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— Ma tu… tu non ti ricordi affatto del nostro mondo…

— No. Ma non mi assoggetterò ai Bugiardi che governano questo. Ascoltami. Questo è quanto riesco a immaginare che vogliano. Vogliono ridarmi la mente precedente per sapere da me il vero nome e la posizione del nostro pianeta d'origine. Se lo verranno a sapere quando stanno ancora lavorando sulla mia mente, credo che mi uccideranno lì per lì, dicendo a te che l'operazione non è riuscita. In caso contrario mi lasceranno vivere, almeno fino a che non gli dica quello che vogliono sapere. E io, come Ramarren, non ne saprò abbastanza per non dirglielo. Poi ci rinvieranno su Werel, unici superstiti di un memorabile viaggio, che tornano dopo secoli per dire a Werel come gli Shing abbiano coraggiosamente tenuto accesa la fiaccola della civiltà sulla tenebrosa barbarica Terra. Gli Shing che non sono Nemici di nessuno, i Signori pronti all'abnegazione, i saggi Signori che sono uomini nativi della Terra, non alieni, né conquistatori. A Werel diremo sproloqui sugli amici Shing. E loro ci crederanno. Crederanno alle menzogne cui crederemo noi. E in tal modo non temeranno attacchi dagli Shing; e non manderanno aiuto agli uomini della Terra, i veri uomini che aspettano di esser liberati dalla menzogna.

— Ma, Preach Ramarren, queste non sono menzogne — disse Orry. Il vento della notte continuava a soffiare.

Falk lo osservò per un momento nella soffusa, splendente e mutevole luce. Il cuore gli mancò, ma finì col dire: — Vuoi farmi il favore che ti ho chiesto?

— Sì — disse il ragazzo in un sussurro.

— Senza parlare a nessun essere vivente di questa storia?

— Sì.

— Si tratta semplicemente di questo. La prima volta che mi vedrai come Ramarren, se mai riuscirai a vedermi, dimmi queste parole: «Leggi la prima pagina del libro».

— Leggi la prima pagina del libro — ripeté Orry docilmente.

Ci fu una pausa. Falk si sentì paralizzato dall'impotenza, come una mosca invischiata in una ragnatela.

— È tutto qui il favore, prech Ramarren?

— Tutto qui.

Il ragazzo chinò la testa e borbottò qualche frase nella sua lingua madre, evidentemente qualche formula di promessa. Poi chiese: — Cosa dirò loro sul braccialetto comunicatore, prech Ramarren?

— La verità. Non ha importanza fintanto che mantieni l'altro segreto — disse Falk. Sembrava, per lo meno, che non avessero insegnato a mentire anche al ragazzo. Ma non gli avevano nemmeno insegnato a distinguere la verità dalla menzogna.

Orry lo riportò sulla slitta attraverso il ponte; rientrò nel palazzo splendente, con le pareti nebulose, dove Estrel l'aveva portato per prima. Una volta rimasto solo nella sua stanza, diede libero sfogo a paura e rabbia, sapendo di essere totalmente raggirato e senza speranza d'aiuto; quando riuscì a padroneggiare la rabbia, continuò ad andare avanti e indietro per la stanza come un leone in gabbia, lottando disperatamente contro la paura di morire.

Se li pregava, non potevano lasciarlo continuare a vivere come Falk che, per quanto inutile, era innocuo?

No. Non l'avrebbero fatto. Era chiaro, e solo la codardia poteva indurlo ad aggrapparsi a quest'idea. Non c'era speranza.

Poteva fuggire, allora?

Forse. Questo grande edificio apparentemente vuoto poteva essere un imbroglio, una trappola, o qualcosa del genere, un'illusione. Sentiva o immaginava di essere costantemente spiato, ascoltato e guardato, da presenze o strumenti nascosti. Ma se riusciva a scappare da Es Toch, cosa gli poteva succedere? Ogni porta era sorvegliata da uomini programmati o da dispositivi di controllo elettronici. E anche se riusciva a scappare da Es Toch, cosa gli sarebbe successo poi?

Poteva rifare la strada all'indietro su per i monti, attraverso le pianure, per la foresta, arrivando infine alla Radura dove Parth… No! Si arrestò furente. Non poteva tornare indietro. Fino a ora aveva proseguito per il suo cammino, e doveva arrivare sino in fondo: affrontando la morte se necessario, la rinascita… la rinascita di uno spirito estraneo, alieno.

Ma non c'era nessuno a dire la verità a quest'estraneo, a quest'alieno. Non c'era nessuno di cui Falk si poteva fidare, all'infuori di se stesso, perciò non solo Falk doveva morire, ma la sua morte doveva servire la volontà del Nemico. Era una cosa che non poteva tollerare; era assolutamente insopportabile. Camminò avanti e indietro nell'oscurità ferma e verdastra della sua stanza. Il soffitto era percorso da lampi smorzati e silenti. Non accettava di servire i Bugiardi; non accettava di dir loro quel che volevano sapere. Non era Werel che gli stava a cuore; per quel che ne sapeva lui, i suoi ospiti cercavano di sviarlo e Werel non era che una bugia. Quanto a Orry, era una Estrel più oculatamente escogitata. Non era il caso di parlare. Ma amava la Terra, pur essendo alieno. E la Terra per lui significava la casa della Foresta, la luce della Radura, Partii. Queste cose non le voleva tradire. Doveva pur esserci un modo per difendersi da ogni forza e inganno, per non tradire.

Cercò ripetutamente di immaginare un modo per lasciare come Falk un messaggio per quando fosse stato Ramarren: un problema in sé così grottesco da riuscire inimmaginabile e, oltre a ciò, insolubile. Anche se gli Shing non l'avessero scoperto mentre scriveva il messaggio, l'avrebbero certamente trovato una volta scritto. Aveva pensato dapprima di usare Orry come messaggero, ordinandogli di dire a Ramarren: «Non rispondere alle domande degli Shing» ma non era riuscito a fidarsi dell'obbedienza di Orry, o della sua capacità di tenere segreto l'ordine. Gli Shing avevano talmente manipolato il ragazzo che ormai era solo uno strumento nelle loro mani; ed anche l'insignificante messaggio che Falk gli aveva affidato doveva ormai essere noto ai Signori.

Non c'era trucco né inganno, non c'era possibilità né modo di scampare o fuggire. C'era un'unica speranza, e anche questa molto tenue: resistere, cioè riuscire a mantenere la padronanza di sé, nonostante ogni imposizione, rifiutando di dimenticare, rifiutando di morire. Un'unica cosa lo induceva a crederlo possibile: che gli Shing avessero affermato il contrario.

Volevano che si convincesse che era impossibile.

Le delusioni, le apparizioni, le allucinazioni delle sue prime ore o giorni di Es Toch gli erano state propinate a bella posta solo per confonderlo e intaccare la sua sicurezza: ecco a cosa tendevano. Volevano che non avesse fiducia in sé, in quello che credeva, nella sua conoscenza, nella sua forza. E tutte le spiegazioni sul lavaggio del cervello erano uno spauracchio, uno spettro per convincerlo che non aveva possibilità di resistere alle loro operazioni paraipnotiche.

Ramarren non aveva resistito…

Ma Ramarren non aveva avuto sospetti, non era stato messo in guardia su quello che potevano fargli o su quello che avrebbero provato a fargli, mentre Falk sì. Qui stava la differenza. Anche così la memoria di Ramarren non era stata distrutta irreparabilmente, come essi insistevano a dire che sarebbe successo per quella di Falk: prova ne sia che volevano ricostruirla.

Una speranza, seppur molto tenue. Tutto ciò che gli restava da fare era dirsi "Sopravviverò", nella speranza che potesse esser vero; e con un po' di fortuna, poteva darsi. Ma se non avesse avuto fortuna…?

"La speranza è più sottile ma anche più tenace della fiducia", pensò, percorrendo la stanza avanti e indietro, mentre un fulmine insonoro, vago, gli sfrecciava sopra la testa. In condizioni favorevoli si ha fiducia nella vita; se invece il momento è fosco, non resta che la speranza. La sostanza comunque è la stessa: l'indispensabile rapporto della mente con altre menti, con il mondo, con l'epoca in cui si vive. Senza speranza un uomo vive, ma non è una vita umana; senza speranza muore. Quando non vi sono rapporti, quando le mani non si toccano, l'emotività si atrofizza nel nulla, l'intelligenza s'isterilisce ossessiva. L'unico legame che rimane tra gli uomini è quello da schiavo a padrone, da assassino a vittima.