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Quando riapparve, rossa in viso e trionfante, stringeva in mano un biglietto. — Ce l’ho! Guardalo, mister! Dagli un’occhiata rispettosa.

Guardammo: 8109999.

— Sono colpito — disse Georges.

— Colpito? Sei ricco. Ci sono i tuoi quattro nove. Somma gli altri numeri, e hai il quinto nove. Nove per cinque, quarantacinque. Aggiungi gli ultimi quattro nove, e hai ottantuno. Nove al quadrato. Dividi per nove e cosa ottieni? Nove! Sempre nove! Questo numero puoi girarlo come vuoi, ma salta sempre fuori il nove della tua data di nascita. Cosa vorresti, mister? Delle ballerine?

— Quanto ti devo?

— È un numero molto speciale. Tutti gli altri numeri esposti puoi averli per venti orsi, ma questo qui… Perché non continui a mettermi davanti dei soldi finché non sorrido?

— Mi sembra giusto. Se poi non sorridi quando secondo me dovresti sorridere, mi riprenderò i soldi e me ne andrò. No?

— Potrei richiamarti.

— No. Se non mi dai un prezzo fisso, non ti permetterò di mercanteggiare dopo che ti avrò fatto un’offerta equa.

— Sei un cliente difficile, amico. Ho…

Attorno a noi, su ogni lato, gli altoparlanti cominciarono di colpo a urlare: — Ave al Capo! — seguito da: — L’Orso d’Oro per sempre. — La donna dei biglietti strillò: —Aspettate! Smette subito! — una folla consistente entrò dall’ingresso, traversò in rettilineo la rotonda e imboccò il corridoio centrale. Nel mezzo di quel grumo umano intravvidi il copricapo a piume del Capo della Confederazione, ma questa volta era così ben circondato dai suoi parassiti che un assassino avrebbe avuto non poche difficoltà a colpirlo.

Quando fu di nuovo possibile udire, la donna del chiosco disse: — Per fortuna è durato poco. È uscito di qui meno di quindici minuti fa. Se doveva solo arrivare all’angolo per un pacchetto di spinelli, perché non ha mandato qualcuno invece di andare lui? È pessimo per gli affari, tutto quel casino. Be’, amico, hai deciso quanto vuoi pagare per diventare ricco?

— Ma sì. — Georges tirò fuori un biglietto da tre dollari, lo mise sul banco. Guardò la donna.

Restarono a fissarsi per una ventina di secondi, poi lei disse, cupa: — Sto sorridendo. Probabilmente. — Prese i soldi con una mano, passò il biglietto a Georges con l’altra. — Scommetto che potevo spillarti un altro dollaro.

— Non lo sapremo mai, eh?

— Giochiamo al raddoppio?

— Con le tue carte? — chiese gentilmente Georges.

— Amico, tu mi fai invecchiare prima del tempo. Sparisci prima che cambi idea.

— Le toilette?

— Giù in corridoio, sulla mia sinistra. — La donna aggiunse. — Non perdetevi le estrazioni.

Ci avviammo verso le toilette. Sottovoce, in francese, Georges mi disse che mentre noi perdevamo tempo al chiosco i gendarmi ci erano passati alle spalle, erano entrati nei gabinetti, usciti, tornati alla rotonda, e poi spariti in corridoio.

Lo interruppi, parlando anch’io in francese. Gli dissi che lo sapevo, ma che il posto doveva essere pieno zeppo di Occhi, di Orecchie. Avremmo discusso dopo.

Non volevo zittirlo per capriccio. Due guardie in uniforme (non quelle coi problemi di stomaco) erano entrate quasi alle nostre calcagna, erano corse a controllare per prima cosa le toilette (ragionevole; un dilettante cerca spesso di nascondersi nei gabinetti pubblici), erano uscite e ci avevano superati, perdendosi nei meandri del palazzo. Georges, tranquillissimo, si era fermato a guardare i biglietti della lotteria mentre le guardie che ci cercavano lo sfioravano un paio di volte. Ammirevole. Molto professionale.

Ma dovevo aspettare a dirglielo. Una persona di sesso indeterminato vendeva i biglietti d’ingresso per la toilette. Gli (le) chiesi quale fosse la toilette per signore. Quella (decisi che era una donna quando, dopo un’osservazione ravvicinata, notai che la sua maglietta copriva tette false, oppure vere e molto piccole) rispose in tono arcigno: — Sei scema? Ti piace discriminare, eh? Dovrei chiamare un poliziotto. — Poi mi studiò un po’ meglio. — Sei forestiera.

Lo ammisi.

— Okay. Stai attenta a non dire certe cose. Alla gente non piacciono. Qui siamo democratici, chiaro? Ganzi e donzelle usano le stesse tazze. Quindi compera un biglietto o piantala di bloccare l’ingresso.

Georges comperò due biglietti. Entrammo. Sulla nostra destra c’era una fila di cubicoli aperti. Sopra fluttuava un ologramma: QUESTE ATTREZZATURE IGIENICHE SONO OFFERTE GRATIS PER LA VOSTRA SALUTE E IL VOSTRO BENESSERE DALLA CONFEDERAZIONE CALIFORNIANA — JOHN «WARWHOOP» TUMBRIL, CAPO DELLA CONFEDERAZIONE.

Un ologramma a grandezza naturale del Capo fluttuava più in alto.

Oltre ai cubicoli aperti c’erano quelli a pagamento, con tanto di porta; ancora più in fondo, altri cubicoli chiusi da tendaggi. Alla nostra sinistra, una bancarella di novità e idee regalo gestita da una persona di sesso molto spiccato, con due tette così. Georges si fermò lì e mi sorprese acquistando diversi cosmetici e un flacone di profumo da due soldi. Poi chiese un biglietto per uno degli spogliatoi in fondo.

— Un biglietto? — La donna lo scrutò negli occhi. Georges annuì. Lei si leccò le labbra. — Sporcaccione, sporcaccione. Niente scopate illegali, amico.

Georges non rispose. Un dollaro canadese passò dalla sua mano a quella della donna, svanì. La donna disse piano: — Non metteteci troppo. Se suono il campanello, rendetevi presentabili in fretta. Numero sette, in fondo a destra.

Raggiungemmo lo spogliatoio numero sette, quello più in fondo, ed entrammo. Georges tirò le tende, chiuse le cerniere, fece scorrere l’acqua del water, poi aprì il rubinetto dell’acqua fredda e la lasciò correre. Riprendendo a parlare in francese mi disse che dovevamo cambiare aspetto senza travestimenti complicati, per cui, per favore, tesoro, togliti quello che hai addosso e mettiti la tuta che tieni nella sacca.

Mi diede spiegazioni più particolareggiate, mischiando il francese all’inglese e continuando a tirare l’acqua del water di tanto in tanto. Io dovevo indossare la scandalosa Superpelle, mettermi più trucco del solito, e cercare di sembrare la famosa Prostituta di Babilonia, o qualcosa del genere. — So che non è il tuo métier, cara ragazza, ma tenta.

— Cercherò di essere sufficiente.

— Touché!

— E tu vuoi metterti i vestiti di Janet? Non penso che ti vadano bene.

— No, non mi travestirò. Ondeggerò solo di sedere.

— Prego?

— Non indosserò abiti femminili. Tenterò semplicemente di apparire effeminato.

— Non ci credo. Va bene, proviamoci.

Io non subii troppi cambiamenti: solo la tuta stuzzicante che aveva preso al laccio Ian, più una dose di trucco superiore alla media, applicata da Georges (che sembrava convinto di essere più esperto di me nel trucco; ne era convinto perché era più esperto), più, quando uscimmo, la camminata del tipo eccomi-qui-se-ne-hai-voglia-prendimi.

Georges usò su se stesso più trucco di quanto avesse usato su di me, più quel profumo schifoso (che non mi chiese di mettere), più un foulard arancio shocking al collo che prima io tenevo come cintura. Mi chiese di gonfiargli i capelli con le mani e spruzzarli di spray, in maniera che restassero gonfi. Tutto qui… più un cambiamento radicale al suo modo di muoversi. Era ancora Georges; però non era più il macho assatanato che la notte prima mi aveva deliziosamente sfibrata.

Riempii la sacca e uscimmo. La vecchia befana della bancarella sgranò gli occhi e trattenne il fiato quando mi vide. Ma non disse niente, perché un uomo che se ne stava appoggiato alla bancarella si tirò su, puntò un dito su Georges e disse: — Tu. Il Capo ti vuole. — Poi aggiunse, quasi tra sé: — Non ci credo.

Georges si fermò, gesticolò alla disperata con tutte e due le mani. — Oh, misericordia! Deve esserci un errore.

Il gorilla morse lo stuzzicadenti che stava succhiando e rispose: — Lo penso anch’io, cittadino. Però non lo dirò, e non lo dirai nemmeno tu. Andiamo. Non tu, sorellina.