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— Come diavolo posso credere a quello che dite, qualsiasi cosa sia! — esplose lui. La stanchezza fisica fece della sua indignazione un lamento petulante, e miserevole. — Se tutto questo è vero, avreste potuto spiegarmi qualcosa prima, la primavera scorsa, risparmiando a entrambi un viaggio a Pulefen. I vostri sforzi per la mia missione…

— Sono falliti. E vi hanno provocato dolore, e vergogna, e pericolo. Lo so. Ma se avessi tentato di combattere Tibe per voi, ora non sareste qui, bensì in una tomba di Erhenrang. E ora ci sono alcune persone, in Karhide, e poche altre in Orgoreyn, che credono alla vostra storia, perché hanno ascoltato le mie parole. Potranno ancora esservi utili. Il mio errore più grande è stato, come dite, nel non chiarire a voi i miei scopi. Non sono abituato a fare questo. Non sono abituato a dare o ad accettare, sia il consiglio che il biasimo.

— Non intendo essere ingiusto, Estraven…

— Eppure lo siete. È strano. Io sono il solo uomo, su tutto Gethen, che ha creduto completamente in voi, e sono il solo uomo su tutto Gethen nel quale voi avete rifiutato di credere.

Si prese il capo tra le mani. Alla fine disse:

— Mi dispiace, Estraven. — Era una scusa e un'ammissione a un tempo.

— Il fatto è — gli dissi, — che voi non potete, o non volete, credere nel fatto che io creda in voi. — Mi alzai, perché avevo le gambe intorpidite, e scoprii di tremare, per la collera e la debolezza. — Insegnatemi il vostro linguaggio della mente — gli dissi, cercando di parlare con calma, e senza rancore, — il vostro linguaggio che non contiene menzogna. Insegnatemi questo, e poi chiedetemi perché ho fatto quel che ho fatto.

— Mi piacerebbe farlo, Estraven.

CAPITOLO QUINDICESIMO

Verso il ghiaccio

Mi destai. Fino a ora era stato strano, incredibile, destarsi in un fioco cono di calore, e sentire la mia ragione dire che quella era una tenda, che io ero disteso là, vivo, che non mi trovavo più nella Fattoria Pulefen. Questa volta non ci fu alcunché di strano nel mio risveglio, ma un senso di pace e di sollievo. Mettendomi a sedere, sbadigliai, e cercai di ravviare i capelli con le dita, ma erano scomposti, ribelli. Guardai Estraven, disteso sul suo sacco a pelo, profondamente addormentato, a meno di mezzo metro da me. Indossava soltanto i calzoni; aveva caldo. Il viso scuro, segreto, era rivolto alla luce, esposto al mio sguardo. Estraven, addormentato, appariva un po' stupido, come tutti quelli che dormono; un viso rotondo, forte, rilassato e remoto, minuscole gocce di sudore sul labbro superiore e sulle folte sopracciglia. Ricordavo come lo avevo visto in piedi, sudato, durante la parata di Erhenrang, sul palco delle autorità, vestito come si conveniva a un Primo Ministro, nella luce del sole. Ora lo vedevo indifeso e seminudo in una luce più fredda, e per la prima volta lo vidi come era.

Si svegliò tardi, e lentamente. Finalmente riuscì ad alzarsi, sbadigliando, prese la camicia, si affacciò a vedere il tempo fuori, e poi si mi chiese se desideravo una tazza di orsh. Quando scoprì che io ero già andato a preparare la bevanda, usando l'acqua che aveva lasciato la notte prima sulla stufa, accettò una tazza, mi ringraziò rigidamente, e sedette a bere.

— Dove andremo da qui, Estraven?

— Dipende da dove voi volete andare, signor Ai. E da quale genere di viaggio voi potete sopportare.

— Qual è la strada più rapida per uscire da Orgoreyn?

— A occidente. Fino alla costa. Trenta miglia, più o meno.

— E poi?

— Le rade saranno già ghiacciate, qui. In ogni caso, d'inverno nessuna nave esce dal porto. Si tratterebbe di attendere, nascosti da qualche parte, l'arrivo della primavera, quando i grandi mercantili partono per Sith o per Perunter. Nessuno partirà per Karhide, se l'embargo sul commercio continua. Potremmo pagare con il lavoro un passaggio su un mercantile. Io non ho più denaro, disgraziatamente.

— C'è qualche alternativa?

— Karhide. Per via di terra.

— Quanto è distante… mille miglia?

— Sì, usando la strada. Ma non potremmo comunque usare le strade. Non riusciremmo a passare l'esame del primo Ispettore. La nostra unica strada sarebbe a nord, attraverso le montagne, a est, attraverso il Gobrin, e poi discendere fino alla frontiera, nella Baia di Guthen.

— Attraverso il Gobrin… la distesa di ghiaccio, volete dire?

Lui annuì.

— Non è possibile d'inverno, vero?

— Credo di sì; con fortuna, come in tutti i viaggi invernali. Sotto un certo aspetto, l'attraversamento di un Ghiacciaio è meglio d'inverno. La buona stagione, come sapete, tende a restare sui grandi ghiacciai, dove il ghiaccio rifletté il calore del sole; le tempeste sono spinte verso la periferia. Da qui vengono le leggende intorno al Luogo nella Tormenta. Questo elemento potrebbe essere a nostro favore. E ben poco d'altro.

— Allora voi pensate seriamente…

— Sarebbe stato inutile portarvi via dalla Fattoria Pulefen, se non l'avessi pensato.

Era ancora rigido, torvo, risentito. La conversazione della notte precedente aveva lasciato scossi entrambi.

— E presumo che voi consideriate l'attraversamento del Ghiaccio un rischio preferibile all'attesa di attraversare il mare, a primavera?

Lui annuì.

— Solitudine — spiegò, laconico.

Riflettei per un poco su quanto mi aveva detto.

— Spero che abbiate preso in considerazione le mie condizioni d'inferiorità. Non sono resistente al freddo come voi, neanche per sogno. Non sono un esperto sciatore. Non sono in buone condizioni… benché sia molto migliorato, da qualche giorno a questa parte.

Lui annuì di nuovo.

— Credo che possiamo farcela — disse, con quella completa semplicità che per tanto tempo avevo scambiato per ironia.

— Va bene.

Mi lanciò un'occhiata, e finì con un sorso la sua tazza di tè. La bevanda può essere chiamata tè; ricavata da grano di perni cotto e tostato, l'orsh è una bevanda bruna, dolceamara, ricca di vitamine A e C, zucchero, e di un piacevole, blando stimolante che ha qualche parentela con la lobelina. Dove non c'è birra, su Inverno, c'è l'orsh; dove non esistono né birra, né orsh, non c'è gente.

— Sarà duro — disse, posando la tazza. — Molto. Senza fortuna, non potremo mai riuscirci.

— Preferirei morire sul Ghiaccio piuttosto che in quella melma dalla quale mi avete tirato fuori.

Tagliò una fetta di «pane» secco, me la offrì, ne tagliò un'altra per sé, e sedette pensieroso, masticando.

— Avremo bisogno di altro cibo — disse.

— Cosa accadrà se riusciamo ad arrivare in Karhide… a voi, intendo? Siete sempre proscritto.

Rivolse su di me il suo sguardo scuro, da lontra.

— Sì. Suppongo che resterò da questa parte.

— E quando essi scopriranno che avete aiutato il loro prigioniero a fuggire?

— Non dovranno scoprirlo. — Sorrise, un sorriso pallido, e disse, — prima di tutto, dobbiamo attraversare il Ghiaccio.

Esclamai:

— Sentite, Estraven, volete perdonarmi per quanto ho detto ieri…

Nusuth. - Si alzò, sempre masticando, indossò lo hieb, il soprabito, e le scarpe, e scivolò, agile come una lontra, dalla porta della tenda, che si chiudeva ermeticamente da sola, proteggendoci dal freddo. Da fuori, si affacciò di nuovo e disse, — potrò tardare, o forse starò via per tutta la notte. Pensate di farcela, qui, da solo?

— Sì.

— Bene. — E con queste parole, se ne andò. Non ho mai conosciuto una persona che reagisse così totalmente e rapidamente a una situazione mutata, come Estraven. Cominciavo a riavermi, ed ero disposto a partire; lui era uscito dal thangen. Nell'istante in cui tutto questo era stato chiaro, lui se ne era andato. Era partito. Non era mai frettoloso, o impulsivo, ma era sempre pronto. Era il segreto, senza dubbio, della straordinaria carriera politica che aveva gettato via per me; era anche la spiegazione del fatto che lui credeva in me, e della sua devozione alla mia missione. Quando ero arrivato, lui era stato pronto. Nessun altro, su Inverno, lo era stato.