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— Okay. — Dovetti sforzarmi di non sembrare troppo entusiasta. Un viaggio pagato fino al Regno? Mio caro, solo ieri ero ansiosa di imbarcarmi coi miseri stipendi dell’equipaggio di bordo.

— E per le spese?

— Non ne avrai molte. Gli incrociatori di linea offrono già tutti i lussi necessari.

— Mance, bustarelle, escursioni planetarie, soldi in tasca, spiccioli per il bingo e per altri giochi di bordo… Come minimo, queste spese non sono mai del venticinque per cento del prezzo del biglietto. Se devo fingere di essere una turista straricca, devo stare nella parte. Ci ho azzeccato?

— Be’… Sì. Va bene, va bene. Nessuno farà storie se spenderai qualche migliaio di dollari per entrare nella parte della riccona. Tieni il conto e presentacelo alla fine.

— No. Anticipatemi i soldi. Il venticinque per cento del biglietto. Non terrò i conti. Non sarebbe adatto al personaggio. La riccona non terrebbe i conti di queste miserie.

— Va bene! Chiudi il becco e lasciami parlare. Arriveremo tra poco. Tu sei una creatura artificiale.

Non provavo più da un pezzo quel brivido gelido. Mi feci forza e decisi di fargli pagare cara quella frase cattiva, vigliacca. — Stai cercando di essere offensivo?

— No, affatto. Non scaldarti. Tu e io sappiamo che è impossibile, così a occhio, distinguere una persona artificiale da una naturale. Tu porterai, in stasi, un ovulo umano modificato. Lo terrai nella sacca dell’ombelico, dove la temperatura costante e gli strati di carne proteggeranno la stasi. Quando arriverai al Regno, ti prenderai l’influenza o qualcosa del genere e andrai in ospedale. Mentre sarai lì, quello che trasporti sarà trasferito nel luogo più adatto. Ti verrà pagato il premio e lascerai l’ospedale… con la felice certezza di avere aiutato una giovane coppia ad avere un figlio perfetto, mentre era quasi sicuro al cento per cento che sarebbe nato malato. Emofilia.

Decisi che la storia era abbastanza vera. — La delfina.

— Cosa? Non essere idiota!

— Ed è qualcosa di molto di più dell’emofilia, che di per sé potrebbe essere ignorata in una persona di rango reale. Il Primo Cittadino stesso è interessato, visto che questa volta la successione passa attraverso una figlia e non un figlio. Il mio lavoro è molto più importante e pericoloso di quello che mi hai detto… Quindi il prezzo sale.

La pariglia di splendidi bai percorse un altro centinaio di metri di Rodeo Drive prima che Mosby rispondesse. — Va bene. Dio ti aiuti se aprirai bocca. Non vivresti a lungo. Aumenteremo il premio. E…

— Sarà meglio che tu lo raddoppi e lo depositi sul mio conto prima della partenza. In lavori del genere, la gente tende a dimenticare a cose fatte.

— Okay, farò quello che posso. Stiamo per pranzare col signor Sikmaa… E tu sei tenuta a non accorgerti che è il rappresentante personale del Primo Cittadino, con le cariche interplanetarie di ambasciatore straordinario e minimostro plenipotenziario. Adesso datti un contegno e stai attenta a come ti comporti a tavola.

Quattro giorni più tardi stavo ancora attenta a come comportarmi a tavola, seduta sulla destra del capitano della Forward, Linee IperSpazio. Il mio nome era adesso signorina Marjorie Friday, ed ero così oltraggiosamente ricca da aver percorso il tragitto Terra/Stazione Stazionaria sullo yacht antiG del signor Sikmaa, dopo di che ero salita sulla Forward senza dovermi preoccupare di noie plebee come il controllo del passaporto, l’esame sanitario, eccetera. I miei bagagli erano arrivati nello stesso momento (scatola dopo scatola di abiti costosi, d’alta classe, coi gioielli del caso), ma se n’era occupata altra gente; io non avevo dovuto pensare a nulla.

Avevo trascorso tre di quei giorni in Florida, in quello che pareva un ospedale ma era (lo sapevo!) un superbo laboratorio d’ingegneria genetica. Avevo anche dedotto quale laboratorio fosse, ma tenni per me le mie ipotesi, perché lì nessuna deduzione veniva incoraggiata. Mi fecero l’esame fisico più minuzioso di cui abbia mai sentito parlare. Non sapevo perché controllassero il mio stato di salute in modo generalmente riservato a capi di stato e presidenti multinazionali, ma probabilmente erano un tantino nervosi all’idea di affidare a qualcuno che non godesse di una salute di ferro l’ovulo che, col trascorrere degli anni, sarebbe diventato Primo Cittadino del favolosamente ricco Regno. Per me fu la migliore delle occasioni per tenere la bocca chiusa.

Il signor Sikmaa non usò le tecniche intimidatorie tentate da Fawcett e Mosby. Dopo aver deciso che io andavo bene, rispedì Mosby a casa e mi coprì talmente d’oro che non ebbi bisogno di mercanteggiare. Il venticinque per cento delle spese extra? Non basta; facciamo il cinquanta per cento. Ecco qui, prendete (in oro e certificati di credito in oro di Luna City), e se vi serve dell’altro ditelo al commissario di bordo; basterà una vostra firma per addebitare a me tutte le spese. No, non ci sarà un contratto scritto; non è quel tipo di missione. Ditemi cosa volete e lo avrete. Ed ecco qui un opuscoletto che vi dice chi siete e dove avete studiato e tutto il resto. Nei prossimi tre giorni avrete tutto il tempo per memorizzarlo e se vi scorderete di bruciarlo, non preoccupatevi; la carta è impregnata di una sostanza che lo farà autodistruggere nel giro di tre giorni. Non stupitevi se il quarto giorno le pagine saranno gialle e un po’ bruciacchiate.

Il signor Sikmaa aveva pensato a tutto. Prima di lasciare Beverly Hills, fece venire una fotografa, che mi riprese da diversi angoli: io vestita di un sorriso, coi tacchi alti, coi tacchi bassi, a piedi nudi. Quando i miei bagagli arrivarono sulla Forward, tutto mi andava alla perfezione, stili e colori erano adatti a me, e gli abiti erano firmati dai più famosi stilisti italiani, parigini, dei Bei-Jing, eccetera.

Non sono abituata all’haute couture e non so come affrontarla, ma il signor Sikmaa aveva provveduto anche a quello. Al boccaporto mi accolse una piccola e deliziosa creatura orientale, Shizuko, che mi disse di essere la mia cameriera personale. Dato che mi lavavo e vestivo da sola dall’età di cinque anni, non sentivo alcun bisogno di una cameriera, ma per l’ennesima volta bisognava abbandonarsi alla corrente.

Shizuko mi guidò alla cabina Bb (non abbastanza grande per un campo da pallavolo). Una volta lì, scoprii che a giudizio di Shizuko c’era appena il tempo sufficiente per prepararmi per cena.

La cosa mi parve eccessiva, visto che alla cena mancavano tre ore. Ma lei era decisa e io avevo intenzione di accettare tutto ciò che mi veniva suggerito; non mi occorreva un diagramma per capire che me l’aveva messa alle costole il signor Sikmaa.

Mi fece il bagno. Mentre lei mi lavava, ci fu un aumento improvviso della gravità alla partenza della nave. Shizuko mi tenne ferma e impedì che il tutto si trasformasse in un disastro, e lo fece talmente bene da convincermi che era pratica di navi a contrazione spaziale. Strano, non sembrava abbastanza vecchia.

Trascorse un’ora intera sui miei capelli e sulla mia faccia. In passato, mi ero lavata la faccia quando ce n’era bisogno e mi ero pettinata i capelli, più che altro, scostandoli quel tanto da non vederli penzolare davanti agli occhi. Scoprii quanto fosse abissale la mia inettitudine. Mentre Shizuko mi reincarnava nelle spoglie della Dea dell’Amore e della Bellezza, il piccolo terminale della cabina trillò.

Le lettere apparvero sullo schermo e lo stesso messaggio uscì dalla stampante, come una lingua impertinente:

Il capitano della nave IperSpazio Forward

chiede il piacere della compagnia

della signorina Marjorie Friday

per sherry e allegria

nel salone di comando

alle ore diciannove.

In caso di rifiuto, si prega di comunicare.

Io restai sorpresa. Shizuko no. Aveva già appeso e preparato un abito da cocktail. Mi copriva completamente, e in vita mia non sono mai stata vestita in modo così indecente.