Lentamente, cercando di non fare rumore, Alec girò intorno alla casa fino a raggiungere la porta posteriore. Non era chiusa a chiave. La spinse adagio. I cardini non cigolarono.
Una volta dentro, sentì provenire dal piano superiore una voce smorzata. Gli pareva quella di Douglas. Solo? Come mai era lì e non sul campo coi suoi uomini?
Alec salì i gradini a due alla volta, ma lentamente, tenendosi chino e impugnando la pistola, a scanso di sorprese. Raggiunto furtivamente il pianerottolo si diresse verso la stanza da cui proveniva la voce di Douglas.
Diede un'occhiata nelle altre stanze attraverso le porte, tutte aperte. Nessuno. Infine dopo aver inspirato ed espirato una profonda boccata d'aria aprì la porta della camera da letto ed entrò a precipizio.
La porta sbatté contro il muro mentre Alec ricadeva sui talloni, accovacciato, reggendosi in equilibrio con la pistola nella destra.
Metà stanza era ingombra di apparecchiature radio, cassette di metallo grigie e nere, con quadranti luminosi. Un groviglio di fili collegavano quell'apparente caos al cavo che scendeva serpeggiando al di sotto della finestra chiusa.
Douglas stava seduto sul letto, con un antiquato microfono stretto nel pugno poderoso. La gamba sinistra era chiusa dalla coscia al piede in un involucro di plastica. La faccia era più magra di quanto Alec non ricordasse e i capelli e la barba più grigi. Abiti e lenzuola erano spiegazzati e umidi di sudore. Sul letto al fianco di Douglas c'era una carabina con alcune scatole di munizioni sul comodino.
Per un lungo momento, Alec rimase accovacciato, immobile. Poi Douglas disse: — Be', era tempo che venissi. Cosa ti ha trattenuto?
24
— Cosa ti sei fatto alla gamba? — chiese Alec fissando suo padre.
Con aria seccata, Douglas borbottò: — Disarcionato da un maledetto cavallo. Ci crederesti? Quattro giorni fa. Ho dovuto starmene qui seduto durante tutta la battaglia cercando di dirigere le operazioni per radio. — Gettò il microfono sul letto,da cui rimbalzò con un tonfo metallico per terra.
— Avresti potuto risparmare molte vite dicendo…
— Ho già ordinato ai miei uomini di cessare il combattimento — lo interruppe Douglas. Aveva l'aria stanca, sebbene la sua voce fosse forte e imperiosa come sempre. — È quello che stavo facendo mentre tu salivi di soppiatto le scale. E puoi anche mettere via la pistola. Non ho intenzione di spararti — e indicando la carabina, — questa non è neanche carica.
Alec si avvicinò al letto, prese la carabina e l'appoggiò contro lo stipite della porta. Poi rinfoderò la pistola.
— Hai combattuto molto bene — dichiarò Douglas, ingrugnito. — Non mi aspettavo che tu fossi così bravo.
Accostando al letto l'unica sedia della stanza, Alec ribatté: — E io non mi aspettavo che tu avessi dei carri armati.
— Credevi che ti avessi fatto vedere tutto? — rise Douglas.
— E lei dov'è?
— Angela? L'ho spedita in un villaggio una settimana fa insieme alle altre donne. Tornerà, adesso che la battaglia è finita.
— E Will?
Douglas scosse la testa. — L'ultima volta che ho avuto sue notizie gli avevano ammazzato il cavallo che cavalcava. Ma non preoccuparti per lui. Russo ha la fortuna dalla sua.
Dopodiché non rimase altro di cui parlare. Molte erano le cose da dire, ma niente di cui parlare.
Fu Douglas a rompere il silenzio. — Così hai vinto.
— Già.
— E adesso cosa ti proponi di fare?
Alec guardò fuori dalla finestra, poi tornò a fissare il viso stanco di suo padre. — Sono venuto per i missili. Li porterò sulla Luna.
— Sai dove si trovano?
— Me l'hai mostrato tu, non ricordi?
— Oh… Sì, è vero. Non…
— Sta andandoli a prendere Kobol con una squadra specializzata.
— Kobol? Hmmm.
— Ti condanneranno a morte — sbottò Alec. — Sei un traditore.
— Me l'immaginavo — disse Douglas senza scomporsi. — Se non fosse stato per questa dannata gamba non sarebbe stato tanto facile catturarmi.
— Kobol ha intenzione di sposare mia madre — mentre lo diceva, Alec si rese conto che era vero. Lo sapeva da sempre ma si era sempre rifiutato di crederci.
— Kobol? Benone! Tempo un anno e lo servirà a fettine su un piatto d'argento. Sono degni l'uno dell'altra.
Alec fremeva.
— Non fare lo stupido — gli disse suo padre. — Kobol le faceva la corte anche quando io ero ancora lassù. E lei lo incoraggiava. Questo è uno dei motivi per cui me ne sono andato. Era evidente perfino a me.
— Ti aspetti che ti creda?
— Non me ne frega niente se ci credi o no — rispose Douglas con un sorriso amaro. — Io ho terminato quello che mi ero proposto di fare. Il mio lavoro è finito. Il tuo è appena cominciato.
— Come? Cosa vuoi dire?
Prima che Douglas avesse il tempo di rispondere tre autoblindo si fermarono sferragliando davanti alla casa e si sentì il vocìo di parecchi uomini. Uno sbattere di porte. Passi pesanti sulle scale.
Jameson entrò nella stanza puntando il fucile. — Tutto bene? — chiese ad Alec.
Alec annuì e si alzò. — Questo è Douglas Morgan — disse. — Fa' sorvegliare questa casa. Nessuno deve uscire senza il mio permesso. Installerò il mio quartier generale nella prima casa di questa via, dove è parcheggiata la mia autoblindo.
— Va bene — disse Jameson.
— Immagino che il condannato abbia diritto a un pasto, stasera — disse Douglas.
Alec non aveva più il coraggio di guardarlo in faccia. — Provvedi tu — disse a Jameson.
Poi lasciò suo padre seduto sul letto, circondato da sconosciuti armati.
Alec cenò da solo nella casa di Angela. Era il primo pasto caldo da parecchi giorni. Aveva quasi finito quando Kobol entrò a precipizio in cucina.
— Li abbiamo presi! — gracchiò spingendo da parte la guardia di sentinella davanti alla porta.
Alec lo guardò. Era stanchissimo, mentre Kobol era giubilante, poco mancava che si mettesse a ballare.
— Li abbiamo presi! — ripeté Kobol. — Ne avremo per almeno cinquant'anni!
— E dopo?
Kobol rimase interdetto. Il suo sorriso trionfante cominciò ad appannarsi. — Cosa vuoi dire?
Alec cominciava a capire almeno in parte quello che gli aveva detto tempo prima Douglas — E dopo? Cosa ne sarà della colonia fra cinquant'anni?
— Be', ne troveremo degli altri. Cinquant'anni sono tanti. Che senso ha preoccuparsi ora, in questo momento!
— No — rispose Alec. — No, hai ragione.
— Ordinerò che un paio di navette vengano qui a prenderli domattina all'alba. Possono atterrare all'aeroporto di questa base.
— D'accordo.
— E voglio che sia imbarcato anche Douglas. Lo stanno aspettando.
Alec respinse il piatto ancora mezzo pieno e si alzò. — No.
— No? Come sarebbe a dire?
— Ho detto "no". Tu non riporterai Douglas sulla Luna. Penseremo a lui noi, qui. Me ne occuperò io.
— No, non lo farai — dichiarò con durezza Kobol. — Finora hai fatto a modo tuo ma è venuto il momento di renderti conto che io sono un membro del Consiglio, e ho l'ultima parola nel…
Alec sfoderò la pistola. — Martin, puoi portare i materiali sulla Luna e tornarci anche tu domani. Io verrò tra poco. Ma Douglas resta qui. Ha scelto di vivere sulla Terra e qui sarà sepolto. Se vuoi essere sepolto anche tu qui, basta che tu dica ancora una sola parola. — La voce di Alec era sommessa come il ronron di un leopardo. — Una parola sola, tutto qui.
Kobol aprì la bocca ma non ne uscì nessun suono. Poi la richiuse con uno schiocco percettibile dei denti. Era pallido di rabbia e di paura.
— Bene — concluse Alec indicando la porta con la pistola. — E adesso vattene a fare quel che devi fare. Lascia Douglas a me. E tieni le mani lontano da mia madre fino al mio ritorno. Non dimenticare che anche lassù puoi essere ucciso facilmente come qui.