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Mentre la battaglia si andava attenuando nel suo settore, Alec ordinò al conducente di risalire sulla cresta dietro cui erano comparsi i carri armati. Da quella posizione elevata ebbe modo di seguire l'andamento degli scontri e diramare direttamente ordini via radio ai vari reparti.

I laser delle sue autoblindo ebbero ben presto ragione dei mezzi più leggeri di Douglas, che poco dopo cominciarono a ritirarsi, ordinatamente in alcuni punti, in rotta disordinata in quelli dove divampavano gli incendi appiccati dai laser.

Non era un bello spettacolo. Alec si rese conto dell'entità delle perdite. L'odore della morte arrivava fin lassù: lezzo di carne bruciata, fumo acre degli esplosivi e di olio lubrificante.

Il frastuono era incessante, nonostante gli spessi auricolari: le esplosioni punteggiavano l'ininterrotto crepitìo delle armi automatiche, e le grida e i lamenti e tutti i suoni umani arrivavano talmente alterati e distorti da essere irriconoscibili.

Alec smontò dal seggiolino e si piazzò sull'affusto del laser. Gli tremavano le ginocchia, aveva la vista annebbiata.

È per questo che sono venuto, si disse mentre osservava migliaia di uomini che cercavano di uccidersi a vicenda. Questo è lo scopo a cui mirava la mia vita. Afferrò il binocolo appeso al collo e fece per portarselo agli occhi, ma esitò: e se vedessi laggiù il cadavere di Will?

La voce calma, fredda di Jameson lo riportò bruscamente alla realtà. — In questo settore il nemico è in rotta. Non combatte più.

— Va bene — rispose Alec cercando di non tradire l'emozione. — Lascia perdere gli sbandati. Lasciali andare. Punta sulla base cercando di raggiungerla prima che riescano a organizzare la difesa. Ti raggiungerò da questa parte.

— Controllo. E Kobol con la sua squadra speciale?

— Seguirà il mio reparto. Non c'è altro. Muoviti fra cinque minuti al massimo.

— Ci stiamo già muovendo.

Alec fece un rapido controllo con gli altri comandanti di settore. La battaglia si stava sgretolando in una serie di piccole schermaglie. Adesso le truppe di Douglas lottavano per la sopravvivenza, cercando di scappare e di non restare sul campo. Alec ordinò a tutti i comandanti di ignorare i reparti in ritirata e di offrire la resa a quelli che continuavano ancora a combattere. Poi ordinò a metà dei suoi reparti di avanzare a tutta la velocità verso la base di Douglas.

Mentre la sua autoblindo scendeva sobbalzando il pendio per mettersi a capo di una colonna che si stava formando, Alec impartì via radio gli ordini a Kobol, in attesa alla base di partenza.

— Adesso? — rispose Kobol sorpreso. — Stai già puntando sulla base?

— Sì — rispose Alec mentre il suo mezzo si faceva strada tra le altre autoblindo e le jeep che stavano radunandosi ai piedi della collina. — Abbiamo sbaragliato il grosso delle truppe di Douglas. Adesso non resta da fare che un bel repulisti — e fra sé aggiunse: a meno che Douglas non abbia un altro asso nella manica.

Kobol borbottò qualcosa che voleva essere una frase di congratulazioni e promise di muoversi subito.

— Tienti alla larga dagli avamposti — gli raccomandò Alec. — Sono ancora presidiati dal nemico. Non è improbabile che abbiano intenzione di scaricarti addosso tutte le munizioni che gli rimangono.

Prima che Kobol potesse rispondere, Alec chiuse la comunicazione sorridendo fra sé.

È troppo facile, continuava a pensare mentre correvano verso la base di Douglas. Ma di quali altre risorse può disporre? Ha impiegato molti più uomini di quanti ne abbia mai visti alla base. Non può averne altri di riserva.

Mentre procedevano a tutta velocità sul campo di battaglia, fra carri armati e autoblindo bruciate, corpi straziati e gementi, cadaveri maciullati, crateri di bombe, sull'erba viscida di sangue, Alec cominciò a rendersi conto che dopo tutto non era stata una cosa facile. Rapida, sì, ma non facile.

Ordinò al conducente dell'autoblindo di dirigere su una strada, e la colonna lo seguì. La strada era uno di quei sentieri in terra battuta su cui aveva più volte cavalcato insieme a Will Russo. Si snodava ai piedi delle ultime colline, e dopo essersi inoltrata in un folto di aceri e betulle terminava in vista delle prime case.

La colonna di autoblindo e jeep si aprì a ventaglio sul terreno ondulato coperto d'erba. I laser fusero senza difficoltà la rete metallica del recinto interno. Le torri di guardia erano abbandonate. Alec scrutò col binocolo la base mentre varcavano i resti ancora fumanti della recinzione. Poche persone correvano lungo le strade per mettersi al riparo nelle case.

Jameson riferì: — Ci troviamo a meno di un chilometro dall'estremità ovest della base. Nessuna resistenza. Scarsi segni di vita.

— Rallenta — ordinò Alec. — Procedi con cautela, ma continua ad avanzare. Non voglio che ci siano vittime fra i civili. Specialmente le donne. — Trasse dalla tasca della giubba una mappa disegnata a mano e disse a Jameson quali erano gli edifici che i suoi uomini dovevano occupare. — Fate uscire i difensori e radunateli sulle piste del vecchio aeroporto.

— D'accordo — rispose Jameson.

Alec impartì gli stessi ordini agli altri comandanti. Era preoccupato perché non sapeva per quanto tempo ancora l'accozzaglia di uomini ai suoi comandi avrebbe mantenuto la disciplina. Fece dirigere la sua autoblindo verso la fila di case dove abitavano Will, Douglas e Angela, e mentre il veicolo avanzava sobbalzando solitario in mezzo agli edifici, si rese conto di costituire un bersaglio ideale per i cecchini che potevano esserci nascosti.

E sparate! disse silenziosamente ai nemici. Non avrete mai un'occasione migliore.

Ma nessuno sparò. In quella parte della base non c'era il minimo segno di vita. Le case parevano tutte disabitate, e mentre imboccava la via verso cui era diretto, Alec pensò: Se ne sono andati tutti. Sono stato uno sciocco a credere che potessero essere ancora qui.

Ordinò al conducente di fermarsi davanti alla casa di Angela e saltò a terra, con la pistola che gli pendeva dal cinturone, l'elmetto in testa. Rammentando la notte in cui se n'era andato, pensò che non aveva mai immaginato un simile ritorno da conquistatore che occupa il campo abbandonato dal nemico.

La casa era vuota. Il focolare freddo. Tutto era polveroso, e aveva un'aria di abbandono come se nessuno ci vivesse da settimane, forse da mesi.

Cupo in viso, uscì, e si diresse verso la casa di Douglas. Sapeva che era una speranza assurda, eppure…

A una decina di passi dalla casa, si fermò di colpo, irrigidendosi. Un ronzio meccanico, debole ma inconfondibile, simile al rumore dell'affusto di un cannone che ruota in direzione del bersaglio, l'aveva costretto ad arrestarsi. Si scostò dal marciapiedi per addossarsi alla siepe che correva intorno alla casa, e con una mano sull'impugnatura della pistola scrutò con cura la strada apparentemente deserta.

Niente.

Poi il rumore si ripeté, alle sue spalle. Alec si girò di scatto, abbassandosi ed estraendo contemporaneamente la pistola. Ancora niente in vista. Pure qualcosa c'era. Qualcosa di diverso nella casa, qualcosa che prima non c'era.

Scorse un luccicore con la coda dell'occhio: un'asta di metallo inchiodata alla bell'e meglio al muro, sulla cui sommità si ergeva un'antenna di fortuna, nuova, ancora lucida ai raggi del sole al tramonto. Un cavo scendeva dall'antenna ed entrava in una finestra del primo piano.

L'antenna ruotò producendo un ronzio metallico mentre il suo motorino elettrico la muoveva.

Alec staccò la mano dall'impugnatura della pistola e ordinò a se stesso di smettere di tremare. Poi chiamò per radio il conducente della sua autoblindo, sempre ferma davanti alla casa di Angela e, parlando sottovoce, gli ordinò: — Chiama Jameson e digli di portare qui una squadra. Immediatamente.

— Signorsì.