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Opposthe Thern. Nevica neserem*). Non si può viaggiare. Abbiamo viaggiato per quasi un mezzo-mese, il sonno ci fa bene.

Ottermenbod Thern. Nevica neserem. Dormito abbastanza. Ai mi ha insegnato un gioco terrestre, che si gioca su quadrati con dei sassolini, chiamato «go». Un gioco difficile ed eccellente. Come mi ha fatto notare Ai, ci sono sassi a sufficienza qui, per giocare a «go».

Lui sopporta il freddo piuttosto bene, e se il coraggio fosse sufficiente starebbe nel gelo come un verme delle nevi. È strano vederlo infagottato con hieb e soprabito, con il cappuccio calcato sulla testa, quando la temperatura è al di sopra dello zero; ma quando usiamo la slitta, se il sole è visibile e il vento non è troppo pungente, ben presto si toglie il soprabito e suda come uno di noi. Dobbiamo arrivare a un compromesso, per il calore interno della tenda. Lui vorrebbe tenerlo al massimo, io al minimo, e quello che è comodo per ciascuno di noi provocherebbe la polmonite all'altro. Arriviamo a mezza misura, e lui trema, quand'è fuori dal suo sacco a pelo, mentre io sto a bollire nel mio; ma considerando da quali distanze ci siamo riuniti, per dividere questa tenda per un poco, ci comportiamo abbastanza bene.

Getheny Thanern. Sereno dopo la tormenta, vento caduto, il termometro indica circa 8° per tutta la giornata. Siamo accampati sul pendio occidentale, in basso, del più vicino vulcano: il Monte Dremegole, sulla mia mappa di Orgoreyn. Il suo compagno, dall'altra parte del fiume di ghiaccio, si chiama Drumner. La mappa è di pessima fattura; c'è una grande vetta, visibile a occidente, che non appare affatto sulla carta, e le proporzioni sono tutte falsate. Gli Orgota, evidentemente, non vengono spesso alle loro Colline di Fuoco. In effetti, non ci sono molti motivi che li possano indurre a venire qui, se non la grandiosità. Abbiamo viaggiato per undici miglia, oggi, lavoro difficile: solo roccia. Ai sta dormendo. Io mi sono ferito il tendine del calcagno, tirando come uno stupido quando il mio piede è rimasto preso tra due macigni, e ho zoppicato per tutto il pomeriggio. Una notte di riposo dovrebbe guarirmi. Domani dovremmo discendere sul ghiacciaio.

Le nostre provviste di cibo sembrano calate in maniera allarmante, ma è perché abbiamo mangiato tutta la roba più ingombrante. Avevamo tra le novanta e le cento libbre di cibo normale, metà del quale nel carico che ho rubato a Turuf; sessanta libbre di questo se ne sono già andate, dopo quindici giorni di viaggio. Ho cominciato con il gichy-michy al ritmo di una libbra al giorno, risparmiando due sacchetti di kadik, dello zucchero, e un cestino di pesci essicati per variare un po' la dieta, in seguito. Sono lieto di essermi liberato della roba pesante presa a Turuf. La slitta è molto più leggera.

Sordny Thanern. Sui dieci gradi; pioggia ghiacciata, vento che soffia dal fiume di ghiaccio come aria in una galleria. Accampati a un quarto di miglia dal bordo, su una lunga costa piatta di neve granulosa. La discesa dal Dremegole è difficile e ripida, su roccia spoglia e campi di sassi: il bordo del ghiacciaio è tutto un crepaccio, e così sporco di rocce e pietrisco rimasti nel ghiaccio, che anche là abbiamo provato a condurre la slitta con le ruote. Prima che avessimo percorso cento metri, però, una ruota si è spezzata, e l'asse si è piegato. Da allora, usiamo solo i pattini. Abbiamo percorso solo quattro miglia, oggi, ancora nella direzione sbagliata. Il ghiacciaio efferente sembra distendersi lungo un'ampia curva, a ovest, fino all'altopiano del Gobrin. Qui, tra i vulcani, è ampio circa quattro miglia, e non dovrebbe essere un cammino troppo disagevole più avanti, verso il centro, benché i crepacci siano di numero superiore a quello che avevo sperato. E la superficie è coperta di detriti, e cedevole in certi punti.

Drumner è in eruzione. Passandosi la lingua sulle labbra, si sente un sapore di fumo e di zolfo. Una massa tenebrosa, livida, ha gravato per tutto il giorno a ovest, anche sotto le nubi di pioggia. Di quando in quando ogni cosa, nubi, pioggia gelata, ghiaccio, aria, diventano di un rosso sanguigno, livido, che impallidisce lentamente fino a diventare grigio. Il ghiacciaio trema un poco, sotto i nostri piedi.

Eskichwe re mir Her ha ipotizzato che l'attività vulcanica, nel Nord-Ovest di Orgoreyn e nell'Arcipelago, sia stata in continuo aumento durante gli ultimi dieci o venti millenni, e la sua ipotesi prevede la fine del Ghiaccio, o almeno una recessione, e un periodo interglaciale. L'anidride carbonica liberata dai vulcani nell'atmosfera servirà, con il trascorrere del tempo, come un isolante, trattenendo a lungo l'energia calorifica rifratta dalla terra, permettendo però al diretto calore solare di entrare, senza subire perdite o diminuzioni. La temperatura media del mondo, afferma, alla fine salirà di circa diciotto gradi, raggiungendo i 36°. Sono felice di sapere che, quando questo accadrà, io non sarò presente. Ai afferma che teorie analoghe sono state proposte da studiosi terrestri, per spiegare l'ancora incompleta recessione della loro ultima Era dei Ghiacci. Tutte queste teorie rimangono ampiamente irrefutabili e indimostrabili; nessuno sa con certezza perché il ghiaccio venga, perché se ne vada. La Neve dell'Ignoranza rimane immacolata.

Al di sopra di Drumner, nel buio, ora, una grande tavola di fuoco livido sta ardendo.

Eps Thanern. Il misuratore indica che oggi abbiamo percorso sedici miglia, ma non siamo a più di otto miglia, in linea retta, dall'accampamento della notte scorsa. Siamo ancora all'interno del passo tra i due vulcani, sul fiume di ghiaccio. Drumner è in eruzione. Vermi di fuoco strisciano dai suoi fianchi torvi e neri, e si vedono bene quando il vento schiarisce l'aria, allontanando i viluppi e i vortici e l'arrotolarsi impalpabile delle nubi di cenere e delle nubi di fumo e del vapore bianco. Continuamente, senza alcuna pausa, un brontolio sibilante riempie l'aria, così enorme e così lungo, questo suono, che non lo si può udire, quando si smette di ascoltarlo; eppure esso riempie tutti gli interstizi dell'essere. Il ghiacciaio trema perpetuamente, sussulta e rabbrividisce, sussurra e trema sotto i nostri piedi. Tutti i ponti di neve che la tormenta può avere gettato sopra i crepacci se ne sono andati, scossi da quel tremito, abbattuti da quel tambureggiare e sobbalzare del ghiaccio e della terra sotto il ghiaccio. Andiamo avanti e indietro, cercando la fine di una spaccatura nel ghiaccio che inghiottirebbe l'intera slitta, e poi cercando la fine della spaccatura seguente, cercando di andare a nord e sempre costretti ad andare a ovest o ad est. Sopra di noi Dremegole, solidale con le fatiche di Drumner, grugnisce e brontola e trema, mandando grandi sbuffi di fumo sporco, sulfureo.

Il volto di Ai presentava brutti segni di congelamento, stamattina, il naso, gli orecchi, il mento, tutto di un grigio malato, quando l'ho guardato. L'ho fatto riprendere, non c'è stato nulla di male, ma dobbiamo stare più attenti. Il vento che spira dal Ghiaccio è (questa è la pura verità) mortale; e noi dobbiamo offrirgli la faccia, durante la nostra marcia.

Sarò felice di togliermi da questo fiume di ghiaccio, da questo braccio del ghiacciaio così corrugato e piagato e infido, tra quei due mostri che non cessano mai di lanciare il loro minaccioso brontolio. Le montagne dovrebbero vedersi, non sentirsi.

Arhad Thanern. Un po' di neve sove, tra i 7 e i 10 gradi. Abbiamo percorso dodici miglia, oggi, circa cinque con profitto, e il bordo del Gobrin è visibilmente più vicino, a nord, sopra di noi; ora vediamo che il fiume di ghiaccio è ampio miglia e miglia: il «braccio» tra Drumner e Dremegole è soltanto un dito, e noi ora siamo sul dorso della mano. Voltandosi a guardare, da questo punto, si vede il flusso del ghiacciaio dividersi, squarciarsi e passare accanto alle nere montagne fumanti che lo fanno sembrare minuscolo. Guardando avanti lo si vede allargarsi, sollevarsi e descrivere una curva lenta, al cui confronto rimpiccioliscono i bordi neri della terra, e dopo la curva la parete di ghiaccio, molto lontana, in alto, sotto veli di nubi e di fumo e di neve. Ceneri vulcaniche cadono ora con la neve, e il ghiaccio è solido, costellato di lapilli e di cenere e di frammenti dei lontani giganti. Un buon terreno per camminare, ma troppo accidentato per i pattini della slitta, e i pattini hanno bisogno di un nuovo rivestimento. Per due o tre volte, dei proiettili vulcanici hanno colpito il ghiaccio, molto vicino a noi. Producono un sibilo violento, quando colpiscono, e affondano nel ghiaccio che si scioglie intorno a loro; si scavano una tana, così sembra. La cenere continua a cadere con la neve. Strisciamo, andando avanti, ma sono progressi infinitesimali, questi, attraverso il sudicio caos di un mondo che si sta creando… che si sta facendo con le proprie forze riposte.