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«La parte che abbiamo visto dovrebbe essere grande dai dieci ai dodici metri quadrati.»

«Quella che abbiamo visto!» Tina fece una pausa. «La luminosità ai margini induce a pensare che probabilmente quella che abbiamo visto non era la parte più grande.»

A Johanson venne un'idea. «Potrebbe essere una massa di pLancton. Microrganismi. Ce ne sono di luminosi…»

«E come spieghi il disegno?» domandò Tina.

«Le linee chiare? Un caso. Siamo noi a credere che sia un disegno. Abbiamo pensato che anche i canali di Marte formassero un disegno.»

«Io non credo che sia plancton», disse lei.

«Quello che vediamo non è così chiaro.»

«E invece sì. Guarda un'altra volta.»

Tina aprì le immagini successive. L'oggetto si ritirava sempre più nell'oscurità. In effetti, si era visto per poco più di un secondo. Il secondo e il terzo ingrandimento mostravano ancora la macchia debolmente luminescente. Ma, nel corso della sequenza, sembrava che la posizione delle linee fosse cambiata. Nella quarta, le linee erano sparite del tutto.

«Ha spento la luce», mormorò lui, sbalordito. Poi rifletté. Alcune specie di polpi comunicavano attraverso la bioluminescenza. Non era così insolito che un animale, in caso di pericolo, spegnesse, per così dire, l'interruttore e sparisse nell'oscurità. Ma quell'animale era grandissimo. Molto più grande di qualsiasi specie conosciuta di piovra. L'inevitabile conclusione non gli piaceva affatto. Non si trattava di un essere originario del margine continentale norvegese. «L'Architeuthis», disse.

«Il calamaro gigante», confermò Tina. «È la prima cosa che viene in mente. Ma la sua presenza non è mai stata segnalata in queste acque.»

«Sarebbe la prima volta che vediamo quell'essere vivo.»

Non era del tutto vero. Da molto tempo circolavano storie incredibili sugli Architeuthis. Come prova della loro esistenza, erano stati addotti alcuni cadaveri, giunti a riva. Una prova non decisiva, perché la carne del calamaro era come gomma. Più la si tirava, più si allungava, soprattutto nella fase di decomposizione. Pochi anni prima, a ovest della Nuova Zelanda, nelle reti dei ricercatori erano finiti alcuni giovani animali, il cui profilo genetico non lasciava dubbi: nel giro di diciotto mesi, si sarebbero trasformati in calamari giganti, lunghi fino a venti metri e pesanti fino a dieci quintali. Però nessun essere umano aveva mai visto vivo uno di quegli animali. L'Architeuthis viveva negli abissi ed era impossibile dire se fosse luminoso. Johanson corrugò la fronte. Poi scosse la testa. «No.»

«Che cosa, no?»

«Ci sono troppi elementi contrari. Questa non è la zona dei calamari giganti.»

«Certo, ma…» Tina agitò le mani. «In realtà non sappiamo dove vivono. Non sappiamo nulla.»

«Non vivono in questa zona», insistette lui.

«Neppure i vermi dovrebbero essere qui», precisò Tina.

Vi fu un momento di silenzio.

«E se anche fosse?» riprese infine Johanson. «Gli Architeuthis non sono aggressivi. Di che vi preoccupate? Fino a oggi non c'è stato un solo uomo aggredito da un calamaro gigante.»

«I testimoni non la pensano così.»

«Oddio, Tina! È possibile che abbiano seguito qualche barca. Ma. non è il caso di mettersi a discutere sulla minaccia rappresentata dai calamari giganti per l'estrazione petrolifera. Devi ammettere che è ridicolo.»

Tina osservò scettica l'ingrandimento della fotografia. Poi chiuse il file. «Okay, hai qualcosa per me? Qualche risultato?»

Johanson tirò fuori la busta e l'aprì. Dentro c'era una spessa mazzetta di fogli, fittamente stampati.

«Santo cielo», si lasciò sfuggire lei.

«Aspetta, dovrebbe esserci un riassunto. Ah, eccolo!»

«Fammi vedere.»

«Un attimo.» Lui scorse il rapporto.

Tina si alzò e andò alla finestra. Poi si mise a camminare avanti e indietro. «Su, dimmi qualcosa», sbuffò.

fohanson aggrottò la fronte e sfogliò il plico. «Hmm, interessante.»

«Sputa il rospo», insistette lei.

«Confermano che si tratta di policheti. E, benché loro non siano propriamente tassonomi, scrivono di essere arrivati alla conclusione che il verme presenta sorprendenti somiglianze con la Hesiocaeca methanicola. Data questa circostanza, si meravigliano per la mascella così pronunciata e poi scrivono… Qui si fa più particolareggiato… Ah, ecco. Hanno esaminato le mandibole. Molto potenti e indubbiamente pensate per trivellare e scavare.»

«Fin lì c'eravamo arrivati anche noi», esclamò Tina, impaziente.

«Aspetta. Hanno fatto anche altri esami. Analisi della composizione degli isotopi stabili e la spettrometria di massa. Oh! Il nostro verme è leggero, meno novanta per mille.»

«Potresti esprimerti in maniera comprensibile?» chiese Tina.

«È proprio metanotrofo. Vive in simbiosi coi batteri che decompongono il metano. Come posso spiegartelo? Allora, gli isotopi… Sai cosa sono gli isotopi?»

«Sono atomi di un elemento chimico con lo stesso numero atomico, ma un diverso numero di massa.»

«Molto bene. Ma andiamo oltre. Per esempio, il carbonio esiste con diversi pesi. C'è il carbonio 12 e il carbonio 13. Se mangi qualcosa in cui c'è prevalenza di un carbonio più leggero, quindi un isotopo più leggero, anche tu sarai più leggera. Chiaro?»

«Se mangio qualcosa, sì. Logico.»

«E nel metano c'è un carbonio molto leggero. Se il verme vive in simbiosi coi batteri che mangiano questo metano, allora i batteri diventano più leggeri, e, se il verme li mangia, anche lui diventa leggero. E il nostro è molto leggero», proseguì lui.

«Voi biologi siete davvero ridicoli. Come fate a scoprire queste cose?»

«Facciamo cose terribili. Secchiamo il verme e lo trituriamo fino a ottenere polvere di verme e poi lo ficchiamo nella macchina di misurazione. Andiamo avanti: microscopio elettronico a scansione lineare… Hanno colorato il DNA… una procedura molto approfondita…»

«Piantala!» Tina gli si avvicinò e gli strappò i fogli di mano. «Non voglio un trattato accademico, voglio capire se possiamo trivellare o no.»

«Potete…» Johanson riprese i fogli e lesse le ultime righe. «Fantastico!»

«Che cosa?»

Lui sollevò la testa. «Queste bestie sono piene di batteri. Dentro e fuori. Endosimbionti ed esosimbionti. Sembra che i tuoi vermi siano un vero e proprio autobus per i batteri.»

Tina lo guardò, sconcertata. «E questo che vuol dire?»

«È un controsenso. Il tuo verme vive indubbiamente negli idrati di metano. Quasi scoppia di batteri. Non dovrebbe andare a caccia e scavare buchi. Se ne dovrebbe stare sdraiato sul ghiaccio, bello grasso e bello pigro. E invece possiede mandibole giganti per scavare e le orde che arrivano dalla scarpata mi sembrano tutt'altro che pigre e grasse. Anzi mi sembrano particolarmente vivaci.»

Rimasero di nuovo in silenzio per un po'. Infine Tina domandò: «Che cosa fanno laggiù, Sigur? Che razza di animali sono?»

«Non lo so», rispose Johanson. Forse sono davvero arrivati direttamente dal Cambriano. Non ho idea di che cosa ci facciano laggiù.» Esitò. «Non so neppure se la loro presenza abbia importanza. Che possono mai fare? Rotolano, sì, ma è poco probabile che si mettano a rosicchiare gli oleodotti.»

«E allora cosa rosicchiano?»

Johanson fissò il riassunto delle analisi. «Ci sono altri scienziati che potrebbero darci ulteriori informazioni. Se anche loro non ci sanno dire nulla, allora non ci resta che aspettare e scoprirlo di persona», disse.

«Preferirei non dover aspettare.»

«Bene. Mando loro qualche esemplare.» Johanson si stiracchiò, sbadigliando. «Forse avremo fortuna e verranno a dare un'occhiata con la nave oceanografica. In un caso o nell'altro, devi pazientare un po'. Per il momento non possiamo fare nulla. Per questo, se sei d'accordo, ora vorrei fare colazione e dare qualche buon consiglio a Kare Sverdrup.»

Tina sorrise. Ma non sembrava particolarmente soddisfatta.