy cominciò ad emanare un odore familiare.

— O signore! Per piacere, tira fuori un pannolino — disse Claire a Tony.

— Di nuovo? È la quarta volta da quando abbiamo lasciato l’Habitat.

— Penso proprio di non aver portato abbastanza pannolini — disse Claire preoccupata, mentre stendeva il riquadro di carta e laminato plastico che Tony le aveva passato.

— Metà del sacco è pieno di pannolini. Non puoi… farli durare un po’ di più?

— Ho paura che abbia un po’ di diarrea. E se gli si lascia troppo a lungo il pannolino sporco addosso, la pelle si irrita, si arrossa e poi si infetta; allora lui piange e grida ogni volta che lo tocchi e cerchi di pulirlo. Grida come un ossesso — sottolineò.