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Un'altra ipotesi concernente l'obiettivo dell'ipotetico sperimentatore: l'eliminazione della guerra. Gli Antichi hainiti hanno postulato che la continua capacità sessuale e l'aggressione sociale organizzata, attribuiti entrambi soltanto dell'uomo, tra tutti i mammiferi, non siano altro che causa ed effetto? Oppure, come Tumass Song Angot, essi consideravano la guerra un'attività-sostitutiva puramente mascolina, uno Stupro, una Violenza su grande scala, e di conseguenza nel loro esperimento hanno eliminato la virilità che stupra e la femminilità che viene stuprata? Dio solo lo sa. Il fatto è che i getheniani, pur essendo altamente competitivi (come è dimostrato dai complicati canali sociali offerti per la competizione per il prestigio, e così via) non sembrano in realtà molto aggressivi; per lo meno, apparentemente non hanno ancora avuto quel che noi chiameremmo una guerra. Si uccidono l'uno con l'altro con liberalità, ma singolarmente, o al massimo a coppie; raramente si uccidono a decine; non si uccidono a centinaia o a migliaia, mai. Perché?

Potremmo scoprire che questo non ha niente a che fare con la loro psicologia androgina. Non sono in molti, in fondo. E c'è anche il clima. Il clima di Inverno è così ostile e mutevole, così vicino al limite della tollerabilità, anche per loro, con quel grande adattamento al clima che hanno conseguito, che forse essi consumano tutto il loro spirito combattivo per combattere il freddo. I popoli marginali, le razze che si limitano a passare, sono raramente fatte di guerrieri; sopravvivono. E in fondo, il fattore dominante della vita getheniana non è il sesso, né alcun altro elemento umano: è il loro ambiente, il loro mondo gelido. Qui l'uomo ha un nemico più crudele, perfino di se stesso.

Io sono una donna del pacifico Chiffewar, e non sono esperta delle attrazioni della violenza, o della natura della guerra. Qualcun altro dovrà elaborare queste teorie. Ma davvero non vedo come chiunque possa più riporre qualche soddisfazione nella vittoria o nella gloria, dopo aver trascorso un inverno su Inverno, e avere visto la faccia del Ghiaccio.

CAPITOLO OTTAVO

Un'altra strada per Orgoreyn

Passai l'estate più come un Investigatore che come un Mobile, vagabondando per il territorio di Karhide di città in città, di villaggio in villaggio, di Dominio in Dominio, osservando e ascoltando… cose che un Mobile non può fare da principio, quando ancora egli è un fenomeno e un mostro, uno spettacolo da circo, sempre sul palcoscenico e pronto a recitare la sua parte. Io dicevo ai miei ospiti, in quei Focolari e villaggi rurali, chi ero; quasi tutti avevano sentito parlare di me, per radio, e avevano una vaga idea di chi io fossi. Erano curiosi, alcuni di più, altri di meno. Pochissimi erano spaventati da me, personalmente, o mostravano segni della ripulsione xenofoba. Un nemico, in Karhide, non è uno straniero, un invasore. Lo straniero che viene sconosciuto è un ospite. Il vostro nemico è sempre il vostro vicino.

Durante il mese di Kus abitai sulla costa orientale, in un Clan-Focolare chiamato Gorinhering, una casa-città-fortezza-fattoria costruita su una collina, sopra le eterne nebbie dell'Oceano Hodomin. Là vivevano circa cinquecento persone. Se fossi venuto quattromila anni prima, avrei trovato i loro antenati là, nello stesso luogo, nello stesso tipo di casa. Nel corso di questi quattro millenni il motore elettrico era stato inventato e sviluppato, le radio e i telai meccanici e i veicoli a motore e i macchinari agricoli e tutto il resto avevano cominciato a essere usati, e un'Età della Macchina si era messa in movimento, gradualmente, senza nessuna rivoluzione industriale, senza alcuna rivoluzione di alcun genere. Inverno non ha raggiunto in trenta secoli ciò che la Terra ha raggiunto in trenta decadi. Né Inverno ha mai pagato il prezzo che la Terra ha pagato.

Inverno è un mondo nemico; la sua punizione, per chi fa le cose sbagliate è pronta e certa: morte per il freddo, o morte per la fame. Non ci sono margini d'errore, non ci sono ammonimenti o rimproveri. Un uomo può confidare nella sua fortuna, ma una società no; e il cambiamento culturale, come la mutazione casuale, può rendere le cose più azzardate, rischiose; può essere come sfidare la fortuna. Così i getheniani hanno proceduto nella maniera più lenta. In qualsiasi punto della loro storia, un osservatore frettoloso avrebbe potuto dire che tutto il loro progresso tecnologico, e la loro espansione, sono cessati. Eppure non è mai stato così. Non c'è mai stata una fermata, un ristagno. Confrontate il torrente e il ghiacciaio. L'uno e l'altro arrivano là dove stanno andando.

Parlai a lungo con i vecchi di Gorinhering, e anche con i bambini. Era la mia prima possibilità di vedere i bambini getheniani, perché a Erhenrang essi sono tutti nei Focolari e nelle scuole pubbliche e private. Un quarto, o perfino un terzo, della popolazione urbana adulta è impegnata a orario pieno nell'assistenza e nell'educazione dei bambini. In questo luogo, invece, il clan accudiva da solo i propri bambini; nessuno e tutti ne erano responsabili. I bambini erano liberi e vivevano quasi allo stato selvaggio, andavano qua e là, in gruppi, per tutto il territorio, tra quelle colline velate dalla nebbia e per quelle spiagge che la nebbia ingrigiva. Quando riuscii a fermarne uno per il tempo sufficiente a farmi parlare, scoprii che si trattava di bambini ritrosi, schivi, orgogliosi, e con un immenso senso della fiducia.

L'istinto di genitori varia largamente su Gethen come in qualsiasi altro luogo dell'universo. È impossibile generalizzare. Non ho mai visto un karhidiano picchiare un bambino. La loro tenerezza verso i loro figli mi ha colpito, particolarmente perché essa è profonda, autentica, costruttiva, e quasi completamente priva di quel senso di possesso che in genere si associa a questo. Solo in questa assenza di possessività il sentimento differisce, forse, da quello che noi chiamiamo istinto «materno». Sospetto che la distinzione tra l'istinto paterno e materno non si possa neppure tentare, tanto è sottile; l'istinto del genitore, il desiderio di proteggere, di accudire, non è una caratteristica dai precisi legami o vincoli sessuali…

Nei primi giorni di Hakanna apprendemmo, a Gorinhering, attraverso molte scariche di statica, dal Bollettino di Palazzo, che Re Argaven aveva annunciato di essere in attesa di un erede. Non un altro figlio di kemmeri, di questi ne aveva già sette, ma un erede del corpo, un figlio del re. Il re era incinto.

Trovai questo divertente, e così pure gli uomini del clan di Gorinhering, ma per motivi diversi. Dissero che il re era troppo vecchio per portare un figlio, e sull'argomento crebbe una grande ilarità, condita di molte battute salaci, perfino oscene. I vecchi continuarono a ridere e a fare battute pungenti per giorni e giorni. Ridevano del re, ma per il resto non s'interessavano molto a lui. «I Dominii sono Karhide,» aveva detto Estraven, e come tante cose che Estraven mi aveva detto, questa continuava a tornarmi in mente, mano a mano che apprendevo di più su quel grande paese. Quella che apparentemente era una nazione, unificata già da secoli e secoli, era un calderone ribollente di principati, città, villaggi, «pseudo-feudali unità economiche tribali» prive di qualsiasi coordinazione, tutto un ribollire e uno schizzare di individualità vigorose, competenti, litigiose sopra le quali era stato posato leggermente, e senza alcuna sicurezza, un fragile coperchio di autorità. Nulla, lo sapevo, avrebbe mai potuto unire Karhide in una vera nazione. La diffusione totale di apparecchi per comunicazione rapida, che in teoria dovrebbe portare quasi inevitabilmente al nazionalismo, non aveva compiuto questo miracolo. L'Ecumene non poteva rivolgersi a questa gente come ad un'unità sociale, un'entità mobilitabile: doveva piuttosto parlare, al loro senso dell'unità umana. A questo pensiero, fui pervaso da una certa emozione. Naturalmente mi sbagliavo; eppure avevo appreso qualcosa sui getheniani che, a lungo andare, si dimostrò un'utile conoscenza.