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Un calamaro. Grande come un autobus.

La regina fa uscire un tentacolo chiaro e tocca il calamaro nel mezzo. Il gioco delle macchie rosse si ferma.

Cosa sta succedendo?

Karen non riesce a distogliere lo sguardo. Davanti a lei, brillano banchi di plancton; sembra neve, solo che cade dal basso verso l'alto. Le passa davanti un banco di calamari degli abissi con gli occhi sulle antenne, di un verde che sembra una luce al neon. Il blu infinito è solcato da lampi che si perdono là dove la luce non può più raggiungere Karen.

Lei guarda e guarda.

È troppo.

Non regge più. Sente che il batiscafo ricomincia a sprofondare verso la luna luminosa. Si sta di nuovo avvicinando a quel mondo spaventosamente bello e spaventosamente sconosciuto, stavolta senza possibilità di sfuggirgli.

No. No!

Chiude rapidamente l'abitacolo ancora aperto e ci pompa dentro l'aria compressa. Il sonar indica cento metri dal fondo, in diminuzione. Karen esamina la pressione interna, l'ossigeno, il carburante. Tutto a posto. I sistemi lavorano. Fa uscire gli alettoni laterali e accende le eliche. Il batiscafo comincia a salire, prima lentamente, poi in modo sempre più veloce. Sfugge al mondo sconosciuto sul fondo del bacino di Groenlandia e tende verso il cielo del suo mondo.

Ritorna alla terra.

Nella sua vita, Karen non aveva mai vissuto tante emozioni in così poco tempo. Ha la testa piena di domande. Dove sono le città degli yrr? In cosa consiste la loro biotecnologia? Come generano lo scratch? Cos'ha davvero visto di quella civiltà? Cosa le hanno permesso di vedere? Tutto? O niente del tutto? Era una città galleggiante?

O solo un posto di guardia?

Cosa vedi? Cos'hai visto?

Non lo so.

Spiriti

Su, giù. In alto, in basso.

Noia.

Le onde sollevano il Deepflight e lo fanno ricadere. Su e giù. In alto, in basso. Dopo essere partita dal fondo del bacino, ormai Karen galleggia in superficie. Si sente come su un ascensore schizofrenico. Su, giù. Su, giù. Onde alte, ma regolari. Raramente una cresta che si rompe, una vera monotonia. Viene trascinata in un movimento costante di grigie montagne digradanti.

Aprire la cupola sarebbe troppo pericoloso. Il Deepflight si riempirebbe all'istante. Quindi non può far altro che stare coricata e guardare fuori, nella speranza che prima o poi il mare si calmi. Ha ancora un po' di carburante. Non abbastanza per arrivare fino in Groenlandia o alle Svalbard, ma nelle vicinanze sì. Finché fosse durata la tempesta, lei avrebbe risparmiato le riserve. Non voleva viaggiare contro i cavalloni e non voleva più immergersi. Sarebbe ripartita non appena il mare si fosse calmato. Non importava dove sarebbe arrivata.

Non sa cos'ha vissuto davvero. Tuttavia, se la forma di vita degli abissi è arrivata alla conclusione che gli uomini hanno qualcosa in comune con gli yrr, fosse anche solo l'odore, i sensi potrebbero aver sconfitto la ragione. Allora l'umanità avrebbe guadagnato tempo. Un credito ripagabile con la buona volontà, le intenzioni e i fatti. Un giorno, gli yrr arriveranno a un nuovo accordo — perché la loro origine e il loro sviluppo, tutto il loro progresso si basa sull'accordo — e decideranno se c'è ancora posto per l'umanità.

Karen non vuole pensare ad altro. Non a Sigur Johanson, non a Samantha Crowe e a Murray Shankar, non ai morti, a Sue Oliviera, ad Alicia Delaware, a Jack Greywolf. Non a Salomon Peak, a Jack Vanderbilt, a Luther Roscovitz. A nessuno, neppure a Judith Li.

Non a Leon, perché pensare significa provare paura.

E invece ci pensa.

Si presentano l'uno dopo l'altro, come se arrivassero a un party, prendono posto nella sua testa e si mettono comodi.

«La nostra ospite è deliziosa», dice Johanson. «Ma di certo non ha a bordo del vino di qualità.»

«Che ti aspetti su un batiscafo?» ribatte seccamente Sue. «Un'enoteca?»

«Certe cose si devono esigere.»

«Accidenti, Sigur.» Anawak scuote la testa, ridendo. «Dovresti congratularti con lei. Ha appena salvato il mondo.»

«Lodevole.»

«Cos'ha salvato?» chiede Samantha Crowe. «Il mondo?»

Silenzio imbarazzato.

«Siamo sicuri? Proprio il mondo?» Alicia Delaware sposta il chewing-gum da una guancia all'altra. «Per il mondo è assolutamente indifferente correre nell'universo con noi o senza di noi. Posiamo salvare o distruggere solo il nostro mondo.»

«Augh!» Greywolf inclina il capo.

Anawak è d'accordo. «All'atmosfera non interessa se per noi è respirabile o no. Se l'uomo cessa di esistere, crolla anche il sistema di valori umani. E poi uno stagno ribollente di zolfo è bello come la luce del sole a Tofino.»

«Molto toccante, Leon», afferma Johanson. «Beviamo il vino della ragione. L'umanità è di fatto su un ramo in declino. Copernico ha cacciato la Terra dal centro dell'universo, Darwin ci ha tolto dalla testa la corona della creazione, Freud ha mostrato che la ragione umana naufraga nell'inconscio. Fino a poco tempo fa eravamo anche le uniche intelligenze organizzate su questo pianeta, e ora arrivano inquilini di più lunga data e ci sloggiano.»

«Dio ci ha abbandonati», polemizza Sue.

«No, non del tutto», obietta Anawak. «Karen ha ottenuto una dilazione per tutti noi.»

«Ma a che prezzo!» Johanson s'intristisce. «Alcuni di noi sono morti.»

«Una piccola perdita», ironizza Alicia.

«Non far finta che non te ne importi.»

«Cosa vuoi che ti dica, mi sento molto valorosa. Quando vedi storie del genere al cinema, sono sempre i vecchi a morire, mentre i giovani sopravvivono.»

«È così perché siamo scimmie», dichiara Sue, asciutta. «I geni vecchi cedono il posto a quelli più giovani, più sani, che garantiscono una riproduzione ottimale. Non può che essere così.»

«Anche al cinema», conferma Samantha. «Se sopravvivono i vecchi, e i giovani muoiono, il pubblico protesta sonoramente. Per La maggioranza delle persone non sarebbe un lieto fine. Da non credere, eh? Anche una cosa profondamente romantica come il lieto fine deriva da necessità biologiche. Altroché libero arbitrio. Qualcuno ha una sigaretta?»

«Niente vino, niente sigarette», dice Johanson malizioso.

«Dovete guardare il lato positivo», interviene Murray Shankar con la sua voce dolce. «Gli yrr sono un mostro e il mostro ci ha superato. Voglio dire, King Kong, lo squalo bianco… I mostri devono morire. L'uomo che è sulle tracce del mostro lo guarda con stupore e lo ammira, si lascia ammaliare dalla sua stranezza e lo uccide. Vogliamo davvero questo? Noi ci siamo lasciati ammaliare da scratch, dalla stranezza, dall'ignoto, ma a che scopo? Per cacciarlo dal mondo? Perché dovremmo uccidere un mostro?»

«Perché l'eroe e l'eroina possano baciarsi e dare vita a una noiosissima discendenza», grugnisce Greywolf.

«Va bene!» Johanson si batte il petto. «E anche lo scienziato vecchio e saggio deve morire per far piacere a dei borghesucci senza cervello il cui unico merito è quello di essere giovani.»

«Grazie», ironizza Alicia.

«Non mi riferivo a te.»

«Buoni, bambini.» Sue solleva le mani. «Organismi unicellulari, scimmie, mostri, uomini, sono sempre la stessa cosa. Sono tutte biomasse. Non c'è motivo di agitarsi. La nostra specie si presenta in maniera diversa non appena la si osserva al microscopio, oppure la si descrive con concetti biologici. L'uomo e la donna diventano maschietti e femminucce, lo scopo vitale primario del singolo è procurarsi il cibo, mangiare diventa divorare…»

«Il sesso, l'accoppiamento…» esclama Alicia, divertita.

«Giustissimo. Chiamiamo guerra la decimazione della specie e, nel peggiore dei casi, la minaccia della sua stessa esistenza, e così non dobbiamo continuare a sentirci responsabili della nostra stupidità, perché possiamo dare la colpa ai geni e all'istinto.»

«Istinto?» Greywolf cinge con un braccio Alicia. «Nulla in contrario.» Compare un sorriso appena accennato, diventa ammiccante e poi assume una piega che lo rende premuroso.